Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25767 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25767 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26882/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
e nei confronti di
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO, in persona del rappresentante legale, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
e sul ricorso incidentale condizionato proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO, in persona del rappresentante legale, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-ricorrente incidentale- nei confronti di
REGIONE LAZIO; RAGIONE_SOCIALE;
-intimate – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2262/2022, depositata il 05/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE cessionaria della Provincia Italiana dei Figli dell’Immacolata Concezione (d’ora in avanti PICFIC), agiva in giudizio per ottenere la condanna, a titolo contrattuale o, in subordine, a titolo extracontrattuale o per arricchimento ingiustificato, della ASL Rm 1 (già ASL Rm E) e della Regione Lazio al pagamento della somma di euro 22.442.245,79, oltre agli
interessi ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 231/2002, alla rivalutazione e al maggior danno, di cui euro 13.959.693,87, quali arretrati e incrementi del CCNL del costo del personale, ed euro 8.482.551,92, per indennità di esclusività.
La ASL convenuta eccepiva il difetto di legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE e il proprio difetto di legittimazione passiva, contestava la sussistenza del credito, essendo il costo del personale dipendente un costo di impresa, compreso già nella remunerazione delle prestazioni sanitarie, si doleva della mancata specificazione dei criteri utilizzati dalla PICFIC per la determinazione dell’indennità di esclusività medica e della mancata prova che detta indennità fosse stata effettivamente corrisposta, confutava anche la pretesa risarcitoria e quella di arricchimento ingiustificato, deducendone l’assenza dei presupposti di legge.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 4258/2016, rigettava le domande di Ubi RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, rilevando, oltre alla inopponibilità e all’inefficacia dell’atto di cessione dei crediti per violazione dell’art. 70 r.d. n. 2440/2023 e dell’art. 9, all. E della l. n. 224/1865, anche l’infondatezza della pretesa, essendo stata la RAGIONE_SOCIALE già remunerata nei limiti del tetto di spesa per le prestazioni sanitarie erogate e non potendo pretendere ulteriori somme per costi di cui era tenuta a farsi carico, in quanto costi di impresa.
Detta pronuncia è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 2262/2022, depositata il 5 aprile 2022.
RAGIONE_SOCIALE San RAGIONE_SOCIALE quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando quattro motivi, cui resistono con controricorso la Regione Lazione e la ASL ROMA 1; quest’ultima propone anche ricorso incidentale condizionato basato su un motivo.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
In vista dell’odierna Camera di Consiglio, tutte le parti depositano memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso principale di Intesa San Paolo S.p.A.
1) Con il primo motivo si denunziano la violazione della l. n. 132/1968, degli artt. 1, 2, 16,18 del d.p.r. n. 130/1969, dell’art. 12 del d.p.r. n. 128/1969, degli artt. 41, 42, 43 della l. n. 833/11978; dell’art. 25 del d.p.r. n. 761/1979, dell’art. 4, 12° comma, del d.lgs. n. 229/1999, dell’art. 4 del d.p.c.m. n. 27/03/2000 nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 quinquies e 8 sexies del d.lgs. n. 502/1992, dell’art. 3 del d.m. 15/04/2004, la violazione dell’art. 18 della l. n. 172/2017, la violazione del principio di copertura dei costi per i concessionari di pubblici servizi, la violazione dell’art. 117 del d.lgs. n. 267/2000, dell’art. 1, 1° comma, seconda parte, del Reg.CE n. 1370/2007, la violazione dell’art. 2697 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la corte d’appello ha ritenuto che gli ospedali classificati e gli IRCSS -l’Ospedale San Carlo di Nancy, la struttura cedente, aveva ottenuto l’equiparazione prevista dall’art. 129 del d.p.r. n. 130/1969 ed era stato classificato come Ospedale Generale di zona -essendo da equiparare agli istituti privati in regime di accreditamento e da sottoporre alla disciplina valevole per essi, non hanno l’obbligo di erogare prestazioni eccedenti il limite di spesa, che l’equiparazione agli ospedali pubblici non ha carattere gnerale, ma limitato a precisi e circoscritti aspetti organizzativi (servizi e titoli ai fini dell’esame di idoneità, concorsi e assunzioni e trasferimenti), come confermato dal carattere speciale delle norme in materia, che non vi era accordo per l’erogazione di costi ulteriori rispetto a queli relativi al corrispettivo delle prestazioni sanitarie rese .
