Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 26301 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 26301 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15191/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE domiciliato digitalmente per legge
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA CONSIGLIO DEI MINISTRI, CORTE DEI CONTI, domiciliati per legge in ROMA alla INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che li rappresenta e difende, domiciliata digitalmente per legge
– controricorrenti – avverso la SENTENZA del CONSIGLIO DI STATO n. 3982/2024 depositata il 2/05/2024.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 6/05/2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
ritenute le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che le Sezioni Unte dichiarino inammissibile il ricorso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, referendario della Corte dei Conti, impugna, con atto affidato a quattro motivi, la sentenza del Consiglio di Stato n. 3982 del 2/05/2024 che ha rigettato l’appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, di rigetto della domanda di risarcimento danni proposta nei confronti della Corte dei Conti.
La domanda proposta in primo grado era relativa a un asserito comportamento di mobbing posto in essere dal presidente della sezione della Corte dei Conti alla quale la ricorrente era stata destinata, nonché dagli organi di vertice della stessa Corte e da parte di appartenenti, non meglio identificati, al ruolo amministrativo del personale e che si sarebbe concretizzato, tra l’altro, nella mancata scelta della stessa, nonostante le sue capacità professionali e linguistiche, quali la perfetta conoscenza della lingua russa, per partecipare a un incontro con una delegazione della Federazione Russa.
La domanda, sia in primo che in secondo grado è stata rigettata per mancata prova del comportamento persecutorio.
Resistono con un unico controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Corte dei Conti.
Il ricorso è stato avviato a trattazione con proposta di definizione accelerata di inammissibilità, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., della Prima Presidente.
La ricorrente ha chiesto la decisione collegiale e il ricorso è stato, quindi, fissato in adunanza camerale dinanzi le Sezioni Unite.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso proposti sono i seguenti.
sull’ammissibilità del ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione ex artt. 111, ottavo comma, Costituzione e 103 Costituzione e per c.d. ‘eccesso’ o ‘rifiuto’ di giurisdizione e violazione di legge.
II) quanto al negato accertamento istruttorio e violazione di legge nell’omessa interpretazione dell’art. 1227 c.c.
III) quanto al denegato accertamento istruttorio e violazione di legge nell’interpretazione dell’art. 2697 , secondo comma, c.c. ed omessa e contraddittoria decisione su un punto decisivo della controversia con riferimento all’art. 2087 c.c. (art. 360 , terzo e quinto comma, comma c.c.).
IV) violazione di legge e del principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., poiché la ritenuta mancanza di accertamento sull’ an relativo ai danni patiti e patiendi dalla COGNOME comporta un’impossibilità , sia assoluta che relativa, di consequenzialità nell’applicabilità di principio di soccombenza reciproca che possa dare luogo alla compensazione delle spese di lite, così come disposto dal Consiglio di Stato.
La proposta di definizione accelerata è la seguente:
« Letto il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 3982/2024, pubblicata il 2 maggio 2024; rilevato che il Consiglio di Stato ha respinto l’appello contro la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 13569/2023; rilevato che il giudizio ha ad oggetto la domanda della ricorrente, magistrato della Corte dei Conti, volta alla condanna al risarcimento dei danni patiti per effetto del comportamento illecito posto in essere dai colleghi funzionalmente sovraordinati e dal
personale amministrativo della Corte dei Conti; rilevato che l’adito TAR ha rigettato la domanda per il difetto di prova in ordine all’esistenza delle condotte persecutorie dedotte dall’attrice; rilevato che il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del primo giudice, non risultando integrata la prova in ordine all’esistenza di condotte persecutorie e vessatorie, ciò anche con riferimento ad alcuni specifici episodi esaminati nei punti ‘10.6’ e ’14’ della sentenza impugnata; considerato che i motivi di ricorso denunciano l’eccesso o il rifiuto di giurisdizione e la violazione di legge per il negato accertamento istruttorio, la omessa interpretazione dell’art. 1227 c.c., la violazione dell’art. 2697 c.c., la omessa e contraddittoria decisione su un pun to decisivo con riguardo all’art. 2087 c.c., la violazione del principio di soccombenza con riguardo alla compensazione delle spese di lite; rilevato che il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni in grado di appello o in unico grado del giudice amministrativo è limitato alle sole ipotesi di difetto assoluto o relativo di giurisdizione e non si estende ad asserite violazioni di legge, sostanziale o processuale, concernenti il modo di esercizio della giurisdizione speciale, sicché non hanno consistenza le censure della ricorrente, le quali nella sostanza prospettano errori “in iudicando” e ‘in procedendo’ addebitabili alla sentenza impugnata (tra le tante, Cass. Sez. Unite n. 15573 del 2021; n. 19103 del 2023);
ritenuto, pertanto, che si ravvisa la inammissibilità del ricorso;» 3) Il primo motivo di ricorso è infondato in quanto, sulla base di un’impropria interpretazione della giurisprudenza nomofilattica e segnatamente di Sez. U n. 32559 del 23/11/2023, resa in fattispecie del tutto diversa, il cui esito decisorio non può in alcun modo essere ritenuto correlato alla fattispecie concreta in esame, tenta di estendere il sindacato sui provvedimenti del Consiglio di Stato oltre i limiti dell’eccesso o del diniego di giurisdizione .
