Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25920 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25920 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14961/2023 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO, che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: ;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del presidente del consiglio di amministrazione p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 459/23, depositata il 24 aprile 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 luglio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, realizzatrice del Comparto 5 del Piano per l’edilizia economica e popolare 1981 del RAGIONE_SOCIALE di Lavagna, in virtù di convenzioni stipulate l’11 giugno 1983 e il 14 marzo 1988, convenne in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME, assegnatario di un alloggio sito in Lavagna (GE), alla INDIRIZZO, per sentirle condannare al pagamento della somma di Euro 10.035,73, a titolo di acconto sui costi sostenuti per l’acquisizione delle aree necessarie per la costruzione degli alloggi.
A sostegno della domanda, l’attrice richiamò la clausola n. 6 del contratto di assegnazione dell’alloggio, che poneva a carico dell’assegnatario l’obbligo di rimborsare i predetti costi, precisando che la proprietà delle aree era stata acquisita in parte (c.d. aree Ostigoni) mediante regolare procedimento espropriativo, ed in parte (c.d. aree RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE) per occupazione acquisitiva.
Si costituirono le convenute, ed eccepirono la nullità della clausola n. 6, sostenendo inoltre di non essere tenute al rimborso delle somme pagate a titolo di risarcimento dei danni per l’occupazione acquisitiva, e chiedendo in via riconvenzionale la condanna dell’attrice alla restituzione dell’importo di Euro 27.751,64, corrisposto dal loro dante causa a titolo di acconto, nonché al risarcimento dei danni da perdita di chances , in relazione alla mancata impugnazione delle sentenze di condanna al risarcimento dei danni per occupazione illegittima.
1.1. Con sentenza non definitiva del 28 novembre 2018, il Tribunale di Genova rigettò l’eccezione di nullità della clausola n. 6, accolse la domanda principale e rigettò quella riconvenzionale, condannando le convenute al pagamento della somma di Euro 6.449,64 ciascuna, a titolo di acconto sui costi di acquisizione dell’area Ostigoni e disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per la determinazione dei costi sostenuti per l’acquisizione delle aree RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza definitiva del 26 giugno 2020, il Tribunale condannò le con-
venute al pagamento della somma di Euro 2.211,90 ciascuna, a titolo di acconto sui costi di acquisizione dell’area RAGIONE_SOCIALE, oltre agl’interessi sulla somma liquidata con la sentenza non definitiva.
L’impugnazione proposta dalla COGNOME e dalla COGNOME avverso entrambe le sentenze di primo grado è stata rigettata dalla Corte d’appello di Genova, con sentenza del 24 aprile 2023.
A fondamento della decisione, la Corte ha rilevato che l’atto di assegnazione dell’alloggio, stipulato il 31 dicembre 1998, richiamava le convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, con cui il RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto alla RAGIONE_SOCIALE la proprietà delle aree, delegandola all’espletamento delle procedure espropriative, osservando che l’assegnatario era a conoscenza che i suoli necessari per la costruzione degli alloggi non erano ancora nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE, e che il prezzo dell’alloggio avrebbe dovuto essere integrato con le somme pagate per l’acquisizione delle aree. Ha ritenuto sufficientemente determinata la clausola n. 6, affermando che la stessa non prevedeva distinzioni in relazione alla natura delle spese da rimborsare, aggiungendo che l’assegnatario non aveva mai sollevato contestazioni, pur essendo stato a conoscenza dei contenziosi pendenti ed essendo intervenuto ad adiuvandum nel giudizio di risarcimento dei danni per l’occupazione delle aree COGNOME–COGNOME, e precisando infine che egli non aveva mai manifestato l’intenzione di proporre ricorso per cassazione avverso le relative sentenze. Ha confermato infine la correttezza delle somme liquidate dalle sentenze di primo grado, dichiarando conseguentemente assorbite le censure mosse alla sentenza definitiva.
Avverso la predetta sentenza la COGNOME e la COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il Consigliere delegato ha depositato proposta di definizione del giudizio, ai sensi dell’art. 380bis , primo comma, cod. proc. civ., ravvisando l’infondatezza dell’impugnazione.
A seguito della comunicazione, la ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso, ai sensi dell’art. 380bis , secondo comma, cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d’impugnazione, le ricorrenti denunciano la nullità della sentenza impugnata per manifesta illogicità, apparenza e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 111, sesto comma, Cost., rilevando che la Corte d’appello ha omesso di esaminare il secondo motivo di gravame, con cui era stata dedotta l’estraneità degl’importi richiesti dalla RAGIONE_SOCIALE alla previsione della clausola n. 6 dell’atto di assegnazione, non comprendente il rimborso delle somme pagate a titolo di risarcimento per occupazione illegittima e acquisitiva. Premesso che la predetta clausola costituiva la trasposizione di quanto disposto dall’art. 35 della legge n. 865 del 1971, sostengono che quest’ultimo si riferisce esclusivamente ai costi sopportati per i procedimenti espropriativi, non potendosi far ricadere sul concessionario e sui suoi aventi causa i maggiori oneri derivanti dall’acquisizione delle aree in conseguenza di un fatto illecito. Aggiungono di aver sempre contestato la pretesa dell’attrice, avendo fatto valere l’estraneità del loro dante causa all’illecito e le gravi responsabilità del RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, nonché la contrarietà della pretesa alla buona fede. Negano inoltre che le sentenze relative all’occupazione delle aree RAGIONE_SOCIALE potessero spiegare efficacia di giudicato riflesso nei confronti del loro dante causa, in quanto intervenuto nei relativi giudizi, osservando che le stesse avevano accertato responsabilità riferibili esclusivamente al RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE, mentre la domanda di rimborso era fondata sull’atto di assegnazione.
2. Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 35 della legge n. 365 del 1971, degli artt. 1362-1371, 2033 e 2909 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 111, sesto comma, Cost., nonché la manifesta illogicità, apparenza e contraddittorietà della motivazione, rilevando che, nel decidere la questione proposta con il secondo motivo di gravame, la sentenza impugnata si è discostata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, anche in caso di acquisizione delle aree per occupazione appropriativa, l’assegnatario è tenuto al rimborso di un importo commisurato a quello dovuto in relazione ad un legittimo procedimento espropriativo. Premesso che il RAGIONE_SOCIALE aveva conferito alla RAGIONE_SOCIALE la delega per l’espletamento delle procedure di espropriazione, ribadi-
scono che la clausola n. 6 dell’atto di assegnazione costituiva la trasposizione di quella contenuta nella convenzione, che poneva a carico della RAGIONE_SOCIALE i costi necessari per l’acquisizione delle aree e la realizzazione delle opere di urbanizzazione; precisato che tale clausola costituiva a sua volta applicazione della disciplina dettata dall’art. 35, dodicesimo comma, della legge n. 865 del 1971, avente carattere inderogabile, e quindi idonea ad inserirsi automaticamente nel contenuto della convenzione, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., osservano che alla data di stipulazione dell’atto di assegnazione erano ancora in corso i procedimenti di espropriazione, dei quali l’assegnatario si era accollato i costi. Aggiungono di aver sempre contestato la pretesa della RAGIONE_SOCIALE, non avendo versato le somme dovute a seguito del passaggio in giudicato delle sentenze di condanna al risarcimento dei danni per le occupazioni illegittime ed avendo chiesto la restituzione degl’importi versati in acconto. Ribadiscono infine che le predette sentenze non spiegavano efficacia di giudicato riflesso nei loro confronti, non avendo ad oggetto l’interpretazione della clausola dell’atto di assegnazione, ma la domanda di manleva proposta dal RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, non fondata sulla convenzione, ma sul ruolo svolto dalla RAGIONE_SOCIALE nel procedimento di espropriazione.
I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto profili diversi della medesima questione, sono fondati.
Non può infatti condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che il costo di acquisizione delle aree destinate alla realizzazione degli alloggi, che gli assegnatari si erano obbligati a rimborsare alla RAGIONE_SOCIALE ai sensi della clausola n. 6 dell’atto di assegnazione, comprendesse anche le somme corrisposte a titolo di risarcimento dei danni per l’occupazione acquisitiva delle medesime aree.
Tale interpretazione della predetta clausola si pone infatti in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di edilizia residenziale pubblica, secondo cui l’art. 35, dodicesimo comma, della legge n. 865 del 1971, il quale dispone che i corrispettivi dovuti dai concessionari per la cessione del diritto di superficie sulle aree destinate alla realizzazione del programmi per l’edilizia economica e popolare devono assicurare la copertura delle spese sostenute dal RAGIONE_SOCIALE per l’acquisizione delle aree
comprese nel piano, stabilisce un principio inderogabile idoneo ad integrare automaticamente il contenuto della convenzione di cui all’ottavo comma dell’art. 35, in virtù del quale l’ente è legittimato a pretendere l’eventuale differenza, ove nella medesima convenzione il corrispettivo sia stato erroneamente determinato in misura inferiore ai costi effettivi (cfr. Cass., Sez. I, 10/07/2020, n. 14782; 2/07/2020, n. 13595; 8/04/2016, n. 6928). Alla stregua di tale principio, comunemente denominato «di perfetto pareggio economico» o «di neutralità finanziaria», si è ritenuto che, ove le opposizioni proposte dai proprietari espropriati abbiano condotto alla liquidazione di indennità superiori a quelle offerte, il RAGIONE_SOCIALE può agire nei confronti dei concessionari delle aree e degli assegnatari degli alloggi per ottenere il pagamento pro quota dei maggiori oneri derivanti da tale contenzioso, ivi comprese le spese legali, ferma restando la facoltà dei convenuti di opporre la negligenza dell’ente nella gestione delle liti, quale causa dell’insorgenza delle ulteriori spese (cfr. Cass., Sez. I, 7/07/2022, n. 21572; 10/07/2020, n. 14782). Il medesimo principio è stato ritenuto applicabile in tutte le ipotesi di definizione legittima dell’ iter espropriativo, ivi comprese la cessione volontaria o bonaria e il contratto di transazione (cfr. Cass., Sez. I, 5/05/2016, n. 9024; 17/10/ 2008, n. 25369; v. anche, nella giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, Sez. IV, 9/12/2020, n. 7784, relativa all’ipotesi di acquisto della proprietà per acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), mentre ne è stata esclusa l’operatività in caso di acquisto della proprietà delle aree per accessione invertita, in virtù dell’osservazione che non possono farsi ricadere sui concessionari delle aree e i loro aventi causa i maggiori costi sostenuti a titolo di risarcimento dei danni in conseguenza dell’acquisizione delle aree realizzata attraverso un fatto illecito (cfr. Cass., Sez. I, 12/04/ 2018, n. 9066; 5/05/2016, n. 9024; 17/10/2008, n. 25369; nello stesso senso, nella giurisprudenza amministrativa, Cons. Stato, Sez. IV, 22/07/ 2010, n. 4815; 21/02/2005, n. 577).
