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Rifiuto test DNA: prova decisiva per la paternità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22732/2024, ha ribadito un principio fondamentale nel diritto di famiglia: il rifiuto test DNA ingiustificato da parte del presunto padre costituisce un elemento di prova talmente significativo da poter, da solo, fondare la dichiarazione giudiziale di paternità. La Corte ha chiarito che tale comportamento processuale, valutabile dal giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c., assume un valore indiziario elevatissimo, rendendo superflua la valutazione di altre prove, come una registrazione telefonica, che diventano argomenti secondari.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rifiuto test DNA: per la Cassazione equivale a un’ammissione di paternità

L’ordinanza n. 22732 del 12 agosto 2024 della Corte di Cassazione torna a consolidare un principio cruciale nelle azioni di accertamento della paternità: il rifiuto test DNA da parte del presunto padre, se non supportato da adeguate giustificazioni, assume un valore probatorio talmente elevato da essere di per sé sufficiente a fondare una sentenza di accoglimento della domanda. Questa pronuncia chiarisce come il comportamento processuale delle parti possa avere conseguenze decisive sull’esito del giudizio.

I fatti del caso: la richiesta di riconoscimento di paternità

Una donna avviava un’azione legale per ottenere il riconoscimento giudiziale della paternità della propria figlia da parte di un uomo. Nel corso del giudizio, venivano presentate come prove una conversazione telefonica registrata e, soprattutto, veniva richiesto un test del DNA per accertare il legame biologico. L’uomo, tuttavia, si opponeva fermamente all’esame ematologico.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale di Matera in primo grado, sia la Corte d’Appello di Potenza successivamente, accoglievano la domanda della donna, dichiarando la paternità dell’uomo. La decisione si fondava principalmente su un elemento: il rifiuto del presunto padre di sottoporsi al test del DNA. I giudici hanno interpretato tale condotta come un comportamento valutabile ai sensi dell’art. 116, secondo comma, del codice di procedura civile, attribuendogli un “elevato valore indiziario”, tale da consentire, da solo, di ritenere fondata la domanda.

Il ricorso in Cassazione e il valore probatorio del rifiuto test DNA

L’uomo, non rassegnandosi alla decisione, proponeva ricorso per Cassazione, basandolo su tre motivi principali. Il fulcro della sua difesa verteva sulla presunta violazione di legge legata alla valutazione del suo rifiuto test DNA, sostenendo che tale rifiuto non potesse costituire prova a suo sfavore e sollevando questioni di legittimità costituzionale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando integralmente le decisioni dei gradi precedenti. Gli Ermellini hanno ribadito l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità in materia.

In primo luogo, hanno chiarito che nei giudizi di accertamento della paternità non esiste una gerarchia tra le prove. Il giudice può liberamente valutare ogni elemento, inclusi gli argomenti di prova desunti dal comportamento processuale delle parti (art. 116 c.p.c.).

In questo contesto, il rifiuto test DNA assume un’importanza capitale. Sebbene nessuno possa essere fisicamente costretto a sottoporsi a un prelievo ematico, la scelta di non farlo non è priva di conseguenze legali. Un rifiuto ingiustificato viene interpretato come un indizio grave, preciso e concordante, che da solo può bastare a dimostrare la fondatezza della domanda di paternità.

La Corte ha inoltre specificato che il test del DNA, dati i progressi della scienza biomedica, rappresenta lo strumento più idoneo e con margini di sicurezza elevatissimi per accertare un rapporto di filiazione. Di conseguenza, sottrarsi a tale accertamento senza validi motivi equivale a una tacita ammissione. La decisione della Corte d’Appello, basata su questa solida ratio decidendi, è stata quindi ritenuta immune da vizi. Le altre questioni sollevate dal ricorrente, come quella relativa all’utilizzabilità della registrazione telefonica, sono state considerate inammissibili, in quanto la motivazione principale basata sul rifiuto del test era già di per sé sufficiente a sorreggere la decisione.

Le Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

L’ordinanza in esame rafforza un messaggio chiaro: nel bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e il diritto del figlio alla verità biologica e al proprio status, il comportamento processuale del presunto padre ha un peso determinante. Chi si sottrae ingiustificatamente al test del DNA deve essere consapevole che tale scelta processuale può essere interpretata dal giudice come l’elemento decisivo per l’accertamento della paternità, con tutte le conseguenze giuridiche che ne derivano in termini di doveri genitoriali.

Il rifiuto di sottoporsi al test del DNA può essere considerato prova sufficiente per dichiarare la paternità?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli accertamenti ematologici costituisce un comportamento valutabile dal giudice che, per il suo elevato valore indiziario, può da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda di paternità.

È possibile costringere una persona a sottoporsi al test del DNA in una causa di paternità?
No, la volontà di sottoporsi al prelievo ematico non è coercibile e il soggetto ha piena facoltà di determinazione. Tuttavia, il suo rifiuto aprioristico e non giustificato ha precise conseguenze processuali e può essere usato dal giudice come argomento di prova decisivo contro di lui.

La richiesta di un test del DNA in un giudizio di paternità è considerata una prova “esplorativa”?
No. La Corte ha specificato che la consulenza tecnica ematologica è uno strumento istruttorio officioso e indefettibile nel giudizio di accertamento della paternità. Pertanto, la sua richiesta non può essere considerata meramente esplorativa, ma è un mezzo di prova essenziale per accertare un fatto biologico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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