Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16841 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 16841 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
Oggetto
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOME COGNOME
Presidente
APPALTI PUBBLICI
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 23/05/2025
Dott. NOME COGNOME
Rel. Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18321/2019 R.G. proposto da:
EMERGENZA RAGIONE_SOCIALE LCA, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
ASST AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE DEGLI SPEDALI CIVILI DI BRESCIA, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
nonché contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE SIENA RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n. 1710/2018 depositata il 07/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il P.G., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso .
FATTI DI CAUSA
1. La società RAGIONE_SOCIALE, società cooperativa a responsabilità limitata (di seguito EMS), cedeva alla società Monte Dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), con contratto di factoring due fatture, per la precisione quelle identificate con il n. 91 del 30/10/2008 per euro 232.000 e n. 104 del 22/12/2008 per euro 330.000, emesse nei confronti d ell’azienda RAGIONE_SOCIALE Brescia (di seguito RAGIONE_SOCIALE ) nell’ambito di rapporto convenzionale per la gestione del servizio di soccorso e servizio di trasporto sanitario urgente 118 per gli anni 2007 e 2008 (nelle due postazioni di Padenghe sul Garda e Pozzolengo).
1.1 L’azienda Ospedaliera ometteva di pagare la fattura n. 91/08 e pagava solo parzialmente la n. 104/08 con residuo debito di 450.000 euro.
RAGIONE_SOCIALE chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Brescia in data 17/7/2009, l’emissione del decreto ingiuntivo n. 5285/09, provvisoriamente esecutivo, per euro 450.000,00 oltre gli interessi e le spese legali, per un totale complessivo di euro 464.450,12,
L ‘Azienda ospedaliera proponeva opposizione con atto di citazione notificato in data 19/10/2009 chiedendo di procedersi alla chiamata in causa di EMS.
L’opponente agiva sostenendo che l’affidamento del Servizio 118 dall ‘azienda Ospedaliera ad EMS (il cui espletamento aveva dato origine alle fatture prodotte in via monitoria) riguardava esclusivamente la rifusione dei costi sostenuti per la gestione del servizio di cui trattasi.
Nel merito, l ‘azienda RAGIONE_SOCIALE dichiarava che, le prestazioni di cui alle fatture esposte nel decreto ingiuntivo erano già state integralmente pagate a favore di EMS. In particolare, si specificava che quanto ai rimborsi riferiti all’anno 2007 vi fosse stato integrale saldo mentre quelli riconducibili all’esercizio del 2008 erano stati pagati in misura superiore al 90 %.
Ciò giustificava la richiesta di chiamata in causa di EMS, originaria titolare dei crediti, nei confronti della quale veniva formulata ‘ domanda di condanna al pagamento dell’eventuale saldo negativo tra costo consuntivo effettivo ammissibile e quota di rimborso spese già erogato, in relazione agli anni 2007 e 2008 ‘.
Nel giudizio così instaurato si costituiva l’opposta MPS che chiedeva l’integrale rigetto dell’instaurata opposizione, svolgendo
comunque richiesta di autorizzazione a chiamare in causa la società cooperativa RAGIONE_SOCIALEche le aveva ceduto il credito richiesto in via monitoria) nei cui confronti svolgeva, in via di subordine, la domanda di restituzione dell’importo ricevuto a titolo di anticipazioni oltre interessi pattuiti per la cessione dei crediti operata, importo pari ad euro 350.447,18.
A seguito dell’atto di chiamata di terzo (richiesta dalla Azienda Sanitaria) si costituiva in giudizio la cooperativa RAGIONE_SOCIALE, la quale evidenziava che l ‘azienda RAGIONE_SOCIALE non aveva osservato i termini contrattuali per la liquidazione ed il pagamento dei compensi del servizio affidato in gestione e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna dell’opponente a rifondere il danno ingiusto conseguente all’inadempimento delle obbligazioni discendenti dalle convenzioni 2007 e 2008 ed alla violazione dei canoni di correttezza e di buona fede e del legittimo affidamento nella esecuzione del contratto, danni quantificati in euro 350.447,18.
La causa veniva istruita mediante CTU contabile avente ad oggetto l’accertamento dei rapporti di dare/avere sussistenti tra le parti, tenuto anche conto della cessione di credito, nonché della quantificazione del danno subito dalla terza chiamata a fronte dell’allegato inadempimento di parte opponente.
Il Tribunale accoglieva l’opposizione proposta dalla azienda RAGIONE_SOCIALE revocando il decreto opposto.
EMS proponeva appello chiedendo l’integrale riforma della sentenza di primo grado.