Invero, la richiamata pronuncia di queste Sezioni Unite ha ritenuto che costituisca rifiuto di giurisdizione la decisione del Consiglio di Stato di estromissione dal giudizio dinanzi a sé degli enti esponenziali titolari di interessi legittimi collettivi, incisi dal provvedimento amministrativo, impugnato in prime cure, così precludendo ad essi la tutela giurisdizionale di loro posizioni giuridiche sostanziali qualificate.
Nel ricorso in esame la situazione è del tutto diversa, poiché la pretesa sostanziale della ricorrente è stata, dal giudice amministrativo, disattesa nel merito per la mancata prova della stessa configurabilità di un danno risarcibile e quindi per la conseguenziale insussistenza dei presupposti fattuali suscettibili di integrare la condotta persecutoria asseritamente lesiva, cosicché sarebbe configurabile al più un “error in procedendo” o “in iudicando”, interno ai limiti del potere giurisdizionale del giudice amministrativo (in materia si veda Sez. U n. 19103 del 06/07/2023).
4) Il secondo e il terzo motivo possono essere congiuntamente scrutinati, in quanto essi sono entrambi attinenti all’asserito omesso approfondimento istruttorio del giudice amministrativo nella prospettiva che detta carenza integri un vizio di rifiuto di giurisdizione, nel senso prospettato al primo motivo.
In particolare, con i detti due motivi, sono poste censure di violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. e dell’art. 2697, commi primo e secondo, c.c., nonché di motivazione omessa e contraddittoria in relazione a un punto decisivo della controversia e con riferimento all’art. 2087 c.c. e del d.lgs. n. 81 del 2008 (recante Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) con riferimento agli obblighi di prevenzione e prevenzione gravanti sul datore di lavoro, e, quindi, nella specie, sulla Corte dei Conti.
Le censure proposte nei due detti motivi, secondo e terzo, sono incentrate sul mancato approfondimento istruttorio da parte del
giudice amministrativo, che, nella prospettazione della ricorrente, non avrebbe adeguatamente valorizzato le circostanze fattuali, di carattere documentale, rappresentate in causa, così non dando luogo all’applicazione dell’art. 1227 c.c. e addivenendo a una pronuncia di non liquet .
L’argomentazione censoria si appunta, inoltre, sulla mancata applicazione dell’art. 2697, comma secondo, c.c., non avendo il Consiglio di Stato adeguatamente valutato le circostanze fattuali alla luce del principio di non contestazione e secondo il ragionamento presuntivo, in modo tale da valorizzare il materiale istruttorio depositato in atti e che avrebbe condotto all’affermazione della sussistenza della condotta persecutoria in danno della ricorrente.
L’approfondimento istruttorio omesso avrebbe riguardato anche la consulenza tecnica di parte, di carattere medico-legale, prodotta dalla ricorrente, che da un lato non sarebbe stata adeguatamente considerata quale fonte di prova al fine della responsabilità del datore di lavoro Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art. 2087 c.c. e dall’altra non sarebbe stata considerata al fine di disporre l’ammissione della consulenza tecnica, medico legale, di ufficio, pure reiteratamente richiesta e non disposta e ciò a fronte delle reiterate mancanze contestate alla COGNOME dai vertici della Corte dei Conti in relazione alla sua produttività e alle sue assenze dal lavoro. La censura di omessa e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia è posta, infine, con riferimento all’obbligo di protezione incombente sul datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c. anche in relazione alle previsioni a tutela del lavoratore subordinato di cui al d.lgs. n. 81 del 9/04/2008.
Le censure proposte nei detti due motivi non attengono in alcun modo alla violazione della giurisdizione, per eccesso o per difetto (Sez. U n. 7926 del 20/03/2019) poiché esulano dalla violazione dell’art. 111, comma ottavo, della Costituzione, in quanto relative all’interpretazione della legge sostanziale e processuale e non ai
limiti della giurisdizione del giudice amministrativo per eccesso o per difetto.