La ricorrente sostiene, dopo avere elencato la normativa applicabile al caso di specie (pp. 15-19), che: i) gli ospedali classificati e gli IRCSS, insieme con gli ospedali pubblici, sono inseriti nell’ambito della programmazione sanitaria nazionale; ii) hanno sempre ricevuto una disciplina diversa da quella degli istituti accreditati e assimilabile a quella dettata per le strutture pubbliche; iii) le ragioni di contenimento della spesa pubblica che hanno indotto ad introdurre i tetti di spesa non valgono a sottrarli all’applicazione delle stesse regole valevoli per le aziende sanitarie pubbliche; iv) oltre a non essere sottoposti al limite del tetto di spesa programmato (almeno fino alla modifica dell’art. 1, 1, 18° comma, e 8 quinquies del d.lgs. n. 502/1992, introdotta con l’art. 79 del d.l. n. 112/2008 convertito nella l. n. 133/2008, attuata con ritardo dalla Regione Lazio con la l. regionale n. 3/2010), sono tenuti ad adeguare i propri ordinamenti del personale alle disposizioni dell’art. 13 del d.lgs. n. 229/1999.
La conseguenza che ne trae è che a tale obbligo non può che corrispondere, come per le strutture pubbliche, il rimborso dei relativi costi; costi che non sono coperti dal corrispettivo spettante loro per le prestazioni sanitarie rese.
Tale conclusione troverebbe conferma nell’art. 18, della l. n. 172/2017 – norma di interpretazione autentica e quindi avente effetto retroattivo che prevede che l’art. 15 -undecies del d.lgs. n. 502/1992 debba interpretarsi nel senso che «i servizi prestati e i titoli acquisiti dal personale degli enti e degli istituti ivi previsti (…) sono equiparati ai servizi prestati e ai titoli acquisiti presso le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale, anche per quel che concerne la possibilità di ottenere la mobilità dai medesimi enti ed istituti verso le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale e da queste verso gli enti e gli istituti stessi». Il riconoscimento normativo di detta mobilità non può che supporre il medesimo modello remunerativo; di talché i maggiori costi
sopportati per l’adeguamento delle retribuzioni e per l’indennità di esclusività non possono ritenersi compresi nei costi di remunerazione delle prestazioni sanitarie.
In aggiunta, la corte d’appello non avrebbe tenuto conto che:
i) l’art. 2, comma 2°, della l. n. 132/1968 (c.d. legge Mariotti) impone agli ospedali religiosi e classificati di fornire sempre e comunque la prestazione richiesta, senza limiti di sorta e senza l’obbligo di sottoscrivere convenzioni o qualsivoglia tipo di accordo con l’ente pubblico concedente; b) il tetto di spesa non può ricomprendere né le scelte dirigenziali dei dipendenti pubblici equiparati che abbiano optato per l’attività sanitaria intra moenia né gli aumenti dei contratti collettivi nazionali di lavoro che sono legati all’inflazione e alle trattative con le associazioni sindacali di categoria su base nazionale; c) le tariffe di remunerazione delle prestazioni sanitarie sono fissate sulla base del costo standard di produzione e dei costi generali, in quota percentuale rispetto ai costi standard di produzione, calcolati in via preventiva dalle Regioni e dalle Province autonome, sulla base dei costi rilevati presso un campione di soggetti erogatori, pubblici e privati, operanti nell’ambito del servizio sanitario nazionale del territorio nazionale e regionale; dunque, il costo del lavoro è criterio determinativo della tariffa, essendo detti costi aggiuntivi non già previsti nelle tariffe i cui valori erano fermi al 1994-1997; d) la copertura dei costi, quale criterio per la formazione della tariffa, è espressione di un principio generale immanente all’ordinamento, ricavabile, fra gli altri, dall’art. 117 del d.lgs. n. 267/2000 che impone che la determinazione della tariffa debba avvenire in misura tale da rispettare l’equilibrio economico -finanziario dell’investimento e della corretta gestione; detto principio è espresso dal Reg. CE n. 1370/2007, relativo alle «condizioni alle quali le autorità competenti, allorché impongono o stipulano obblighi di servizio pubblico, compensato gli operatori di servizio