Si costituivano in giudizio sia l’appellata RAGIONE_SOCIALE che svolgeva altresì appello incidentale sia MPS.
11. La Corte d’Appello di Brescia rigettava sia l’appello principale che quello incidentale.
Per ciò che ancora rileva nel presente giudizio di legittimità, la Corte d’Appello confermava la sentenza nella parte relativa al calcolo del costo del personale utilizzato dalla cooperativa per far fronte al servizio del 118.
In particolare, la Corte d’Appello rigettava il quarto motivo di appello di EMS con il quale si contestavano i criteri di calcolo utilizzati per quantificare i rimborsi in ordine al costo del personale.
Secondo la Corte d’Appello il contesto applicativo della convenzione andava ricondotto nel rigido contesto dei contratti pubblici.
La richiamata convenzione (cfr. p. 33 BURL 47/1999 -doc. 4) enunciava con chiarezza il numero degli operatori sanitari e/o amministrativi che l’associazione poteva occupare, i riferimenti contrattuali di inquadramento dei dipendenti nonché infine le dotazioni personali (abbigliamento/scarpe/ecc) che sarebbero state rimborsate.
Sul punto il CTU aveva ricostruito con attenzione i parametri di riferimento evidenziando che detta questione costituiva il “… punto di sostanziale differenza quantitativa … in effetti EMS rendiconta euro 746.493,20 mentre Az.0sp. ammette euro 595.000 …”(cfr. pp. 22. perizia 01/12/2011).
Pur considerando dette divergenti posizioni, seppur astrattamente condivisibili, il CTU concludeva ritenendo andasse rigorosamente applicata la delibera regionale. Quantunque, come sostenuto da EMS, il numero di operatori in essa indicato potesse essere ritenuto insufficiente a garantire gli standard qualitativi
prescritti, nel contempo le esigenze di contenimento della spesa pubblica non potevano che condurre a limitare, come tetto massimo, il numero di operatori preventivati corrispondenti alle 17 unità operative poi considerate dal perito.
Non era, quindi, condivisibile la ricostruzione effettuata dall’appellante che rinviava all’allegato 15 della delibera (p. 30-31 BURL) nel punto in cui si riferiva alle ore di presenza.
L’interpretazione dell’appellante non era convincente in quanto difficilmente conciliabile con le disposizioni contenute nell’allegato 15/A nel quale erano forniti i criteri applicabili in sede di definizione del costo del personale facendo riferimento agli oneri necessari per retribuzione, oneri e TFR (cfr. p. 33 BURL).
D’altra parte, era la stessa delibera regionale ad esplicitare che “… per ogni automezzo in servizio H 24 è ammesso un limite massimo di rimborso per 6 (sei) dipendenti autisti e/o soccorritori …”. Il tenore letterale non lasciava dubbi.
La Regione aveva ammesso l’esborso nella misura massima di sei operatori (autisti/soccorritori) a cui aggiungersi per ciascun automezzo con equipaggio altri due componenti messi a disposizione dalla Associazione e un ulteriore dipendente con mansioni di amministrativo in comune.
Da ciò derivava che ad EMS, che operava con due ambulanze, potessero essere riconosciuti al massimo 17 dipendenti (di cui 8 in ciascuna ambulanza ed un altro con mansioni di amministrativo) mentre le eventuali ulteriori esigenze andavano soddisfatte con l’utilizzo di personale volontario o senza che il relativo costo venisse, comunque, addebitato alla Regione.
Pertanto, la circostanza che la cooperativa RAGIONE_SOCIALE, anziché il numero massimo ammissibile di 17, avesse 29 dipendenti, oltre a 6 prestatori d’opera occasionale, non poteva rilevare né in sede di rendicontazione amministrativa né tanto meno in sede di accertamento giudiziale del quantum debeatur.
Inoltre, non poteva sottacersi come EMS avesse richiesto computarsi oltre ai 16 soccorritori e ad un dipendente amministrativo (effettivamente considerabili in forza della disciplina contrattuale) anche un coordinatore tecnico con un totale di 18 dipendenti (cfr. p. 15 appello).
Il CTU sul punto era stato categorico (cfr. p. 23 e ss perizia) indicando i criteri utilizzati ai fini della quantificazione del costo personale con riferimento alla categoria di inquadramento contrattuale (4° grado del contratto commercio come disposto in delibera) commisurato ai 16 dipendenti/soccorritori per un totale di euro 572.781,68.
