Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4056 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4056 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17290/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE), NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 1155/2018 depositata il 29/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.NOME ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la Corte di Appello di Lecce ha rigettato l’appello contro la sentenza di primo grado a sua volta reiettiva della originaria domanda proposta da essa ricorrente, proprietaria di un terreno in Campi Salentina, Lecce, contro NOME COGNOME -odierno controricorrente -, perché quest’ultimo fosse condannato a rilasciare una porzione del terreno asseritamente inglobata nel suo fondo a confine.
La Corte di Appello ha fatto riferimento alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado sottolineando che il consulente d’ufficio aveva ‘puntualmente confutato’ le ‘considerazioni del consulente di parte attrice’ secondo cui non vi sarebbe stato uno ‘sconfinamento’ dal parte del COGNOME, nonché alla documentazione in atti -titoli di provenienza con allegate planimetrie, tipo di frazionamento e certificazioni catastali- in particolare sottolineando che, con atto notarile del 27 maggio 1953, il dante causa della NOME aveva venduto alla dante causa del COGNOME una striscia di terreno di ampiezza tale da escludere ‘l’incorporazione da parte del COGNOME di alcuna porzione della proprietà NOME al di fuori della fascia acquistata dalla dante causa’. La Corte di Appello ha così confermato l’accertamento in fatto del giudice di primo grado;
la causa perviene al RAGIONE_SOCIALE a seguito di richiesta di decisione formulata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. a seguito
di proposta di definizione del giudizio per inammissibilità comunque manifesta infondatezza del ricorso;
3. la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica di ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5, c.p.c.’, vengono svolte argomentazioni tendenti a confutare le risultanze della consulenza tecnica recepite dai giudici di merito e la lettura data sia dal consulente che dai medesimi giudici degli atti di provenienza, segnatamente l’atto notarile del 27 maggio 1953, delle mappe catastali e dei tipi di frazionamento;
2. il motivo è inammissibile.
2.1. Al di là della rubrica, esso veicola non una censura di omesso esame di fatti -censura che, peraltro, sarebbe inammissibile atteso che a fronte di un doppio accertamento conforme dei giudici di primo e secondo grado, l’impugnazione della sentenza d’appello soggiace alla preclusione derivante dalla regola di cui all’art. 348ter, comma 5, c.p.c.- bensì una critica alla CTU e una lettura dei documenti diversa da quella datane dai giudici di primo e secondo grado al fine di ottenere da questa Corte di legittimità un inammissibile riesame del merito;
3. con il secondo motivo di ricorso vengono lamentate ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 873 c.c., 2697 c.c., 1470 c.c., 132 c.p.c., 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c.’. Il motivo veicola argomentazioni critiche rispetto alla CTU, sovrapponibili a quelle introdotte con il primo motivo e l’asserto per cui la Corte di Appello avrebbe errato laddove ha affermato che con l’ atto notarile del 27 maggio 1953 era stata trasferita una fascia di terreno comprensiva dell’area oggetto di causa, posto che, invece,
o
‘il rogito richiamato non dispone in questo senso né in termini di interpretazione letterale né in termini deduttivi’;
4. il motivo è inammissibile.
4.1. Per un verso, in relazione alla critica alla CTU, vale il rilievo già svolto riguardo al primo motivo di ricorso per cui non può essere chiesto a questa Corte di legittimità un riesame del merito.
Per altro verso, in relazione alla critica della interpretazione del contratto di vendita in data 27 maggio 1953, la stessa è inammissibile in quanto si riduce alla proposta di una diversa interpretazione del contratto. La critica non è formulata in termini di e in riferimento a falsa applicazione da parte della Corte di Appello di uno o più dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c.
Per altro verso ancora, la critica di violazione dell’art. 2697 c.c. è inammissibile in quanto, con la censura di violazione dell’art. 2697 c.c., possono farsi valere errori consistenti nella attribuzione dell’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi, impeditivi e estintivi e non possono invece essere veicolate -come nel caso di specie- censure attinenti alla valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n.13395 del 29/05/2018).
Del tutto generica e pertanto anch’essa inammissibile è la doglianza di ‘violazione o falsa applicazione deli artt. 132 c.p.c., 111 Cost.’
La motivazione della sentenza impugnata, peraltro, è ben al di sopra della soglia del “minimo costituzionale” entro cui è limitato il sindacato di legittimità sulla motivazione. È infatti non solo presente graficamente ma anche chiara e lineare: vi si dà compiutamente atto di risultanze di consulenza tecnica di ufficio e di documentazione in atti da cui viene ritenuto certo che l’odierno
ricorrente non ha commesso ‘lo sconfinamento’ lamentato dalla odierna ricorrente;
in conclusione attesto che entrambi i due motivi di ricorso sono risultati inammissibili ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., si impone una declaratoria d’inammissibilità del ricorso (Cass. SU n.7155/2027) con conseguente condanna della ricorrente alle spese;
6. poiché la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso, e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatto applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma.
6.1. quanto alla disciplina intertemporale, per effetto del rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 380 -bis cit. nel testo riformato, va richiamato l’indirizzo adottato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 27433/2023, secondo la quale detta normativa -in deroga alla previsione generale contenuta nell’art. 35 comma 1 d.lgs. n. 149 del 2022 -è immediatamente applicabile a seguito dell’adozione di una decisione conforme alla proposta, sebbene per giudizi già pendenti alla data del 28 febbraio 2023; ciò in quanto l’art. 380 -bis cit. (che nella parte finale richiama l’art. 96, terzo e quarto comma, cit.) è destinato a trovare applicazione, come espressamente previsto dall’art. 35, comma 6, del d.lgs. n. 149 del 2022, anche nei giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, come quello in esame;
6.2. sulla scorta di quanto esposto, la ricorrente va condannata al pagamento di una somma, equitativamente determinata in € 1500,00, in favore della controparte e di una ulteriore somma, pari ad € 1500,00, in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 –
da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 2500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna la ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 1500,00 in favore del controricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di € 1500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.