La difesa della COGNOME tenta di sussumere nel rifiuto di giurisdizione le violazioni di legge sostanziale e processuale dedotte nei motivi secondo e terzo, ma deve in questa sede ribadirsi che (Sez U n. 32773 del 19/12/2018) la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dalla, dedotta, erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111, comma 8, Cost., atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sé sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione..
Tutte le prospettazioni di cui ai motivi secondo e terzo attengono, invero, alla mancata applicazione dell’art. 1227 c.c., all’inesatta o omessa applicazione dell ‘art. 2697 c.c., in punto specificamente di non contestazione, alla mancata applicazione del ragionamento presuntivo al fine di addivenire all’accertamento della responsabilità del datore di lavoro Pubblica Amministrazione.
La censura di motivazione omessa e contraddittoria, posta con riferimento al disposto dell’art. 2087 c.c., sarebbe, peraltro, al di là dei limiti segnati dall’art. 111, comma ottavo, della Costituzione, è di per se’ inammissibile in quanto, oltre che esulante dalle contestazioni possibili, alla luce della norma costituzionale, dei limiti della giurisdizione, è posta secondo la risalente previsione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., anteriore alle modifiche di cui
all’art. 54, comma 1, lett. b) del d.l. n. 83 del 22 /06/2021, convertito in legge n. 134 del 7/08/2012.
Le censure, oltre che sugli omessi accertamenti di fatto si concretizzano in una richiesta di diverso apprezzamento e valutazione delle risultanze di causa, come fatto palese dal riferimento al paradigma della motivazione omessa e contraddittoria e al riferimento all’esito decisorio quale non liquet , mentre, viceversa la decisione è stata di segno negativo.
Le censure sono, pertanto, inammissibili in quanto non attengono a profili di eccesso della giurisdizione.
Il quarto motivo di ricorso concerne le spese di lite, che sono state compensate dal Consiglio di Stato.
La prospettazione della ricorrente è nel senso che la compensazione sarebbe stata malamente disposta, in quanto in considerazione delle risultanze di causa essa sarebbe immotivata, in quanto dal materiale istruttorio sarebbe emersa comunque la soccombenza della Corte dei Conti, cosicché la Pubblica Amministrazione resistente avrebbe dovuto subire la condanna alle spese, in relazione al valore della controversia.
La censura è inammissibile poiché il Consiglio di Stato ha così motivato la propria decisione sul punto (pag. 10, punto 16):
«Si valutano, nondimeno sussistenti, in considerazione delle peculiarità della fattispecie, come emergenti dalla documentazione in atti, i presupposti per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.» cosicché non vi è alcun riferimento alla reciproca soccombenza quale ragione della disposta compensazione e dunque il quarto motivo del ricorso non si correla adeguatamente alla sentenza impugnata.
La censura riguardante la mancata condanna alle spese è, peraltro, al di fuor dell’ambito del sindacato delle Sezioni Unite . Questa Corte ha, invero, affermato da tempo che la sentenza del Consiglio di Stato non è impugnabile con ricorso alle Sezioni Unite
della Corte di Cassazione, sotto il profilo dell’omessa condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese del giudizio od al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, poiché tale censura non investe questioni attinenti alla giurisdizione, cioè all’osservanza dei cosiddetti limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali di detto Consiglio, ma attiene alla correttezza dell’Esercizio delle attribuzioni medesime (Sez. U n. 232 del 12/01/1984).
Il ricorso, conformemente all’originaria proposta di definizione anticipata, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese di lite, tenuto conto dell’ attività processuale espletata in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo in favore della parte controricorrente.
In applicazione dell’art. 380 bis , comma terzo c.p.c., come interpretato da questa Corte (Sez. n. 28540 del 13/10/2023), e in considerazione dell’infondatezza delle censure attinenti l’eccesso di potere giurisdizionale e del l’inammissibilità delle restanti censure, esulanti del tutto dall’ambito della giurisdizione di legittimità con riguardo alle sentenza del G.A., la ricorrente deve essere condannata, in considerazione dell’esatta riproduzione in sede collegiale della proposta di definizione accelerata, trattandosi di conformità integrale poiché riguarda non solo l’esito del ricorso, inteso come dispositivo o formula terminativa della deliberazione, ma anche le ragioni che tale esito sostengono, al pagamento della somma di Euro duemila ai sensi dell’art 96, comma terzo , c.p.c. e della somma di Euro duemila, in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, c.p.c.
La decisione di inammissibilità del ricorso comporta che deve attestarsi, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte a Sezioni Unite dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito e al pagamento di Euro 2.000,00 ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. e di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dele Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione il 6/05/2025.
Il Presidente NOME COGNOME