Il diciassettesimo dipendente aveva mansioni amministrative ed era previsto in convenzione e quindi veniva parimenti computato alla luce delle clausole contrattuali.
La Corte, tuttavia, sulla base delle stesse allegazioni dell’azienda Ospedaliera, utilizzando altro ed autonomo criterio di computo, giungeva ad ammettere che il costo del personale potesse essere di euro 595.000,00 come riconosciuto congruo dal perito e dal Tribunale.
Né meritavano accoglimento, non consentendo di diversamente quantificare il “costo personale”, le ulteriori considerazioni svolte dall’appellante in merito al costo orario dei dipendenti soccorritori.
La cooperativa alla luce delle buste paga in atti riteneva, invero, di potere richiedere l’integrale rimborso delle stesse quantunque superiori a quanto previsto dalla delibera regionale. Il Tribunale, aderendo alla ricostruzione peritale, anche in considerazione del fatto che la domanda comprendeva la corresponsione al personale dipendente di indennità non ricomprese nella convenzione (anche a titolo di superminimo) respingeva detta prospettazione ritenendola non coerente con la disciplina regionale di riferimento.
L a Corte d’Appello condivideva tali c onclusioni. Anche l’esame delle buste paga relative al personale utilizzato da EMS che erano state effettivamente prodotte in giudizio non conduceva a quantificare diversamente la somma rimborsabile. E, d’altronde, né gli oneri aggiuntivi, come il lavoro straordinario né il superminimo corrisposto ai dipendenti (come enunciati e richiesti a p. 20 dell’atto di appello e riassunti nel prospetto prodotto sub doc. 8), potevano riconoscersi in ossequio al letterale enunciato della delibera regionale.
Inoltre, si doveva precisare che EMS, anche a fronte delle prime risultanze peritali manteneva una prospettazione forfettaria che però considerava genericamente oneri, indennità e superminimo suggerendo un forfait di € 44.000 (anziché i 35.000 considerati dal perito) per dipendente/soccorritore.
La società RAGIONE_SOCIALE società cooperativa a responsabilità limitata ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di otto motivi di ricorso.
L ‘Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia ha resistito con controricorso.
Il Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME ha concluso per il rigetto d i tutti i motivi del ricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Questioni preliminari
Preliminarmente deve rigettarsi l’eccezione di tardività del ricorso formulata dalla controricorrente.
1.1 Deve condividersi quanto evidenziato dall’ufficio della Procura generale secondo cui l’eccezione è infondata posto che, come risulta dagli atti, il decreto ingiuntivo è stato depositato il 26/6/2009, quindi prima dell’entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, decorrente dal 4 luglio 2009. Si è ormai consolidato, infatti, l ‘orientamento secon do cui il dies a quo della pendenza del procedimento in caso di decreto ingiuntivo è quello della presentazione del ricorso.
In proposito, infatti, deve richiamarsi l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in base alla disposizione di diritto intertemporale di cui all’art. 58, primo comma, della legge 18 giugno 2009, n. 69, la data di instaurazione del giudizio per i procedimenti per decreto ingiuntivo va individuata in quella del deposito del r icorso per l’emissione dello stesso decreto, e ciò indipendentemente dalla circostanza che il giudice investito dell’opposizione avverso il medesimo provvedimento monitorio si dichiari poi incompetente, con riassunzione del giudizio avanti al giudice ritenuto competente (cfr., ad es., Cass. n. 16005/2011 e
Cass. n. 4987/2016). Da tanto consegue che le controversie di opposizione a decreti ingiuntivi, emessi su ricorsi depositati anteriormente al 4 luglio 2009, sono soggette alle disposizioni del Codice di procedura civile e a quelle di attuazione dello stesso codice anteriori alle modifiche introdotte dalla citata legge n. 69/2009. Pertanto, avuto riguardo alla riportata data di deposito del ricorso monitorio, nella fattispecie trova applicazione il disposto del previgente art. 327 c.p.c., contemplante -per il c.d. termine lungo ai fini dell’impugnazione quello di un anno (a cui aggiungere quello della sospensione feriale (Cfr da ultimo Cass. civ. n° 12820/24, n° 27346/23, n° 28629/17).