pubblico per i costi sostenuti e/o conferiscono loro diritti di esclusiva in cambio dell’assolvimento degli obblighi di servizio pubblico», ed è stato avallato dalla Corte di Giustizia della Unione Europea nella sentenza RAGIONE_SOCIALE e nelle decisioni C- 34/01, C.38/01 e C-706/17, secondo cui le compensazioni a favore dei soggetti che erogano servizi pubblici non costituiscono aiuti di stato se non eccedono quanto necessario per coprire tutti o parte dei costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico; e) il mancato riconoscimento della copertura dei costi determinerebbe un trattamento preferenziale in favore delle imprese pubbliche che, come quelle private accreditate, offrono prestazioni sanitarie; f) con decisione del 28 novembre 2005, riguardante l’applicazione dell’art. 86, paragrafo 2, del Trattato CE agli aiuti di Stato sotto forma di compensazione degli obblighi di servizio pubblico, concessi a determinate imprese incaricate della gestione di sevizi d’interesse economico generale, la Commissione europea, allo scopo di evitare effetti distorsivi della concorrenza, ha reputato inammissibili compensazioni per obblighi di servizio pubblico concesse ad ospedali e ad imprese aventi incarichi di edilizia popolare che svolgono attività considerate dallo Stato membro come servizi di interesse economico generale, rilevando che la compensazione non può eccedere i costi determinati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto degli introiti relativi agli stessi nonché di un margine di utile ragionevole del capitale proprio necessario per l’adempimento di detti obblighi; f) l’azienda sanitaria neppure aveva dato la prova che il budget determinato per l’Ospedale San Carlo già ricomprendeva detto rimborso; g) essendo il pagamento obbligatorio era irrilevante che le parti non ne avessero convenuto il pagamento.
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 1, 2, 16 e 18 della l. n. 312/2968, dell’art. 129 del d.p.r. n. 130/1969, degli artt. 25, 41 e 42 e 43 della l. n. 833/1978, dell’art. 25 del d.p.r. n. 761/1979, dell’art.1, 8° comma, dell’art. 4, 12° comma, dell’art. 8 quinquies , 2° comma del d.lgs. n. 502/1992, dell’art. 1 e 13 del d.lgs. n. 229/1999, dell’art. 79 del d.l. n. 112/2008 (convertito nella l. n. 133/2008) e dei principi generali in materia di strutture sanitarie equiparate alle strutture pubbliche, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
La tesi della ricorrente è che i limiti di spesa non siano applicabili al caso di speice quantomeno sino al 2008 (per le ragioni già chiarite) e allo scopo richiama la giurisprudenza amministrativa secondo cui per le strutture che risultano consustanziali al sistema sanitario nazionale, ospedali pubblici, ospedali classificati, IRCCS ecc., non è teorizzabile l’interruzione delle prestazioni agli assistiti al raggiungimento di un ipotetico limite di spesa eteronomamente fissato.
Successivamente, per i crediti del 2009, considerando che la Regione Lazio ha dato attuazione alle modifiche agli artt. 8 quinquies e 8 sexies del dlgs. n. 502/1992 solo con la legge regionale n. 3/2010, avrebbe dovuto trovare applicazione il regime dell’accreditamento provvisorio che attua la prosecuzione, fino alla concessione dell’accreditamento definitivo ed alla stipula dei relativi accordi contrattuali, dei rapporti tra l’amministrazione sanitaria e i soggetti delle cui prestazioni si avvaleva; solo con l’accreditamento definitivo sarebbe stato possibile stipulare le nuove convenzioni, con la corretta definzione dei costi standard .
