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Rientro del personale: quando la PA non è obbligata

Un ente pubblico aveva esternalizzato un servizio a un consorzio privato, con una clausola contrattuale che prevedeva il ‘rientro del personale’ presso l’ente in caso di cessazione dell’accordo. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2484/2024, ha stabilito che tale clausola è nulla se non si verifica un effettivo trasferimento di attività o servizio (reinternalizzazione). Un semplice accordo contrattuale non può obbligare la Pubblica Amministrazione ad assumere personale, poiché l’assunzione nel settore pubblico è vincolata a rigide norme di legge.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rientro del Personale nella PA: la Clausola Contrattuale Non Basta

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e appaltatori privati: la validità delle clausole che prevedono il rientro del personale dell’appaltatore nell’organico dell’ente pubblico alla cessazione del contratto. La decisione chiarisce che una promessa contrattuale, da sola, non è sufficiente a scavalcare le rigide normative che regolano le assunzioni nel settore pubblico.

I Fatti del Caso: Esternalizzazione e Promessa di Ritorno

La vicenda trae origine dalla revoca di una convenzione tra un Ente Pubblico e un consorzio privato per la gestione di servizi di formazione professionale. Una lavoratrice del consorzio, il cui rapporto di lavoro era cessato a seguito della revoca, si era rivolta al tribunale chiedendo il riconoscimento del suo diritto a proseguire il rapporto di lavoro direttamente con l’Ente Pubblico.

La sua richiesta si fondava su una specifica clausola presente nelle convenzioni stipulate tra l’ente e il consorzio, la quale prevedeva che, in caso di cessazione del contratto per qualsiasi causa, i rapporti di lavoro sarebbero proseguiti con l’Ente Pubblico, con un richiamo all’articolo 2112 del codice civile.

La Decisione della Corte d’Appello

In un primo momento, la Corte d’Appello aveva dato ragione alla lavoratrice. I giudici di secondo grado avevano interpretato la clausola come un impegno valido, anche in assenza di una effettiva reinternalizzazione del servizio. Secondo la Corte territoriale, il richiamo all’art. 2112 c.c. doveva essere inteso in senso ‘atecnico’, ovvero come una garanzia contrattuale di riassorbimento a prescindere dal verificarsi di un vero e proprio trasferimento di azienda.

L’Analisi della Cassazione sul rientro del personale

La Suprema Corte ha ribaltato la decisione, accogliendo il ricorso dell’Ente Pubblico e stabilendo un principio di diritto fondamentale. L’analisi dei giudici si è concentrata sulla distinzione tra autonomia contrattuale privata e i vincoli imperativi del diritto pubblico.

La questione della decadenza

In via preliminare, la Cassazione ha confermato la decisione d’appello su un punto procedurale: l’azione della lavoratrice non era soggetta al termine di decadenza previsto dalla legge per l’impugnazione di contratti di lavoro illegittimi. Questo perché la lavoratrice non sosteneva che l’Ente Pubblico fosse sempre stato il suo vero datore di lavoro, ma rivendicava un diritto alla riassunzione sorto al momento della cessazione del contratto di appalto, basandosi sulla clausola convenzionale.

Il Principio di Diritto: i Limiti all’Autonomia Negoziale della PA

Il punto centrale della decisione riguarda la validità della clausola di riassorbimento. La Corte ha affermato che il rientro del personale presso una Pubblica Amministrazione non può essere un mero effetto automatico della cessazione di un contratto di concessione o appalto.

Una clausola di questo tipo è da considerarsi nulla se non si verificano le condizioni sostanziali previste dalla legge, ovvero:
1. Un effettivo trasferimento di azienda o ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c.
2. Una specifica ipotesi di retrocessione prevista da norme di legge (come l’art. 31 del D.Lgs. 165/2001).

In assenza di una reale reinternalizzazione del servizio, la Pubblica Amministrazione non può acquisire personale al di fuori delle proprie esigenze di servizio e delle procedure di programmazione, spesa e dotazione organica imposte dalla legge. Un accordo privato non può derogare a queste norme imperative.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla netta separazione tra le regole del diritto privato e i vincoli pubblicistici che governano l’azione amministrativa. La Cassazione ha sottolineato che consentire a una PA di assumere personale tramite una semplice clausola contrattuale, senza un effettivo trasferimento di attività, equivarrebbe a eludere le norme imperative in materia di reclutamento pubblico. L’accordo, se interpretato in tal senso, sarebbe nullo per illiceità della causa, in quanto mirerebbe a un risultato vietato dall’ordinamento. Il richiamo ‘atecnico’ all’art. 2112 c.c. non può creare un obbligo di assunzione se mancano i presupposti fattuali e giuridici per la sua applicazione, ovvero il passaggio di un complesso di beni e persone organizzato per l’esercizio di un’attività economica.

le conclusioni

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Stabilisce chiaramente che le clausole di salvaguardia occupazionale, pur lodevoli nelle intenzioni, non possono garantire un automatico rientro del personale presso la PA committente. I lavoratori di aziende private che operano in appalto per il settore pubblico devono essere consapevoli che la loro stabilità occupazionale non può dipendere da clausole contrattuali che contrastano con i principi fondamentali del pubblico impiego. Per le Pubbliche Amministrazioni, la sentenza rappresenta un monito a non inserire in convenzioni e contratti impegni che non possono essere legalmente mantenuti, ribadendo che qualsiasi forma di reclutamento deve avvenire nel rigoroso rispetto delle procedure di legge.

Una clausola in un contratto di appalto può obbligare una Pubblica Amministrazione a riassumere i dipendenti dell’appaltatore privato alla fine del contratto?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che una tale clausola è nulla se non si verificano le condizioni specifiche previste dalla legge, come una reale reinternalizzazione del servizio o una cessione di ramo d’azienda. Un semplice accordo non può scavalcare le norme imperative sul reclutamento pubblico.

L’articolo 2112 del codice civile sul trasferimento d’azienda si applica sempre in questi casi?
No. Il semplice richiamo all’art. 2112 c.c. in un contratto non è sufficiente a renderlo applicabile. È necessario che avvenga un effettivo trasferimento di un’entità economica organizzata (azienda o suo ramo), non basta la mera cessazione di un contratto di servizio.

La richiesta di un lavoratore di essere assunto da una PA in base a una clausola contrattuale è soggetta a un termine di decadenza?
Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che il termine di decadenza previsto per contestare la natura del rapporto di lavoro (art. 32, L. 183/2010) non si applicasse. La domanda non mirava ad accertare che la PA fosse il vero datore sin dall’inizio, ma a far valere un diritto alla riassunzione nato dalla clausola stessa alla fine del contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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