1.2 È invece fondata l’eccezione di inammissibilità dei contratti collettivi prodotti per la prima volta solo in questo grado, posto che l’art. 372 c .p.c. consente di depositare solo i documenti (pur nuovi) volti a dimostrare la nullità inficiante la sentenza impugnata, derivante da vizi propri dell’atto (così, Cass., sez. un., 27 luglio 2009, n. 17357, con la conseguenza per cui il divieto è destinato a permanere nell’ipotesi in cui sì lamenti la nullità della sentenza per effetto di altre nullità verificatesi nel corso del procedimento e che sulla sentenza si ripercuotono solo per derivazione: Cass., 26 ottobre 2006, n. 23026), nonché quelli attinenti a ogni questione di rito riguardante direttamente l’ammissibilità del giudizio di cassazione, quale la tempestività del ricorso (Cass., Sez. un., 20 giugno 2007, n. 14294) o la tardività dello stesso (Cass., 28 marzo 2000, n. 3736), ovvero la sua inammissibilità per intervenuta acquiescenza (Cass., 29 febbraio 2016, n. 3934)'( Cfr Cass. civ. n° 24942/21).
Ricorso principale
1.3 Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della delibera regionale VI/45819 del 22.10.1999, del relativo allegato 15/A, della normativa di riferimento delle cooperative sociali l.n. 381/91 e della l.r. n. 16/93 in merito al riconoscimento del numero di dipendenti, il cui costo aziendale è rimborsabile.
La Corte d’Appello, nella ricostruzione della fattispecie astratta, avrebbe adottato un ‘ interpretazione restrittiva che ritiene (erroneamente) rimborsabili i costi di solo 17 dipendenti in tal modo violando, innanzi tutto, il principio stabilito dalla delibera regionale in base alla quale dovrebbero esser rimborsati tutti i costi effettivamente sostenuti e, disattendendo la delibera anche nella parte in cui differenzia l’erogazione del servizio dalle associazioni di volontariato rispetto alle cooperative sociali nel rispetto della l. n. 381/91 e della l.r. n.16/93.
Questa minore possibilità di valersi di lavoro volontario determinerebbe l ‘ impossibilità (economica) per EMS e per le cooperative sociali onlus di gestire il servizio di emergenza e urgenza, su due posizioni, con soli 17 dipendenti.
Il numero dei dipendenti della cooperativa, anche se superiore a 17, era indispensabile per la corretta esecuzione del servizio 118 in aderenza alla normativa in materia di lavoro che impone turni di riposo, ferie periodi di malattia, nonché inosservanza della disciplina delle cooperative sociali che prescrive che i volontari non superino la metà dei dipendenti.
Peraltro, si dovrebbe far riferimento non tanto al numero dei dipendenti complessivamente assunti dalla cooperativa ma alle ore che 17 dipendenti potrebbero coprire se non usufruissero di
congedi permessi retribuiti ferie malattie e formazione. L’unica interpretazione possibile sarebbe quella di rimborsare il costo del personale calcolato sulle ore di presenza per 35.000 ore annue. In quanto per ogni turno erano in servizio 17 dipendenti è tale il costo richiesto come rimborso dalla ricorrente.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Errore, violazione e falsa applicazione della delibera regionale VI/45819 del 22.10.1999, del relativo allegato 15/A e del CCNL del commercio in merito alla quantificazione del costo del personale compiuto dal CTU in primo grado.
Il CTU di primo grado si sarebbe limitato, in violazione di quanto disposto dalla delibera VI/45819, a formulare un calcolo a forfait , peraltro, nemmeno coerente con i presupposti matematici enunziati (17 dipendenti, IV livello del contratto collettivo più oneroso).
Il metodo utilizzato dal consulente tecnico di ufficio sarebbe erroneo privo di qualsiasi conteggio matematico, non verificabile in quanto non consentirebbe di verificare il metodo di calcolo dell’indennità notturna per 16 dipendenti nonostante siano ammessi 17. In ogni caso non sarebbe ammessa qualsiasi forma di forfait.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Nullità della sentenza per assenza di motivazione, o per motivazione apparente, in ordine all’adesione da parte della Corte d’Appello di Brescia alla quantificazione del costo del personale compiuta dal CTU in primo grado.
La censura è ripetitiva di quella svolta con il secondo motivo sotto il profilo della mancanza o mera apparenza della motivazione sulla quantificazione del costo del personale.
3.1 I primi tre motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Deve premettersi che della complessa vicenda processuale residua solo la questione relativa al rimborso del costo del personale per la prestazione del servizio di attività di soccorso e trasporto sanitario urgente regionale (cd autoambulanza 118), negli ambiti territoriali delle due postazioni bresciane di Padenghe del Garda (BS) e di Pozzolengo (BS), per gli anni 2007 e 2008.