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione dell’art. 2043 cod.civ. e dei principi di buna fede e di legittimo affidamento, in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ., per non avere il giudice a quo tenuto conto che una serie di atti e provvedimenti amministrativi provenienti dall’azienda sanitaria e
dagli Uffici ministeriali (le note del Ministro della sanità del 21 giugno 1997 e del 17 gennaio 2001 che avevano, rispettivamente, riconosciuto l’identità delle funzioni svolte dagli enti ospedalieri a valenza pubblicistica a quelle svolte dal personale delle strutture pubbliche e la piena equiparazione, sotto il profilo funzionale, organizzativo e di erogazione di servizi, tra ospedali classificati e i corrispondenti ospedali pubblici, e l’obbligatorietà dell’adeguamento degli ordinamenti a quelli valevoli per la dirigenza pubblica, i cui costi non potevano trovare copertura nel sistema di pagamento a tariffe prestabilite per la prestazione, con la conseguenza che le Regioni non potevano «esimersi dal farsi carico anche degli oneri in questione» ; la mozione del 17 giugno 2006 con cui l’ente territoriale aveva impegnato la Regione ad inviduare nel bilancio di previsione lo stanziamento necessario alla copertura degli oneri derivanti dal rimnovo dei contratti collettivi per il personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale e degli accordi collettivi nazionali), unitamente alla condotta della Regione Lazio che negli anni 2001-2004 aveva provveduto ad erogare il rimborso di parte dei costi, sostenuti a titolo di maggiori oneri, avevano ingenerato il legittimo affidamento della struttura cedente circa il rimborso dei maggiori oneri contrattuali.
4) Con il quarto motivo parte ricorrente imputa al giudice a quo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 cod.civ., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la corte territoriale ha ritenuto che non sussitessero né il criterio della sussidarietà né gli altri presupposti di cui all’art. 2041 cod.civ.: la sussidiarietà derivererebbe, invece, dalla proposizione della domanda ex art. 2041 cod.civ. in via di estremo subordine rispetto alle altre domande entrambe rigettate; quanto ai restanti presupposti la ricorrente sostiene che era tenuta solo a provare l’arricchimento in
favore della P.A. e non anche l’accettazione da parte di essa della correlativa utilità.
Ricorso incidentale condizionato dell ‘Azienda Unità Sanitaria Locale Roma 1
La ricorrente deduce l’omessa pronuncia sull’eccezione di carenza di propria legittimazione passiva per essere legittimata passiva la Regione Lazio, per effetto dell’art. 1, comma 10 D.L. 324/1993, convertito in L. 423/1993, in uno con le modalità di pagamento delle prestazioni sanitarie di cui alla DGR 602/2004 ed alle sue circolari applicative, con cui la Regione Lazio aveva avocato a sé la regolazione dei flussi finanziari mensili nei confronti degli ospedali classificati.
Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, esaminabili congiuntamente, perché presentano una evidente connessione, sono infondati.
Corrisponde al vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte -v., a titolo esemplificativo, Cass. 3/01/2023, n.56; Cass. 03/07/2024, n. 18267 – occorre distinguere tra strutture pubbliche e strutture ad esse equiparate (quali gli ospedali classificati, gli IRCCS et similia ) e le strutture private accreditate e che «solo per le seconde, invero, ha senso parlare di imposizione di un limite alle prestazioni erogabili, mentre per le strutture, che “risultano consustanziali al sistema sanitario nazionale (Ospedali pubblici, Ospedali classificati, I.R.C.C.S., etc.)” non è neppure teorizzabile l’interruzione delle prestazioni agli assistiti al raggiungimento di un ipotetico limite eteronomamente fissato. Infatti, la struttura ospedaliera non può sottrarsi al dovere, non negoziabile, di erogare il servizio pubblico a tutti gli utenti, dovendo, dunque, ricondursi il tetto delle prestazioni erogabili al limite strutturale dell’ospedale, sicché anche gli ospedali privati classificati hanno l’obbligo di rendere le prestazioni richieste dagli assistiti, nei limiti consentiti dalla loro capacità operativa determinata dall’assetto strutturale ed
organizzativo»; ciò almeno sino al 2008; con decorrenza, infatti, dal 1° gennaio 2009 anche per gli enti in questione è venuto imponendosi il principio della remunerazione a prestazione in base ai tetti di spesa ed ai volumi di attività predeterminati annualmente dalla programmazione regionale nel rispetto dei vincoli di bilancio.
