Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7119 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 7119  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5746/2024 R.G. proposto da :
COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliato  in  INDIRIZZO,  presso lo studio dell’avvocato  COGNOME NOME che lo rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.
-ricorrente- contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.
-controricorrente- avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO dell’ AQUILA  n. 31/2024 depositata il 08/01/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
1. -Con  atto  di  citazione  notificato  il  12  settembre  2017, NOME  NOME  convenne  NOME  dinanzi  al Tribunale di Pescara.
Egli, premesso di avere concordato con la moglie, NOME, la ristrutturazione dell’immobile di proprietà di quest’ultima al fine di adibirlo a residenza familiare, di avere sostenuto le spese di questi lavori per un esborso complessivo di euro 90 mila per come riconosciuto, a suo parere, dalla stessa COGNOME con la scrittura del 7 novembre 2013, con la quale i coniugi avevano convenuto di regolare, in vista della separazione personale, il rimborso di queste spese all’attore, chiese la condanna della COGNOME al pagamento di euro 90 mila, oltre interessi e svalutazione monetaria.
La convenuta si costituì,  eccependo  l’irripetibilità  degli  esborsi sostenuti  dall’attore  in  quanto  aventi  la  natura  di  contributi  ai bisogni familiari di cui all’art. 143 c.c., e contestò il contenuto della scrittura privata del 7 novembre 2013 di riconoscimento di debito, sostenendo che l’attore aveva riempito contra pacta il foglio firmato in bianco dalla COGNOME al fine di dare mandato all’avvocato per la separazione coniugale, nonché il quantum del credito preteso dallo stesso attore.
Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria espletata, ritenne non provata  l’esistenza  di  un  accordo  di  riempimento  alternativo  a quello effettivamente risultante dall’atto prodotto dall’attore e quindi pienamente  valido  il  riconoscimento  di  debito  ai  sensi dell’art.2702 c.c.: accolse la domanda e condannò la convenuta al pagamento della somma stabilita nella scrittura, oltre le spese.
La Corte di appello dell’Aquila, investita del gravame proposto da COGNOME, nella resistenza di COGNOME, ha riformato
integralmente la prima decisione e ha respinto la  domanda dell’originario attore con la sentenza n.31/2024.
La Corte abruzzese, apprezzando in maniera diversa le risultanze istruttorie testimoniali e documentali, ha ritenuto che nel caso  di  specie  fosse  stato  provato  che  il  riempimento  del  foglio firmato  in  bianco  era  avvenuto contra  pacta ed  ha  escluso  che questo documento integrasse una ricognizione di debito.
La Corte di merito ha evidenziato che in tal senso deponeva la testimonianza della sorella dell’appellante circa le modalità di apposizione della firma sul foglio in bianco, a mezza altezza come per conferire una procura in vista del giudizio di separazione, e l’intitolazione del foglio ‘Separazione -dichiarazione di separazione’, mentre il contenuto del documento, dopo un breve cenno alla separazione, si diffondeva esclusivamente in una dettagliatissima ricostruzione della voce di credito dello NOME e delle modalità di assolvimento, anche in natura, dell’obbligazione, senza che nulla fosse detto sulle condizioni della separazione.
Ha affermato, quindi, che lo squilibrio delle pattuizioni, unitamente agli elementi sopra considerati e al frangente della separazione, rendevano altresì inverosimile che il riempimento del documento fosse conforme a quanto effettivamente pattuito. Ha soggiunto che solo nel caso di abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco (non autorizzato dall’autore della sottoscrizione) andava esperita querela di falso, rimedio non attuabile nel caso (come quello in esame) di mancata corrispondenza tra ciò che si voleva fosse dichiarato e ciò che in concreto la dichiarazione aveva espresso, difformità suscettibile di essere dedotta fornendone prova attraverso i mezzi ordinari, indipendentemente dalla proposizione della querela di falso.
La Corte di merito, esprimendo una seconda ratio , ha aggiunto che la stessa determinatezza  del credito pecuniario appariva incerta,  dal  momento  il quantum poteva  essere  determinato  solo
per  differenza  rispetto  ad  una  sorta  di  pagamento  in  natura, mediante restituzione della mobilia.
COGNOME  ha  proposto  ricorso  chiedendo  la  cassazione  della sentenza di appello con due mezzi, illustrati con memoria. COGNOME ha replicato con controricorso.
E’ stata disposta la trattazione camerale.
CONSIDERATO CHE:
2. -Il primo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 229 c.p.c. e 2735 c.c. per aver la Corte aquilana omesso di esaminare alcuni atti a cui il ricorrente attribuisce valore confessorio: i) le dichiarazioni, rese da COGNOME davanti al Tribunale di Pescara all’udienza del 30.10.2014, che assume siano confessioni giudiziali spontanee, aventi valore di prova legale; ii) la lettera racc. in data 22.11.2013 della stessa COGNOME, a cui attribuisce valore di confessione stragiudiziale; iii) i documenti comprovanti le spese anticipate dal coniuge COGNOME per i lavori di sistemazione della casa coniugale. Da ciò deduce un’errata valutazione delle prove acquisite, con conseguente grave errore di percezione e con totale travisamento delle stesse.
Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata risulta viziata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 229 c.p.c. e 2735 c.c., essendo la Corte territoriale pervenuta ad un’erronea valutazione delle risultanze probatorie, valutando positivamente, secondo il suo prudente apprezzamento, la dichiarazione della testimone, sorella della originaria convenuta, ma disattendendone altre, aventi valore di prova legale e determinanti ai fini del decidere, nel senso che se fossero state esaminate avrebbero comportato una sentenza certamente diversa da quella assunta.
3. -Il  secondo  motivo  denuncia  sotto  il  profilo  dell’omesso esame -ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. -circa i ‘fatti decisivi
per  il  giudizio  che  sono  stati  oggetto  di  discussione  tra  le  parti’ l’omessa considerazione degli atti già indicati  con  il  primo  motivo della  ‘confessione  giudiziale  spontanea’  resa  da  NOME COGNOME all’udienza presidenziale del 30.10.2014; della ‘confessione stragiudiziale’ resa dalla medesima con lettera racc. in data 22.11.2013; nonché della prova documentale di quelle medesime spese sostenute per la sistemazione della casa coniugale.
Su tali temi, il ricorrente insiste nella memoria.
-I due motivi vanno trattati congiuntamente per connessione e vanno respinti.
-Sotto un primo profilo, risultano inammissibili perché il ricorrente ha agito sulla scorta del documento del 7 novembre 2013, a cui ha attribuito valore di ricognizione di debito e la Corte di appello ha escluso che il documento in questione avesse tale valore, avendo ravvisato il riempimento contra pacta del foglio firmato in bianco e, quindi, la non veridicità del documento, sulla scorta di specifici elementi probatori (testimonianza di NOME COGNOME, contrasto tra l’intestazione dell’atto ed il suo contenuto -che non tratta delle condizioni di separazione -, squilibrio delle pattuizioni) senza che questa statuizione sia stata direttamente impugnata.
La  prospettazione  di  diverso  fatto  costitutivo  della  pretesa,  e cioè  la    confessione,  giudiziale  e/o  stragiudiziale,  risulta  del  tutto nuova, alla luce sia della sentenza (che non affronta questo tema) che  del  ricorso,  ove  il  ricorrente  in  osservanza  del  dovere  di specificità, avrebbe dovuto precisare e localizzare quando e in quali atti aveva sottoposto la questione ai giudici di merito.
-É, comunque, infondata la censura concernente la mancata valutazione di quella che il ricorrente assume essere una confessione  giudiziale.  La  confessione  giudiziale  costituisce  una dichiarazione di scienza, il cui elemento essenziale è l’affermazione
inequivoca in ordine ad un fatto storico dubbio, resa la quale gli effetti che ne derivano sono stabiliti dalla legge, sicché è irrilevante l’indagine sullo stato soggettivo del confitente o sul fine da lui perseguito nel renderla (Cass. n. 19554/2016): va qui ribadito che le dichiarazioni rese dai coniugi in sede di udienza presidenziale non hanno valore probatorio di confessione giudiziale e, pertanto, la loro omessa valutazione non integra il vizio di cui agli artt.115 e 116 c.p.c. in quanto elementi di fatto concorrenti alla complessiva valutazione finale da parte del giudice di merito (Cass. n. 4860/2017).
La  censura  concernente  la  lettera  racc.  in  data  22.11.2013  è carente anche per difetto di specificità, posto che non è riportato integralmente il testo della lettera, né risulta che la questione sia stata posta in questi termini dinanzi al giudice di merito; inoltre, il ricorrente sollecita una interpretazione del contenuto del documento  che  è  propria  della  fase  di  merito  ed  esorbita  dalle funzioni di legittimità.
Quanto alla documentazione relativa ai costi per lavori sopportati dal marito, ricorrono le medesime ragioni di inammissibilità prima esposte, potendosi aggiungere che tali documenti sono estranei alla moglie e non costituiscono prova del dedotto debito di quest’ultima.
-In conclusione il ricorso va rigettato.
Le  spese  seguono  la  soccombenza  nella  misura  liquidata  in dispositivo.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
-Rigetta il ricorso;
-Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio che liquida  in  euro  5.000,00=,  oltre  euro  200,00=  per  esborsi,  spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%  ed accessori di legge;
-Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da parte  del  ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  Camera  di  Consiglio  della  Prima