In sostanza la ricorrente, ribadita l’impossibilità di gestire il servizio con 17 dipendenti, chiede di riconoscere il costo del personale in relazione al monte ore necessario per assicurare il servizio senza turni di riposo, ferie, malattia o formazione ed in ogni caso chiede di riconoscere le maggiorazioni per straordinari e indennità notturne e, con i motivi successivi, anche il cosiddetto super minimo per gli anni 2007 e 2008.
Deve ancora premettersi che, come riconosciuto da entrambe le parti con la delibera VI/45819, la Regione Lombardia ha inteso superare il sistema di determinazione dei costi a forfait, introducendo un sistema composto di preventivazione ex ante/rendicontazione ex post per controllare e limitare la spesa pubblica. Il Servizio è stato affidato (quale appalto pubblico di servizi) alla Cooperativa ricorrente dalla controricorrente (Azienda Ospedaliera Spedali civili di Brescia – oggi Azienda Socio-Sanitaria INDIRIZZO di Brescia) -committente pubblica affidataria per
conto della Azienda Regionale RAGIONE_SOCIALE (A.R.E.U.) ed è finanziato da fondi del Servizio Sanitario Regionale.
La ricorrente lamenta in primo luogo l’erronea interpretazione della delibera regionale VI/45819 del 22/10/1999, del relativo allegato 15/A, della normativa di riferimento delle cooperative sociali l. n. 381/91 e l.r. n. 16/93, in merito al riconoscimento del numero di dipendenti, il cui costo aziendale è rimborsabile.
In particolare , ritiene erronea l’interpretazione operata dalla Corte d’Appello dell’allegato 15/A che così recita: Per quanto concerne il personale dipendente dell’Associazione, che deve essere assunto con regolare rapporto di lavoro escludendo la possibilità di qualsiasi altra forma di rapporto, sono riconosciuti i costi relativi alla retribuzione, agli oneri ed al TFR di competenza dell’esercizio. Per ogni automezzo in servizio H 24 è ammesso un limite massimo di rimborso per 6 (sei) dipendenti autisti e/o soccorritori, per automezzi con equipaggio a 2 (due) componenti messi a disposizione dall’associazione .
Secondo la ricorrente, accedendo a ll’interpretazione restrittiva della Corte d’Appello , il servizio non avrebbe potuto essere svolto correttamente dalla medesima cooperativa sociale. La censura, tuttavia, trascura di considerare che il rapporto giuridico tra committente e cooperativa è dettagliatamente regolato oltre che dalla delibera della Giunta della Regione Lombardia (dgr) n. Vl/45819/1999 (e, in particolare dagli allegati 15 e 15A, che ne costituiscono parte integrante) dalle due convenzioni annuali sottoscritte tra le parti, per l’anno 2007 in data 11.7.2007 e, per l’anno 2008 in data 10.12.2008.
3.2 Un primo rilievo di inammissibilità delle censure in esame riguarda la mancanza nel ricorso di qualsiasi riferimento alle convenzioni che regolano il suddetto rapporto contrattuale tra l’azienda ospedaliera e la cooperativa. L ‘azienda Ospedaliera nel proprio controricorso ha evidenziato come le convenzioni esecutive 2007 e 2008 sottoscritte tra le parti, abbiano fissato un importo contrattuale massimo preventivato ed espressamente concordato tra le parti di euro 760.000,00 per l’anno 2007 e di euro 1.090.000,00 per l’anno 2008. La dgr Vl/45819 ha previsto che tali importi possano essere eccezionalmente superati, non oltre la limitata misura del 10 % e solo a condizione che, nel corso dell’anno cui il preventivo si riferisce e prima che si determini il superamento della soglia fissata dal preventivo, pervenga alla Azienda Ospedaliera committente una comunicazione l richiesta congruamente motivata dell’affidatario del servizio con la quale si rappresentano le circostanze imprevedibili che impongono lo scostamento e si chiede la rinegoziazione del preventivo nei termini indicati.
L ‘allegato 15/a cui fa riferimento la ricorrente ha ad oggetto lo schema di rendicontazione per il servizio e si fonda sulla delibera regionale e sulle convenzioni attuative. Di queste ultime la ricorrente omette del tutto ogni riferimento rendendo inammissibile sotto tale profilo le censure sollevate.
Infatti, il vizio di violazione di legge è inammissibile perché la delibera regionale richiamata è atto amministrativo la cui eventuale violazione non può costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge, in quanto non contiene norme di diritto. Come evidenziato dal P.G., infatti, la delibera regionale in
questione, che regola il rapporto giuridico fra amministrazione committente e cooperativa appaltatrice del servizio in questione, è un atto amministrativo sicuramente non normativo, poiché non è rivolto ad una generalità indistinta di consociati, ma ad una categoria determinata a priori e non ha capacità innovativa, poiché non è volto ad integrare una disciplina di rango primario.