Tanto precisato, però, ciò non giova alla ricorrente, perché non può trarsene la conclusione che, in assenza di uno specifico accordo con la Regione Lazio, l’Ospedale San Carlo di Nancy, benché classificato, avesse il diritto di esternalizzare i costi per il trattamento economico del personale e in particolare i maggiori oneri per il rinnovo del contratto collettivo nazionale e per l’indennità di esclusività.
Si tratta, infatti, di profili diversi: un conto è affermare che fino al 2008 agli ospedali classificati non potesse applicarsi il limite di spesa e che fossero tenuti come gli ospedali pubblici ad erogare le prestazioni sanitarie loro richieste senza limiti, altro è la pretesa da parte di un ospedale classificato alla corresponsione del rimborso per i maggiori oneri per la copertura di costi, la cui assunzione discende da scelte discrezionali dell’ente e che necessitavano di copertura finanziaria.
Non solo, del resto, l’equiparazione tra ospedali classificati e ospedali pubblici ha un mero rilievo operativo e funzionale in considerazione della programmazione della rete sanitaria e non implica di per sé una assoluta parificazione della loro disciplina ad ogni fine (v. amplius Cons. Stato 25/08/2023, n.7980; Cons. Stato 22/04/2024, n. 3598 e nella giurisprudenza di questa Corte, tra le più recenti, Cass. 19/02/2025, n.4362 che, peraltro, ha coinvolto proprio l’odierna ricorrente), ma, per quanto specificamente riguarda la pretesa di rimborso per cui è causa, deve rilevarsi che questa Corte ha già avuto occasione di precisare (v. Cass. 23/08/2023, n.25081) in una vicenda in cui un ospedale classificato aveva ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti di
un’azienda sanitaria per il rimborso delle spese sostenute per il pagamento della indennità di esclusività ai propri dipendenti medici che avevano optato per l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria oltre il tetto fissato dalla misura massima dell’apposita tariffa omnicomprensiva, invocando il principio di equiparazione tra strutture del servizio sanitario pubblico e ospedali “classificati” e rilevando di avere corrisposto l’indennità di esclusività in ossequio a un obbligo di legge che le imponeva di permettere ai propri dirigenti medici di optare per l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria, che «Il sistema normativo condiziona chiaramente la possibilità per il Servizio sanitario di assumere impegni economici nei confronti dei propri dipendenti alla sussistenza di specifiche dotazioni finanziarie (…) in linea con il principio generale posto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24, comma 1 (e dall’analoga disposizione precedentemente contenuta nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 24, nel testo da ultimo sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 16), che, nel delegare alla contrattazione collettiva la determinazione della retribuzione del personale con qualifica di dirigente, ricorda che deve essere tenuta “ferma… l’osservanza dei criteri e dei limiti delle compatibilità finanziarie fissate dal Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze”. La necessità di rispettare tali criteri e limiti è ribadita, con riguardo al livello della contrattazione collettiva integrativa, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 3, che ha sostituito l’analogo del D.Lgs. n. 29 del 1993, previgente art. 45, comma 4. Entrambe tali disposizioni sanzionano di nullità le clausole difformi rispetto all’obbligo di rispettare i vincoli di bilancio».
La Corte ha aggiunto, con evidente rilievo ai fini dello scrutinio del primo motivo di ricorso, che «Ai dirigenti medici dipendenti dei soggetti privati che erogano prestazioni sanitarie a carico del Servizio sanitario pubblico non si applica il CCNL di settore del
pubblico impiego, sicché le fonti di finanziamento individuate da tale contratto collettivo non riguardano e non coprono l’indennità di esclusività dovuta a quei dirigenti medici. Né delle “compatibilità finanziarie” con i vincoli di bilancio pubblico può e deve occuparsi il contratto collettivo dei dirigenti medici dipendenti di enti ecclesiastici, essendo questo volto a regolare rapporti tra soggetti collettivi di diritto privato e non essendo vincolato al rispetto delle disposizioni del D.Lgs. n. 165 del 2001», benché erogando detti soggetti privati «prestazioni a carico del Servizio sanitario pubblico, è impensabile che i relativi costi non siano sottoposti ad analoghi presidi e controlli per assicurarne la compatibilità con i vincoli del bilancio pubblico».
Essendo pacifico nella specie che l’Azienda Sanitaria Locale Roma 1 non aveva ricevuto dalla Regione Lazio risorse finanziarie per rimborsare all’Ospedale San Carlo di Nancy le indennità di esclusività pagate ai dirigenti medici suoi dipendenti e per applicare gli aumenti retributivi previsti dai contratti collettivi -lo conferma, del resto, la stessa ricorrente -e, dovendosi «distinguere nettamente tra il rapporto di lavoro, con le relative obbligazioni, fra i medici e l’Ospedale e il rapporto riguardante la provvista finanziaria in ordine alla spesa sanitaria tra Ospedale, Regione e Stato, caratterizzata dalla discrezionalità propria delle scelte finanziarie pubbliche (Cass. S.u. n. 15205/2015)» non può configurarsi «un diritto soggettivo alla assegnazione di una somma determinata, ma soltanto un interesse legittimo a che la ripartizione degli stanziamenti sia effettuata con criteri di proporzionalità ai bisogni e di ragionevolezza» (ancora Cass. n. 25081/2023).
Anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato 08/05/2023, n.4578), espressamente dichiarando di fare applicazione dei princìpi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 18 ottobre 2018, ha ritenuto che «Gli ospedali classificati (…) non si
possono ritenere, a tutti gli effetti, nell’ordinamento nazionale equiparati ad un soggetto pubblico, come peraltro, già evidenziato nella sentenza n. 4631 del 2017, con riferimento al rapporto di lavoro dei dipendenti e alla inapplicabilità del diritto europeo e nazionale sugli appalti pubblici in caso siano essi stessi committenti di contratti di lavori, servizi e forniture» ed ha confermato la sentenza del Tar che aveva statuito che «in difetto di disposizioni espresse in questo senso» non era ipotizzabile l’assoluta parificazione della regolamentazione del rapporto di lavoro alle dipendenze degli ospedali classificati a quello dei dipendenti degli enti pubblici ospedalieri.
Parimenti Cass. 23/06/2009, n.14672 ha statuito che l”istituto della mobilità del personale delle Pubbliche Amministrazioni, previsto dall’art. 33 d.lg. 3 febbraio 1993 n. 29, è preordinato alla copertura del fabbisogno di personale delle Amministrazioni medesime senza ricorrere a nuove assunzioni, ma utilizzando il personale eccedente di altre Amministrazioni pubbliche, sicché non può operare per realizzare l’assunzione di personale estraneo alla P.A.; ne consegue che, nell’ambito degli enti appartenenti al Servizio sanitario nazionale, la mobilità non può essere attivata per il personale di enti ospedalieri «classificati» ai sensi degli art. 1 e 20 della l. n. 132/1968, giacché non ricompresi tra le Amministrazioni pubbliche. Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la possibilità di ricorrere alla procedura di mobilità in relazione a personale di ospedale «classificato», rilevando che la classificazione importa l’equiparazione agli enti del Servizio Sanitario nazionale ai soli fini della valutazione del servizio e dei titoli del relativo personale per i concorsi per le assunzioni ed i trasferimenti, questi ultimi all’interno, però, di ciascun ordinamento.
Deve dunque negarsi la sussistenza di un’ obbligazione di pagamento eccedente la tariffa massima fissata per le singole
prestazioni, la cui copertura finanziaria l’Azienda Sanitaria non aveva il potere di deliberare e che solo una previsione convenzionale avente ad oggetto oneri aggiuntivi rispetto a quelli connessi alle prestazioni svolte avrebbe giustificato (Cass. 17/11/2023, n. 31991).
Né può ritenersi -come pretende la ricorrente -sussistente una necessaria correlazione tra prestazione e remunerazione, cioè una pretesa alla copertura integrale dei costi, «in quanto, sotto il profilo sistematico, la prescritta predeterminazione ben può considerare le esigenze di risparmio. In concreto, in materia di sanità pubblica spetta alle Regioni provvedere, con atti autoritativi e vincolanti di programmazione, alla fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario regionale e distribuire le risorse disponibili, per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché stabilire i preventivi annuali delle prestazioni, assicurando l’equilibrio complessivo del sistema sanitario dal punto di vista organizzativo e finanziario. Il carattere impellente delle esigenze di riequilibrio della spesa sanitaria impone dunque all’Amministrazione, in una situazione di scarsità di risorse pubbliche, interventi immediati, con sacrifici posti a vario titolo su tutti coloro che sono presenti nello specifico settore di attività» (cfr. Cons. Stato 3/03/2017, n. 994).
Il che priva di rilievo tutte le ulteriori argomentazioni difensive della ricorrente che non sono idonee a scalfire la persuasività delle superiori conclusioni, essendo basate su una premessa -la totale equiparazione degli ospedali classificati alle strutture sanitarie pubbliche -destituita di fondamento.
7) Il terzo motivo è infondato.
La tutela dell’affidamento dal privato rispetto all’esercizio di un potere amministrativo per sé vantaggioso è stata invocata senza che ne ricorrano, invero, i presupposti. Per quanto laconicamente, la corte d’appello, escludendo la ricorrenza dei presupposti per
l’accoglimento della richiesta risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 cod.civ., in assenza di un comportamento colpevole all’origine di un affidamento incolpevole e come tale meritevole di tutela, si è posta in linea con la giurisprudenza di questa che -v. Cass., Sez. Un., 22/02/2025, n. 4717; Cass. 3/05/2025, n. 11615 -ritiene che «Il danno da lesione dell’affidamento sulla correttezza dell’attività provvedimentale della p.a. non è (…) un danno da provvedimento, ma è un danno da comportamento», sussistente quando l’aspettativa sul risultato utile o sulla conservazione dell’utilità ottenuta sia sorretta da circostanze che obiettivamente la giustifichino e che chi ne invoca la sussistenza è tenuto ad allegare l’esistenza d’un provvedimento amministrativo e la sua apparente legittimità, non corrispondente però alla sottostante e reale illegittimità. Non può, invece, essere invocato quando nessun provvedimento di ampliamento della loro sfera giuridica sia stato annullato o revocato, al solo scopo, quindi, di tutelare una mera aspettativa e in assenza di prova di avere subito una riduzione patrimoniale per avere fidando sulla legittimità d’un provvedimento poi annullato, ma prospettando di avere confidato nel futuro rimborso di spese fatte.
8) Il quarto motivo è infondato.
La ricorrenza di un preteso arricchimento da parte della Azienda sanitaria è questione che, per quanto con una motivazione laconica, è stata evidentemente respinta dalla Corte territoriale che ha ritenuto, senza margini di dubbio, che non vi fossero i presupposti per ipotizzare che l’Azienda sanitaria si fosse arricchita delle prestazioni sanitarie erogate dalla ricorrente, mancando sia il requisito della sussidiarietà sia gli altri presupposti dell’azione di arricchimento ingiustificato.
Le censure della ricorrente non sono in grado di scalfire detta statuizione, perché muovono dall’assunto infondato che la P.A. abbia conseguito un risparmio di spesa sottraendosi all’obbligo di
rimborsare i maggiori oneri del personale; invece, la ragione del rigetto è da ravvisarsi nel fatto oggettivo dell’assenza dell’arricchimento, non potendosi esso far discendere, come pretende la ricorrente (v. p. 56 del ricorso), dal fatto che negli anni 2001-2004 detti oneri fossero stati rimborsati.
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso principale.
Il ricorso incidentale, essendo condizionato, è assorbito.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in favore delle controricorrenti nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Cort rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di ciascuna controricorrente che liquida in euro 25.500.00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 29 novembre 2024 dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME