SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 694 2025 – N. R.G. 00000378 2020 DEL 01 02 2025 PUBBLICATA IL 01 02 2025
CUTONILLI NOME (c.f.
) , difesa dall’Avv.
C.F.
;
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA SEZIONE PRIMA CIVILE
così composta:
Dott. NOME COGNOME
Presidente e relatore
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
Dott. NOME COGNOME
Consigliere
riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 378 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’ anno 2020 , trattenuta in decisione all’udienza del giorno
11/04/2024 , vertente
TRA
TABLE
ATTORI IN RIASSUNZIONE
E
(c.f.
C.F.
CONVENUTA
OGGETTO : giudizio di rinvio dalla Corte di cassazione penale.
Conclusioni delle parti: come nei rispettivi atti di costituzione .
FATTO E DIRITTO
Il tribunale penale di Roma con sentenza n. 13355/2013 aveva condannato e (la prima quale autrice dell’articolo ed il secondo come direttore responsabile dell’ANSA) per il delitto di diffamazione in danno degli odierni attori in riassunzione.
La Corte d’appello (penale) di Roma, con sentenza 8456/2017, aveva dichiarato la prescrizione del reato e confermato le statuizioni civili.
La Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 41707/2019, ha annullato la sentenza di appello per non aver risposto al motivo di appello col quale aveva contestato di essere l’autrice dell’articolo diffamatorio; ha quindi rinviato al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Gli attori in riassunzione hanno dedotto che la prova – pienamente utilizzabile in sede civile – che la fosse l’autrice del testo diffamatorio andava ravvisata nella nota del 22 gennaio 2009 con la quale la polizia di Stato, in risposta a specifica delega dell’autorità giudiziaria, nel trasmettere i verbali di elezione di domicilio e nomina del difensore, aveva testualmente indicato la quale ‘autrice’ dell’articolo diffamatorio.
L’interessata, del resto, nulla aveva eccepito al riguardo nel primo grado di giudizio ove la difesa era imperniata sull’esimente del diritto di cronaca e di critica; soltanto in appello era stata sollevata la questione delle riferibilità dell’articolo all’imputata con gli esiti sopra delineati, avendo la Cassazione ricordato che al giudizio penale risultano estranee le preclusioni delle difese riguardanti gli elementi essenziali del reato, tra i quali la sua commissione ad opera dell’imputato.
Su tali basi hanno domandato la conferma delle statuizioni civili della sentenza del tribunale di Roma poi fatte salve da quella della Corte d’appello ed articolato prova per interrogatorio formale e per testi (il direttore pro tempore dell’ e l’agente che aveva proceduto alla ‘identificazione).
ha escluso che il documento indicato dagli attori provasse alcunché e si è opposta alla prova testimoniale, a suo avviso inammissibile sia perché preclusa dall’art. 394 cpc sia per l’incapacità a testimoniare del portatore di un proprio interesse nel giudizio, anche ex art. 246 cpc; la teste infine, non potrebbe fornire elementi utili – anche de relato – sulle modalità di identificazione della quale autrice dell’articolo.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 11/04/2024, con concessione dei termini di legge per lo scambio di conclusionali e repliche.
Il compito al quale è chiamata la Corte d’appello è delineato nella giurisprudenza di legittimità in questi termini: ‘ Qualora la Corte di cassazione annulli la sentenza penale, limitatamente alle disposizioni civili, per vizi attinenti alla motivazione, sussiste
in capo al giudice civile del rinvio ex art. 622 c.p.p. un onere di aggravamento della motivazione, essendo questo tenuto ad una confutazione specifica delle argomentazioni svolte nella sentenza rescindente in relazione ai passaggi della decisione annullata valutati negativamente, con la conseguenza che, in caso di reiterazione degli errori già censurati, si configura una sostanziale apparenza della motivazione sui punti in discussione.’ . (Cassazione civile sez. III, 26/09/2024, n.25767).
Nella fattispecie, la sentenza della corte d’appello penale di Roma, poi annullata dalla corte di cassazione, nel dichiarare la prescrizione del reato e far salve le statuizioni civili già contenute nella sentenza del tribunale di Roma, aveva omesso di rispondere al motivo di appello di col quale la condanna era aggredita sul punto della commissione del fatto ad opera dell’imputata.
Punto decisivo per far salve le statuizioni civili e tuttavia non esaminato.
A quell’esame è oggi chiamata questa Corte.
Esame che deve basarsi sul vaglio del materiale probatorio già raccolto in sede penale, senza che sia ammesso l’ingresso di nuove prove in questo giudizio di rinvio disposto ex art. 622 cpp.
Del resto il motivo di appello dell’imputata (non aver commesso il fatto) era noto alle parti civili oggi riassumenti e non risulta che avessero richiesto il supplemento istruttorio su quel tema nella sede penale.
La funzione fondamentale di questo giudizio, dunque, è quella di dare risposta ora per allora – al motivo di appello il cui mancato scrutinio aveva condotto a far salve le statuizioni civili a margine della sentenza di condanna penale, caduta per prescrizione del reato.
Ritiene la Corte che quel motivo di appello dell’imputata debba essere accolto perché i documenti valorizzati dagli stessi attori in riassunzione (nota di riposta della questura di Roma alla delega del pubblico ministero e verbale di elezione di domicilio e nomina del difensore) non provano che fosse autrice dell’articolo diffamatorio.
Non lo prova la mera asserzione dell’ufficiale di p.g. che fosse autrice dell’articolo; non lo prova che non avesse dedotto la sua estraneità al fatto in sede di elezione di domicilio e nomina del difensore.
Tanto più che la stessa sentenza della Corte di cassazione penale che ha disposto il presente giudizio rinvio ha sottolinea come non si generino preclusioni sul tema della commissione del fatto di reato.
La soluzione qui adottata è conforme all’orientamento, che si condivide, da ultimo espresso da Cass. civile sez. III, 06/09/2024, n. 24047 secondo il quale ‘… il giudizio dinanzi al giudice civile previsto dall’art. 622 c.p.p. è un giudizio d’appello, e nel giudizio d’appello non è consentito modificare le domande o le richieste istruttorie formulate in primo grado. Da ciò consegue che la Corte d’Appello, allorché ha rilevato il deficit assertivo e probatorio delle odierne controricorrenti, ha semplicemente deciso la causa iuxta alligata et probata, e nulla doveva segnalare alle parti ai sensi dell’art. 101 c.p.c.. Per quanto attiene, poi, alla denunciata violazione dell’art. 183 c.p.c., basterà rilevare che quella norma, dettata per il giudizio di primo grado, è inapplicabile al giudizio d’appello, sicché non potrebbe ascriversi alla Corte d’Appello d’aver violato una norma che non era tenuta ad applicare … Né varrebbe obiettare che il primo grado del giudizio fu celebrato dinanzi al giudice penale, e che in quella sede la legge non prevede il deposito di memorie istruttorie paragonabili a quelle previste dall’art. 183 c.p.c.. Infatti la circostanza che chi si affermi danneggiato da un fatto illecito scelga di esercitare l’azione civile nel processo penale non lo solleva dagli oneri assertivi e probatori: sicché la parte civile anche dinanzi al giudice penale ha l’onere di indicare il fatto costitutivo della pretesa, chiarire il petitum e formulare le istanze istruttorie.Ove ciò non faccia, e gli sviluppi successivi del processo comportino la traslazione del giudizio ex art. 622 c.p.p. dinanzi al giudice civile in grado di appello, l’applicazione delle regole del giudizio di impugnazione impediscono di chiedere prove o formulare domande mai proposte dinanzi al giudice penale nel primo grado di giudizio. ‘.
La domanda degli attori di tener ferme le statuizioni civili contenute nella sentenza del tribunale di Roma n. 13355/2013 e poi fatte salve da quella della Corte d’appello di Roma n. 8456/2017 nei confronti di non può, pertanto, essere accolta.
Le spese del presente giudizio e di quelle del giudizio di cassazione, liquidate come nel dispositivo, sono a carico delle parti soccombenti, secondo la regola.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, definitivamente pronunciando, ogni altra conclusione disattesa, così provvede:
respinge la domanda degli attori in riassunzione che condanna, in solido tra loro, al rimborso in favore di delle spese di lite del giudizio di cassazione, che si liquidano in euro 3.300,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie e
accessori di legge e di quelle del presente giudizio di rinvio ex art. 622 cpp liquidate in euro 4.300,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge; Così deciso in Roma il giorno 20/01/2025.
Il Presidente Estensore Dott. NOME COGNOME