Anche la censura di violazione della legge n.381/91 «Disciplina delle cooperative sociali» e della l.r. n. 16/93 è inammissibile, trattandosi di una doglianza del tutto generica e non riferita a singole e specifiche norme. Infatti, le suddette leggi sono richiamate senza alcuna indicazione specifica, salvo il richiamo che la stessa delibera regionale fa alla determinazione dei corrispettivi sulla base di parametri oggettivi di costo.
In sostanza, il richiamo alle suddette leggi è svolto da parte della ricorrente al solo fine di addivenire ad un’interpretazione della delibera regionale e del suddetto allegato 15/A nel senso che i costi sostenuti per il personale dalla cooperativa devono essere integralmente rimborsati. Risulta evidente che una siffatta interpretazione non è in alcun modo plausibile, perché necessariamente nel rapporto tra committente e affidatario devono essere preventivamente regolati i termini di erogazione del servizio e i relativi costi, tenuto conto peraltro che il passaggio da un corrispettivo a forfait ad uno a rimborso era dettato proprio dall’esigenza di contenere la spesa .
Sotto questo profilo deve condividersi quanto osservato dal P.G. nelle sue conclusioni circa il fatto che: ‘L’interpretazione dell’atto amministrativo a contenuto non normativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A., è riservata al giudice di
merito e soggiace alle regole dettate per l’interpretazione dei contratti, sia pure con qualche adattamento, soprattutto in considerazione del carattere unilaterale dello stesso (cfr. Cass., Sez. U, 25.07.2019, n. 20181; Cass., Sez. L, 23.07.2010, n. 17367 )’ ( Cfr da ultimo Cass. civ. n° 15367/24 ).
L’interpretazione del contratto -come pure l’interpretazione dell’atto amministrativo – traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi del novello art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass., Sez. L. 04.04.2022, n. 10745). Nessuna delle censure, però, può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. In particolare, ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire.
La denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr. Cass. 22.02.2007, n. 4178; Cass., Sez. 2, 03/09/2010, n. 19044 )’ ( Cass. civ. n°15367/24).
Dunque richiamati i normali canoni ermeneutici e i limiti del sindacato di legittimità rispetto all’ attività interpretativa effettuata dal giudice di merito, quella svolta da lla Corte d’Appello di Brescia risulta del tutto plausibile e perfettamente coerente con il complessivo quadro normativo di riferimento in relazione all’affidamento del servizio alle RAGIONE_SOCIALE come evidenziato nella stessa delibera regionale dove si fa riferimento alla perfetta compatibilità del sistema a rimborso con quanto previsto dalla l.r. n. 16/93 laddove, all’art.10, (determinazione dei corrispettivi) viene previsto che «per la fornitura di beni e servizi ….. i corrispettivi vengono determinati sulla base di parametri oggettivi di costo» o schema tipo di convenzione.
La Corte d’appello di Brescia, dunque, ha ampiamente motivato le ragioni per le quali la delibera regionale per la parte sopra riportata ammetteva l’esborso nella misura ivi indicata e le censure svolte si limitano a proporre un’interpretazione dell’atto alternativa e più favorevole alla ricorrente, senza riportare il contenuto delle convenzioni, senza indicare i canoni interpretativi violati e senza individuare le norme specifiche che la Corte avrebbe violato se non mediante un generico riferimento alle l.n. 381/91 e l.r. 16/93.
Viceversa, come si è detto, l’ interpretazione fornita dalla Corte è del tutto plausibile in relazione all’accertamento del numero dei dipendenti i cui costi sarebbero rimborsabili, alla luce del tenore letterale delle espressioni usate e dello scopo della delibera di contenere la spesa pubblica, incompatibili con la tesi della Cooperativa della rimborsabilità di tutti i costi effettivamente sostenuti e documentati e considerato che il rapporto della committente con l’appaltatrice resta distinto da quello di quest’ultima con i lavoratori subordinati e volontari, che solo il datore di lavoro è tenuto a tutelare. Pertanto, la circostanza che la cooperativa RAGIONE_SOCIALE, anziché il numero massimo ammissibile di 17, avesse 29 dipendenti oltre a 6 prestatori d’opera occasionale non può rilevare né in sede di rendicontazione amministrativa né tanto meno in sede di accertamento giudiziale del quantum debeatur .
In definitiva le censure proposte con i motivi in esame sono inammissibili, poiché in primo luogo la ricorrente contesta la violazione di una norma di diritto con riferimento ad un atto amministrativo che non ha natura normativa e non riporta il contenuto delle convenzioni e non deduce alcuna violazione di
norme di interpretazione negoziale ma pone in discussione solo il criterio a forfait adottato dal consulente.
Quanto al vizio di assenza di motivazione, o motivazione apparente la censura proposta è altrettanto inammissibile. Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); -nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato in relazione al costo del personale determinato sulla scorta del riferimento letterale della delibera al 4° del contratto commercio, commisurato a 16 dipendenti/soccorritori, oltre al dipendente con mansioni amministrative, per un totale di € 572.781,68. Peraltro, la Corte ha riconosciuto in favore della Cooperativa la maggiore somma già ammessa dall’Azienda pari a € 595.000,00, (vedi pagg. 28 -30)., nonostante la maggiore somma richiesta dalla Cooperativa con criterio forfettario non potesse giustificarsi in quanto comprendente
indennità non contemplate dalla convenzione e nonostante le risultanze delle buste paga non conducessero a diversamente quantificare la somma rimborsabile.
Deve condividersi anche in questo caso il rilievo del P.G. secondo cui la Corte d’Appello ha anche sottolineato che l’invocata quantificazione del costo dei lavoratori con riferimento alle ore di presenza non era conciliabile con le disposizioni contenute nell’allegato 15/A, ‘nel quale vengono forniti i criteri applicabili in sede di definizione del costo del personale, facendo riferimento agli oneri necessari per retribuzione, oneri e tfr’ ( Cfr pagg 26 e 27) e che la motivazione è esistente e non apparente, rientra nel cd. minimo costituzionale e la censura si risolve in un’inammissibile richiesta di un nuovo apprezzamento dei fatti di causa.
Quanto al metodo utilizzato dal consulente tecnico di ufficio la censura è inammissibile per le medesime ragioni fin qui esposte.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame delle buste paga dei lavoratori di EMS e conseguente omesso esame circa il superminimo ivi contenuto, nonché contraddittoria interpretazione della sentenza di primo grado, quale fatto decisivo per il giudizio.
Parte ricorrente, che aveva lamentato l’o messa ricognizione e valutazione delle buste paga da parte del giudice di prime cure, contesta l’insufficiente motivazione con la quale la Corte d’Appello che, diversamente dal Tribunale, ha dato atto di aver valutato le buste paga, ha considerato tali documenti inidonei a diversamente qualificare la somma rimborsabile.
4.1 Il quarto motivo è inammissibile.
Ricorre un’ipotesi di doppia conforme che rende inammissibile il motivo di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Infatti, ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice. (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 – 01)
Nella specie la Corte d’Appello pur dando atto della presenza delle buste paga ha comunque condiviso la motivazione del Tribunale che, aderendo alla ricostruzione peritale, aveva escluso indennità non ricomprese nella convenzione (anche a titolo di superminimo) ritenendole non coerenti con la disciplina regionale di riferimento.
Infatti, la Corte ha esaminato le buste paga e ha affermato che anche la loro produzione non avrebbe potuto condurre ad un conteggio diverso da quello effettuato dal CTU, poiché non avrebbero potuto essere rimborsate le indennità ivi riconosciute ai lavoratori, come oneri aggiuntivi, lavoro straordinario e superminimo, non ricomprese nella convenzione. E, d’altronde, né gli oneri aggiuntivi, come il lavoro straordinario né il superminimo corrisposto ai dipendenti (come enunciati e richiesti a p. 20 dell’atto
di appello e riassunti nel prospetto prodotto sub doc. 8), non sarebbero mai stati riconoscibili in ossequio al letterale enunciato della delibera regionale.
In ogni caso, come evidenziato dal P.G. le buste paga sono state esaminate e, dunque, anche sotto questo profilo il motivo è inammissibile.
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: Errore, violazione e falsa applicazione della delibera regionale VI/45819 del 22.10.1999, del CCNL del Commercio applicato, dell’art 36 Cost. e dell’art 2099 c.c., in merito al riconoscimento del superminimo.
La censura attiene alla interpretazione del CCNL e della delibera in ordine alla retribuzione da intendersi come omnicomprensiva.
Si chiede pertanto di considerare integralmente le spese per il personale o comunque di calcolare il costo integrale dei 17 dipendenti su 24 ore e con tutte le voci.