Non merita consenso, in contrario, il richiamo della Corte territoriale alla citata ordinanza di questa Corte n. 21572 del 7 luglio 2022, la quale, come risulta dalla stessa massima, puntualmente trascritta nella sentenza impugnata, si riferisce al rimborso, non già delle somme pagate al proprietario del
fondo a titolo di risarcimento del danno per l’occupazione illegittima, ma di quelle versate a titolo di indennità di espropriazione determinata a seguito di opposizione alla stima ed alle relative spese processuali, che, in quanto corrisposte a fronte della legittima acquisizione della proprietà delle aree assegnate, sono senz’altro riconducibili al disposto dell’art. 35, dodicesimo comma, della legge n. 365 del 1971: nella motivazione dell’ordinanza, si evidenzia d’altronde il legame intrinseco esistente tra il diritto al rimborso e la legittima conclusione della vicenda ablatoria, chiarendosi, anche attraverso il richiamo della giurisprudenza amministrativa, che «il concetto di spesa fatto proprio dalla norma non è fruibile fuori dalla correlazione con quello di acquisizione e, più in generale, fuori dalla correlazione con il procedimento espropriativo nel suo complesso, sicché esso ubbidisce, sullo sfondo delle molteplici vicende che ne possono interessare il corso, allo statuto tipico di una grandezza variabile, nel senso che così come può essere spesa ripetibile il solo costo delle aree allorché la comunicazione della stima dell’indennità sia stata accettata dal proprietario, come nel caso della cessione volontaria, del pari dovranno ritenersi pure ripetibili i costi sostenuti dall’ente espropriante nel giudizio promosso a mente dell’art. 54 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, l’uno e gli altri invero costituendo spesa sostenuta per l’acquisizione» (cfr. al riguardo, Cons. Stato, Sez. IV, 19/03/2015, n. 1492; Cons. Stato, Sez. IV, 5/ 03/2015, n. 1117; Cons. Stato, Sez. V, 17/07/2014, n. 3809). In proposito, è stata posta in risalto anche la ratio della predetta correlazione, osservandosi che «nel quadro di un disegno di ispirazione costituzionale diretto a promuovere l’accesso popolare alla proprietà dell’abitazione, la norma mira a rendere possibile l’esercizio della potestà di esproprio in funzione dell’interesse collettivo che si lega nel caso specifico al perseguimento di più ampi obiettivi di promozione sociale identificabili nel consentire ai ceti meno abbienti, attraverso i protocolli operativi deputati dalla legge, l’acquisto della proprietà della casa di abitazione» (cfr. Cass., Sez. I, 10/07/2020, n. 14782): tale precisazione rende evidente che la mera variabilità dei costi necessari per l’acquisizione delle aree, in dipendenza delle vicende giudiziarie attinenti alla determinazione dell’indennità di espropriazione, non costituisce una ragione sufficiente a giustificare l’estensione del rimborso ai maggiori importi corrisposti
a titolo di risarcimento del danno per l’illecita acquisizione della proprietà delle aree, non essendo ravvisabile, rispetto a quest’ultima, un apprezzabile collegamento con la procedura di esproprio, tale da legittimare la traslazione del relativo onere a carico degli assegnatari, in contrasto con gli obiettivi di promozione sociale perseguiti dalla normativa in materia di edilizia residenziale pubblica. Non può quindi trovare conferma, in questa sede, il principio, enunciato da una recente pronuncia di legittimità (Cass. 18223/2024), proprio in virtù del richiamo alla citata ordinanza n. 21572 del 2022 ed alla n. 14872 del 2020, secondo cui, ai fini del rimborso, è irrilevante che si tratti non già di oneri di urbanizzazione ex ante determinati o determinabili, ma di somme riconosciute, a titolo di danno da occupazione illegittima, nel giudizio promosso dai proprietari espropriati, giacché il principio del pareggio tra il corrispettivo della concessione ed i costi dell’acquisizione delle aree di cui all’art. 35 cit. impone al concessionario di rimborsare al RAGIONE_SOCIALE tutti i costi di acquisizione delle aree PEEP.
4. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Genova, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma l’11/07/2024