Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1982 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1982 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 32371-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 06/12/2023
CC
avverso la sentenza n. 452/2020 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 08/10/2020 R.G.N. 401/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Reggio Calabria con la sentenza in atti ha rigettato il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE ( d’ora innanzi SW) avverso la sentenza che aveva confermato l’illegittimità del licenziamento irrogato a COGNOME NOME per giustificato motivo soggettivo in data 30 luglio 2015 condannandola alla reintegra del lavoratore.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso SW con due motivi a cui ha resistito con controricorso COGNOME NOME.
Vi sono memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in combinato con l’art. 414 c.p.c. e 2697 c.c., avendo la Corte d’appello negato l’ingresso alle richieste istruttorie formulate dalla SW atte a far emergere la incondizionata volontà del COGNOME di non voler riprendere servizio espressa in presenza di testimoni, sostenendo per contro che i fatti dedotti ad oggetto della denegata prova apparivano irrilevanti o incontestati.
Si sostiene invece che dalla lettura dei capitolati di prova su cui era stato richiesto l’interrogatorio formale e le prove
testimoniali emerge che gli stessi avrebbero fornito un quadro abbastanza chiaro su quegli aspetti che ad oggi risultano controversi e tutt’altro che pacifici.
1.1.- Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità perchè difetta di specificità, non trascrive i capitoli di prova non ammessi ( che sono stati poi tardivamente trascritti nella memoria illustrativa), non dimostra la decisività dei capitoli ai fini della decisione, né perché la Corte abbia sbagliato a ritenere i fatti pacifici o irrilevanti i medesimi capitoli; e, non da ultimo, si risolve in una rivisitazione del giudizio di merito effettuato dalla Corte di appello in ordine allo svolgimento dei fatti di causa che non può essere dedotto come motivo di ricorso in cassazione ai sensi dell’art . 360 c.p.c.
1.2. La Corte d’appello ha infatti affermato, in base alle deduzioni ed ai documenti di causa, che il lavoratore COGNOME NOME, già reintegrato a seguito di un precedente licenziamento dichiarato illegittimo, declinando di sottoscrivere le nuove condizioni contrattuali proposte dalla SW negli incontri precedenti la ripresa del servizio, non intendesse rifiutare di riprendere il lavoro, ma soltanto comprendere le stesse condizioni proposte dalla SW con l’ausilio del proprio avvocato -con cui si consultava anche contestualmente- e prendere perciò il tempo per deliberare, determinandosi con cognizione di causa; giusto il periodo di trenta giorni concessogli allo scopo dalla legge (all’art. 18, comma 4 l.300/1970).
Ha invero precisato in proposito la Corte: ‘Ancor più evidente è la violazione perpetrata da SW ove si considera che la lettera di licenziamento o presa d’atto che dir si voglia era addirittura anteriore alla data nella quale la stessa impresa aveva fissato la ripresa del servizio. La concessione dello spatium deliberandi era ancor più necessaria proprio considerando che il lavoratore non era affatto d’accordo con la compensazione del proprio credito con il trattamento di fine rapporto. Al contrario di quanto sostiene SW dagli atti emerge già documentalmente che il COGNOME contestava nel suo insieme la regolamentazione economica delle conseguenze della reintegra che è cosa ben diversa da non volersene giovare.’
1.3. Il motivo di ricorso per cassazione formulato dalla RAGIONE_SOCIALE mira per contro ad offrire una lettura alternativa dei fatti di causa, equivocando tra rifiuto di riprendere servizio prima dello scadere del termine previsto dalla legge e rinuncia alla reintegra attraverso comportamenti chiari ed inequivoci.
Senonchè quest’ultima ipotesi , addotta nel ricorso da SW, non emerge in alcun modo dal giudizio e si pone in antitesi con quella a cui è giunta la Corte di merito nella sentenza impugnata, attraverso il prudente e ragionato confronto con le prove in atti e le norme in materia, sul cui rispetto nulla viene lamentato in ricorso.
1.4. Quante alle prove ritenute pacifiche o irrilevanti e non ammesse è ius receptum che la mancata ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per
cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito ( Cass. 4702/2019, 27815/2018).
1.5. Ed invero come statuito dalle Sez. Un. con la sentenza n. 8053 del 07/04/2014, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per
sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Cass. n. 27815/2018).
Pertanto nonostante la denuncia formale di errores in procedendo in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c, nella sostanza, il vizio dedotto propone una valutazione del materiale probatorio diversa da quella operata dai giudici del merito, postulando un sindacato chiaramente inibito in sede di legittimità ( Cass 2019 n. 30577).
Gli stessi riferimenti agli artt. 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c. risultano inappropriati. Innanzitutto, perché la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. n.21603 del 2013).
Inoltre, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (in termini: Cass. 23940 del 2017; v. più in generale: Cass. n. 25192 del 2016; Cass. n. 14267 del 2006; Cass. n. 2707 del 2004).
La scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (ez. 1, Sentenza n. 21603 del 20/09/2013).
2.- Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 8 del d.l. n. 138 del 2011 in combinato con gli artt. 1230, 1321 c.c. e con l’art. 1206 c.c. per avere i giudici del reclamo ritenuto manifestamente irrilevante la tesi della SW secondo cui il
tribunale non aveva adeguatamente valutato le risultanze processuali non avendo considerato che il riferimento al contratto di prossimità contenuto sia nella lettera del 21 luglio che a fortiori in quella del 29 luglio avesse natura meramente informativa e non costituisse pertanto una condizione per l’assunzione; perché la SW applicava in realtà dall’1/1/2015 a tutto il personale dipendente le clausole del contratto di prossimità sottoscritte dalle rappresentanze sindacali dei lavoratori operanti in azienda; pertanto il rifiuto di sottoscrivere la lettera di reintegra alle condizioni del contratto di prossimità palesato dal dipendente appariva del tutto insensato in quanto l’effetto novativo del contratto avrebbe operato ipso iure.
2.1. Il motivo è privo di rilevanza e non coglie la ratio decidendi della sentenza posto che nel giudizio non veniva in discussione l’efficacia dell’accordo di prossimità o la potestà di applicare o meno il contratto di prossimità al COGNOME in base al d.l. n. 138/2011; non era su questo che verteva la causa, la quale aveva ad oggetto soltanto se ci fosse stato o meno un comportamento rilevante sul piano disciplinare, sub specie di rifiuto del lavoratore di riprendere servizio mentre era ancora pendente lo spatium deliberandi assegnato dalla legge.
2.2. Sul punto la Corte ha affermato che si potrebbe anche dubitare della fondatezza dei timori manifestati dal COGNOME ma che si debba radicalmente negare che essi fossero
pretesti, mentre esisteva ancora il suddetto spatium deliberandi stabilito dalla legge.
Né su ciò esiste alcuna contraddizione nella sentenza impugnata atteso che, secondo l ‘ incensurata affermazione della Corte di merito, la condotta del COGNOME rientrava nei propri diritti e trovava ampia giustificazione nella oggettiva complessità della questione giuridica sottesa, per la quale egli aveva correttamente coinvolto il proprio legale di fiducia.
3. In conclusione, sulla scorta delle premesse, il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo con distrazione a favore dell’AVV_NOTAIO; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione a favore dell’AVV_NOTAIO.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 dicembre