5.1 Il quinto motivo è inammissibile per le medesime ragioni già sopra esposte. Parte ricorrente contesta, alla stregua di una violazione di norma di diritto, l’interpretazione, non implausibile, di un atto amministrativo non normativo, senza specificare i canoni interpretativi violati. In s econdo luogo, critica l’interpretazione della delibera sulla scorta delle previsioni del contratto collettivo di lavoro del commercio, tardivamente prodotto e non esaminabile dalla Corte per quanto sopra detto (vedi punto 1.2).
Come evidenziato dal P.G. peraltro, il richiamo all’art. 36 Cost . e all’art. 2099 cc è inconferente, poiché la delibera in questione regola i rapporti fra la committente e l’appaltatrice e non i rapporti fra questa ed i suoi dipendenti o collaboratori e le norme in
questione trovano applicazione solo nell’ambito di tali rapporti, mentre il rapporto oggetto del presente giudizio ben può prescinderne, perché ha ad oggetto non una prestazione lavorativa, ma quella di un servizio, a fronte di un corrispettivo, quantificato secondo criteri stabiliti dalle parti e da calcolarsi a seguito di una procedura di rendicontazione amministrativa.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: Nullità della sentenza per assenza di motivazione, o per motivazione apparente, in ordine al rigetto della tesi dell’appellante relativa al riconoscimento del costo orario superiore a quello ammesso da RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’Appello, avrebbe omesso di motivare, ovvero avrebbe formulato una motivazione apparente, solo formale e sostanzialmente incomprensibile, a fondamento del rigetto della proposta formulata da EMS, in giudizio, di ottenere una determinazione forfettaria del costo del personale nella misura di euro 44.000,00 annui per dipendente, in luogo dei 35.000,00 euro annui riconosciuti dal CTU e condivisi dai Giudici del primo e del secondo grado.
Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Contraddizione della motivazione tesa al l’ esclusione della CTU contabile e conseguente omessa rideterminazione del rimborso per il costo del personale, quale fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 n. 5) c.p.c.
7.1 Il sesto e il settimo motivo di ricorso, che stante la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Entrambe le censure sono proposte come vizio di motivazione.
Si è già detto che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014).
Con riferimento alla censura in esame, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato circa il criterio di determinazione del costo del personale sulla scorta del riferimento letterale della delibera al 4° del contratto commercio, commisurato a 16 dipendenti/soccorritori, oltre al dipendente con mansioni amministrative, per un totale di € 572.781,68.
D’altra parte , la richiesta di una quantificazione forfettaria oltre ad essere in contraddizione con quanto dedotto con i motivi precedenti non può ricomprendere indennità non contemplate dalla convenzione. Infine, si è già evidenziato che la Corte ha riconosciuto, in favore della Cooperativa la maggiore somma già ammessa dall’Azienda pari a € 595.000,00, (vedi pagg. 28 -30).
La Corte ha anche sottolineato che l’invocata quantificazione del costo dei lavoratori con riferimento alle ore di presenza non è conciliabile con le disposizioni contenute nell’allegato 15/A, ‘nel quale
vengono forniti i criteri applicabili in sede di definizione del costo del personale, facendo riferimento agli oneri necessari per retribuzione, oneri e tfr’ ( Cfr pagg 26 e 27) . Anche in questo caso, pertanto, la motivazione è esistente e non apparente, rientra nel cd. minimo costituzionale e la censura si risolve in un’inammissibile richiesta di un nuovo apprezzamento dei fatti di causa.
Infine, con specifico riferimento al settimo motivo, oltre alle ragioni di inammissibilità del vizio di motivazione contraddittoria deve rilevarsi che è inammissibile la censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per le medesime ragioni già evidenziate con riferimento ai motivi precedenti dato che la sentenza della Corte d’Appello è del tutto conforme a quella di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’).
Peraltro, devono ancora una volta richiamarsi le condivisibili conclusioni del P.G. che ha evidenziato come rientri nel potere discrezionale del giudice di merito accogliere o rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza, senza che l’eventuale provvedimento negativo possa essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta’ ( Cfr Cass. civ. n° 21525/19, n° 22799/17).
Nel caso in esame si evince dal complesso della motivazione che la Corte ha ritenuto superflua la CTU, anche se ha rilevato la presenza in atti delle buste paga, perché il loro esame non avrebbe portato ad una quantificazione diversa da quella effettuata dal CTU, stante la presenza di voci non dovute.
Ric. 2019 n. 18321 sez. S2 – ud. 23/05/2025
L’ottavo motivo di ricorso rubricato rideterminazione delle spese di lite è inammissibile in quanto presuppone l’accoglimento dei motivi precedenti.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 6500, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione