Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33788 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33788 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18561/2020 R.G. proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti-
nonchè contro
NOMECOGNOME NOMECOGNOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME DEI NEGRI NOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME DELLA NOME COGNOME DE NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME DI NOME COGNOME, DI NOME COGNOME DI NOMECOGNOME DISSEGNA NOME, NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME LILIACOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME NOME COGNOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO TRIESTE n. 36/2020 depositata il 27 maggio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Trieste ha respinto l’appello proposto dalla Azienda Sanitaria n. 5 Friuli Occidentale, ora Azienda Sanitaria Friuli Occidentale, avverso la sentenza del Tribunale di Pordenone che aveva condannato la appellante a rimborsare a NOME COGNOME ed agli altri litisconsorti indicati in epigrafe, tutti infermieri obbligatoriamente iscritti all’albo tenuto dal competente Collegio professionale, il costo della relativa iscrizione, in quanto funzionale allo svolgimento dell’attività resa in favore del datore di lavoro pubblico;
i l giudice d’appello ha, in sintesi, ritenuto applicabile il medesimo principio affermato da questa Corte in relazione alla posizione degli avvocati dipendenti di enti pubblici e ha evidenziato, in particolare, che:
non è ostativa al riconoscimento del diritto al rimborso la mancata previsione dello stesso ad opera della contrattazione collettiva, perché il diritto medesimo si fonda sul principio di carattere generale secondo cui devono essere rimborsate le spese che il lavoratore sostiene nell’esclusivo interesse del datore;
il rimborso non è assorbito dalla indennità professionale specifica spettante agli infermieri, che ha natura retributiva e non restitutoria;
non è sufficiente per far escludere l’assimilabilità delle fattispecie la circostanza che la legge professionale, diversamente da quanto accade per gli avvocati, non faccia divieto agli infermieri di svolgere l’attività in favore di soggetti diversi dal datore di lavoro, perché l’obbligo di esclusività discende comunque dalla instaurazione del rapporto di impiego pubblico e non viene meno per il solo fatto che gli infermieri possano svolgere attività aggiuntive equiparabili a quelle rese dai dirigenti medici in regime di intramoenia, trattandosi di attività che risponde ad un preciso interesse dell’Azienda;
non rileva neppure che il personale infermieristico possa essere autorizzato dal datore di lavoro ad accettare incarichi da parte di terzi, perché la necessità dell’autorizzazione rende evidente che l’esercizio
medesimo non è libero bensì dipende da scelte discrezionali del datore di lavoro e, quindi, è comunque condizionato da un interesse di quest’ultimo;
a differenza dei dirigenti medici che, seppure operanti in regime di esclusività, sono titolari di un diritto soggettivo allo svolgimento della libera professione, gli infermieri possono esercitare attività aggiuntive solo se ciò venga consentito dal datore di lavoro;
per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Azienda Sanitaria Friuli Occidentale sulla base di due motivi, ai quali hanno opposto difese con tempestivo controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME mentre sono rimasti intimati gli altri litisconsorti indicati in epigrafe;
entrambe le parti costituite hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 3, legge 1° febbraio 2006 n. 43, dell’art. 5 d.lgs Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946 n. 233, come modificato dall’art. 4 legge 11 gennaio 2018 n. 3, dell’art. 53 d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, dell’art. 4, comma 7, legge 30 dicembre 1991 n. 412, dell’art. 3 R.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, dell’art. 18 legge 31 dicembre 2012 n. 247 e sostiene, in sintesi, che l’orientamento formatosi sul diritto al rimborso delle tasse camerali riconosciuto agli avvocati dipendenti di enti pubblici non può essere esteso anche agli infermieri professionali in ragione della diversità delle categorie;
sottolinea, in particolare, che sulla base dell’assetto normativo vigente agli avvocati in nessun caso può essere consentito l’esercizio dell’attività professionale in favore di terzi, neppure nell’ipotesi in cui il rapporto di lavoro con l’ente pubblico sia a tempo parziale;
aggiunge che agli infermieri si applica l’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 che, sia pure previa autorizzazione, consente l’effettuazione di prestazioni libero professionali in favore di terzi, purché rese in assenza di conflitto di interessi con il datore di lavoro pubblico;
2. la seconda critica, formulata ai sensi dei nn. 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 402/2001, dell’art. 12, comma 2, del CCNL 31 luglio 2009 per il personale del comparto della sanità dell’art. 1719 cod. civ. nonché l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti;
l’azienda ricorrente insiste sulla non assimilabilità della categoria degli infermieri professionali a quella degli avvocati dipendenti di enti pubblici e addebita alla Corte distrettuale di essere giunta a conclusioni opposte senza tenere in alcun conto la disciplina dettata dal regolamento aziendale che, armonizzandosi con quella di legge, consente all’infermiere di svolgere, al di fuori dell’orario di lavoro prestazioni libero professionali nell’ambito dell’attività di intramoenia dei dirigenti medici;
aggiunge che al rapporto di impiego che intercorre fra l’azienda sanitaria e l’infermiere professionale non è applicabile l’art. 1719 cod. civ. perché, diversamente da quanto accade per l’avvocato al quale viene conferita la procura, all’infermiere non viene attribuito alcun potere rappresentativo;
i motivi di ricorso, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono fondati perché la sentenza impugnata contrasta con il principio di diritto, enunciato da questa Corte in fattispecie sovrapponibile a quella di causa, secondo cui « Il personale infermieristico del SSN non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per il pagamento della quota di iscrizione all’albo professionale, in quanto la disciplina della professione infermieristica succedutasi nel tempo, seppure improntata al rispetto del dovere di esclusività sancito dall’art. 98 Cost., non contiene un divieto assoluto di compimento degli atti tipici dell’attività infermieristica al di fuori del rapporto di impiego, con la conseguenza che l’iscrizione all’albo, che è condizione necessaria per l’esercizio di quell’attività, non si può ritenere imposta dal legislatore nel solo interesse del datore di lavoro pubblico» ( Cass. n. 32589/2022);
la richiamata pronuncia è pervenuta ad escludere il diritto al rimborso sulla base del percorso argomentativo di seguito riportato ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
« L’art. 10 del d.l.C.P.S. n. 233/1946, avente ad oggetto la ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie e la disciplina dell’esercizio delle
professioni stesse, prevedeva che « I sanitari che siano impiegati in una pubblica amministrazione ed ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili, non sia vietato l’esercizio della libera professione, possono essere iscritti all’albo. Essi sono soggetti alla disciplina dell’ordine o collegio, limitatamente all’esercizio della libera professione. ».
L’esercizio della professione infermieristica alle dipendenze di enti pubblici non richiedeva, di conseguenza, la necessaria iscrizione all’albo, tenuto dai collegi provinciali disciplinati dallo stesso decreto (al quale rinvia la legge n. 1049/1954 istitutiva dei collegi delle infermiere professionali, delle assistenti sanitarie visitatrici e delle vigilatrici d’infanzia), giacché l’art. 8, secondo cui « Per l’esercizio di ciascuna delle professioni sanitarie è necessaria l’iscrizione al rispettivo albo », andava letto in combinato disposto con la disposizione sopra richiamata che, nei casi di rapporto di impiego, subordinava all’iscrizione il solo esercizio dell’attività libero professionale (cfr. Cass. pen. n. 28306/2003 e n. 6491/2008; C.d.S. n. 2179/2011).
La legge n. 43/2006, intitolata «Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali», all’art. 4 ha delegato il Governo ad adottare più decreti legislativi « al fine di istituire, per le professioni sanitarie di cui all’articolo 1, comma 1, i relativi ordini professionali, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica » ed all’art. 2, comma 3, ha stabilito che « L’iscrizione all’albo professionale è obbligatoria anche per i pubblici dipendenti ed è subordinata al conseguimento del titolo universitario abilitante di cui al comma 1, salvaguardando comunque il valore abilitante dei titoli già riconosciuti come tali alla data di entrata in vigore della presente legge.».
Il Governo non si è avvalso della delega nel termine stabilito e sulla materia il legislatore è nuovamente intervenuto con la legge n. 3 del 2018 che, con l’art. 4, di riordino della disciplina degli ordini delle professioni sanitarie, ha sostituito i capi I, II e III del d.l.C.P.S. n. 233/1946 prevedendo, per quel che in questa sede rileva, la costituzione dell’ordine delle professioni infermieristiche e stabilendo, all’art. 5 del d.l.C.P.S come modificato, che « Ciascun Ordine ha uno o più albi
permanenti, in cui sono iscritti i professionisti della rispettiva professione, ed elenchi per categorie di professionisti laddove previsti da specifiche norme. Per l’esercizio di ciascuna delle professioni sanitarie, in qualunque forma giuridica svolto, è necessaria l’iscrizione al rispettivo albo.».
Nel periodo che qui viene in rilievo, antecedente alla legge n. 3 del 2018 ma successivo a quella n. 43 del 2006, l’iscrizione all’albo tenuto dai collegi provinciali si è resa necessaria ai sensi del richiamato art. 2, comma 3, trattandosi di norma immediatamente precettiva e non condizionata dall’esercizio della delega conferita dal legislatore con il successivo art. 4.
Nonostante l’obbligatorietà dell’iscrizione, richiesta ora anche per l’esercizio della professione infermieristica alle dipendenze di datori di lavoro pubblici, non ritiene il Collegio che possa essere esteso agli infermieri del Servizio Sanitario Nazionale l’orientamento, formatosi nella giurisprudenza di questa Corte a partire da Cass. n. 3928/2007, e ribadito da numerose pronunce successive ( Cass. 6877, 6878, 7775 del 2015; Cass. n. 2507/2017; Cass. nn. 2285, 27239, 27959 e 28242 del 2018; Cass. n.13012/2019), secondo cui «il pagamento della quota annuale di iscrizione all’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati per l’esercizio della professione forense nell’interesse esclusivo del datore di lavoro è rimborsabile dal datore di lavoro, non rientrando né nella disciplina positiva dell’indennità di toga (art.14, comma 17, d.P.R. n.43 del 1990) a carattere retributivo, con funzione non restitutoria e un regime tributario incompatibile con il rimborso spese, né attenendo a spese nell’interesse della persona, quali quelle sostenute per gli studi universitari e per l’acquisizione dell’abilitazione alla professione forense». Quel principio muove dal presupposto che per gli avvocati degli enti pubblici, tenuti al rispetto dell’obbligo di esclusività, in quel caso assolutamente inderogabile, le spese di iscrizione all’albo rispondono all’interesse esclusivo del datore di lavoro, in quanto finalizzate unicamente a consentire la difesa in giudizio dell’ente, altrimenti non assicurabile.
Il richiamato orientamento si è formato in un contesto normativo, in relazione al quale si rinvia, ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., a Cass. n. 9660/2021, caratterizzato, da un lato, dal divieto di iscrizione all’albo
professionale degli avvocati che svolgono attività lavorativa dipendente e dalla contestuale previsione della sola possibilità di inserimento nell’elenco speciale allegato all’albo, disciplinato dall’art. 3, comma 4, del R.D. n. 1578/1933 ed ora dall’art. 23 della legge n. 247/2012; dall’altro dall’inapplicabilità all’avvocatura della legge n. 662/1996 ( art. 1, commi 56, 56 bis e 57) che consente in ogni caso, a prescindere dalle limitazioni stabilite per le singole categorie professionali, l’iscrizione agli albi dei dipendenti pubblici con rapporto di lavoro parziale, purché la prestazione lavorativa non ecceda il 50% del tempo pieno.
In ragione di detta inapplicabilità, espressamente prevista dalla legge n. 339/2003, al pubblico dipendente, anche se assunto part time , in nessun caso possono essere consentiti l’iscrizione all’albo degli avvocati e l’esercizio di attività libero professionale, sicché l’inserimento nell’elenco speciale risponde solo ed esclusivamente all’interesse del datore.
Diverso è il contesto normativo che viene in rilievo in relazione alla professione infermieristica, in ordine alla quale la disciplina succedutasi nel tempo, seppure improntata al rispetto del dovere di esclusività sancito dall’art. 98 Cost., ammette, alle condizioni richieste dall’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 e dalle leggi speciali, l’esercizio dell’attività libero professionale, consentito, oltre che nei casi di part time rispondente ai requisiti fissati dalla legge n. 662/1996, anche per prestazioni aggiuntive (d.l. n. 402/2001) e per le attività di supporto all’attività libero professionale in intramoenia . L’art. 53, inoltre, pur rinviando alla disciplina dettata dal d.P.R. n. 3/1957, che comporta il divieto di svolgere altra attività caratterizzata da continuità e professionalità, consente che, previa autorizzazione del datore di lavoro, possano essere accettati incarichi retribuiti, ove non sorga conflitto di interesse con l’ente di appartenenza, sicché la normativa, diversamente da quanto si riscontra per la professione forense, non contiene un divieto assoluto di compimento degli atti tipici dell’attività infermieristica al di fuori del rapporto di impiego, con la conseguenza che l’iscrizione all’albo, che è condizione necessaria per l’esercizio di quell’attività, non si può ritenere imposta dal legislatore nel solo interesse del datore di lavoro pubblico.
Il richiamato art. 53, che va letto in combinato disposto con le disposizioni di legge alle quali lo stesso rinvia, opera una distinzione fra
attività vietate in modo assoluto, attività consentite in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi richiesti dal legislatore, incarichi soggetti ad autorizzazione. L’esercizio della professione di avvocato in favore di terzi da parte del dipendente pubblico rientra fra le attività che in nessun caso sono consentite, di tal ché l’iscrizione all’elenco speciale non può che soddisfare unicamente l’interesse del datore, mentre non altrettanto può dirsi per le altre professioni intellettuali, ed in particolare per quella infermieristica, consentite ai dipendenti part time nonché, nelle ipotesi di incarichi che rispondano ai requisiti di legge, previa autorizzazione del datore.
Non può rilevare ai fini che ci occupano la circostanza che i ricorrenti, non avendo optato per il tempo parziale e non avendo richiesto autorizzazione allo svolgimento non continuativo di incarichi professionali, di fatto si siano trovati in una situazione di assoluta esclusività.
L’individuazione dell’interesse assicurato dall’iscrizione all’albo va, infatti, effettuata sul piano astratto delle norme applicabili alla fattispecie, che, come si è già detto, non consentono di affermare che quella iscrizione sia finalizzata unicamente a soddisfare un’esigenza del datore di lavoro pubblico.
Tanto basta per respingere il ricorso e per escludere l’eccepita disparità di trattamento rispetto agli avvocati degli enti pubblici, atteso che le peculiarità proprie della professione forense, se, da un lato, giustificano l’accentuazione dell’obbligo di esclusività rispetto agli altri dipendenti pubblici (Corte Cost. n. 390/2006; Corte Cost. n. 166/2012), dall’altro legittimano un diverso regime di imputazione della spesa sostenuta per l’iscrizione all’albo.
La questione di legittimità costituzionale, prospettata con riferimento agli artt. 3, 4, 32, 97 e 98 Cost., è, quindi, manifestamente infondata»;
4. al richiamato orientamento, condiviso dal Collegio, va data continuità perché gli argomenti sviluppati dai controricorrenti nella memoria ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ. non giustificano l’invocata rimeditazione del principio già enunciato, in quanto prospettano una non condivisibile interpretazione del quadro normativo e si fondano sostanzialmente, per affermare l’assoluta incompatibilità fra il rapporto di impiego e lo svolgimento dell’attività professionale, più che sulla disciplina di legge e
contrattuale, sugli atti adottati dalla Asl, dei quali inammissibilmente si sollecita l’interpretazione diretta nel giudizio di legittimità;
erroneamente i controricorrenti escludono la natura libero professionale delle prestazioni aggiuntive e dell’apporto dato all’attività intramuraria della dirigenza medica perché, al contrario, come accade per le analoghe prestazioni rese dai dirigenti medici, « tali prestazioni sono rese in regime libero professionale e sono assimilate, ancorché rese all’amministrazione di appartenenza, al lavoro subordinato, ai soli fini fiscali e contributivi ivi compresi i premi e i contributi versati all’INAIL » (art. 1, comma 2, d.l. n. 402/2001) sicché «il rapporto di lavoro subordinato non costituisce qui la causa, ma rappresenta piuttosto mera occasione della prestazione: e ciò perché quest’ultima non può essere oggetto di richiesta vincolante da parte del datore di lavoro, come accade invece per la normalità delle prestazioni lavorative ancorché eccedenti il normale orario di lavoro, ma dev’essere oggetto di apposita convenzione scritta …» ( Cass. n. 27233/2024);
d’altro canto anche la normativa contrattuale, quanto al regime di incompatibilità per i dipendenti ammessi al lavoro part time , non esclude in assoluto che possano essere svolte prestazioni infermieristiche al di fuori del rapporto di impiego perché, al contrario, prevede che « I dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, qualora la prestazione lavorativa non sia superiore al 50% di quella a tempo pieno, nel rispetto delle vigenti norme sulle incompatibilità, possono svolgere un’altra attività lavorativa e professionale, subordinata o autonoma, anche mediante l’iscrizione ad albi professionali » ( art. 23, comma CCNL 7 aprile 1999) ed ai commi successivi prescrive che le situazioni di conflitto di interesse debbano essere verificate nei singoli casi, in concreto, il che esclude l’incompatibilità assoluta sulla quale, invece, fanno leva i controricorrenti;
in via conclusiva il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata;
non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, perché ciò che rileva è la disciplina di legge e contrattuale non l’atteggiarsi del singolo rapporto dedotto in giudizio, la causa può essere decisa nel merito, ex
art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con il rigetto della domanda proposta dagli originari ricorrenti;
6. la complessità della questione giuridica, sulla quale la giurisprudenza di merito ha espresso orientamenti difformi antecedentemente alla pronuncia di questa Corte intervenuta dopo la proposizione del ricorso, giustifica la compensazione delle spese dell’intero processo;
7. non ricorrono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta le originarie domande.
Compensa integralmente fra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della