Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3051 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3051 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
R.G.N. 17272/19
C.C. 21/01/2025
ORDINANZA
Appalto -Pagamento corrispettivo -Vizi -Riduzione prezzo -Risarcimento danni sul ricorso (iscritto al N.R.G. 17272/2019) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. COGNOME;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 224/2019, pubblicata l’8 marzo 2019, notificata a mezzo PEC il 29 marzo 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 3 febbraio 1998, COGNOME Michele conveniva, davanti al Tribunale di Taranto, i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME per sentirli condannare al pagamento della somma di vecchie lire 49.200.000, quale saldo dei lavori eseguiti in appalto per complessive vecchie lire 57.200.000 (di cui vecchie lire 22.700.000 per la prima fase delle opere realizzate nel capannone sito in agro di Palagiano, contrada INDIRIZZO, vecchie lire 18.000.000 per la seconda fase di tali lavori, inerenti alla sistemazione di una recinzione dell’annesso terreno, e vecchie lire 16.500.000 per le opere realizzate nell’immobile urbano sito in Palagianello, INDIRIZZO, oltre IVA sull’intero, avendo già detratto l’acconto di vecchie lire 8.000.000.
Si costituivano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali contestavano, in fatto e in diritto, la fondatezza dell’avversaria domanda, di cui chiedevano il rigetto, eccependo: a ) il difetto di legittimazione passiva sostanziale del Montenero; b ) la mancata esecuzione a regola d’arte nonché il mancato
completamento dei lavori relativi all’immobile urbano sito in Palagianello, con il versamento di un acconto di vecchie lire 10.000.000; c ) la mancata esecuzione di alcuni lavori inerenti alla seconda fase del cespite sito in Palagiano, con il versamento a saldo della somma di vecchie lire 3.500.000, oltre alla somma di vecchie lire 8.000.000 già corrisposta in ordine alla prima fase di tali lavori. Per l’effetto, in via riconvenzionale, chiedevano la riduzione del corrispettivo degli appalti e il risarcimento dei danni subiti e subendi, sia per la voce del danno emergente sia per la voce del lucro cessante.
Nel corso del giudizio era assunta la prova testimoniale ammessa ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1233/2006, depositata l’11 giugno 2006, accoglieva la domanda principale e, per l’effetto, condannava i convenuti al pagamento, in favore dell’attore, della somma di euro 23.628,99, oltre rivalutazione monetaria e IVA sulla complessiva somma di euro 27.760,65, rigettando le domande riconvenzionali spiegate dai convenuti.
2. -Con atto di citazione notificato l’11 gennaio 2007, proponevano appello avverso la pronuncia di primo grado COGNOME NOME e COGNOME NOME, lamentando: 1) l’erroneo rigetto dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva del Montenero; 2) l’erronea liquidazione del corrispettivo spettante in misura maggiore rispetto a quanto richiesto; 3) l’omessa rilevazione del fatto che la determinazione delle somme dovute dal consulente tecnico d’ufficio era comprensiva dell’accessorio dell’IVA; 4) l’erronea inclusione, nel conteggio delle somme dovute per l’opera di demolizione del capannone per euro
1.815,60, anche delle spese per il trasporto in discarica del materiale di risulta, voce non dovuta in quanto tale operazione non sarebbe stata attuata, secondo la deposizione del teste COGNOME Giovanni; 5) l’erronea affermazione della decadenza dalla garanzia per i vizi, spettando all’attore fornire la prova della maturazione di tale decadenza, con la conseguente spettanza della riduzione del prezzo nella misura di euro 1.450,56; 6) l’erroneo rigetto della domanda di risarcimento danni per il mancato godimento dell’immobile sito in Palagianello, per il periodo dal 1994 al 2004, il cui valore locatizio era stato accertato dal consulente tecnico d’ufficio nella misura di euro 19.985,52.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione COGNOME COGNOME il quale instava per il rigetto dell’appello e, in via incidentale, chiedeva che le spese di consulenza tecnica d’ufficio fossero poste a carico delle controparti, con il riconoscimento del maggior danno ex art. 1224 c.c.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Lecce (Sezione distaccata di Taranto), con sentenza n. 209/2010, depositata il 7 ottobre 2010, accoglieva l’appello principale e, per l’effetto, rigettava la domanda di condanna al pagamento del corrispettivo dovuto per i lavori eseguiti e condannava l’appaltatore al pagamento, in favore dei committenti, della somma di euro 21.346,08, a titolo di risarcimento danni per inadempimento, oltre interessi ex art. 1284 c.c., rigettando l’appello incidentale.
In specie, la sentenza d’appello negava la spettanza del compenso dell’assuntore in difetto di prova, sia dell’accettazione dei lavori a cura dei committenti o del rifiuto ingiustificato di
accettarli, sia della loro esecuzione a regola d’arte. Inoltre, qualificava la condotta dell’appaltatore quale mero inadempimento, in quanto le opere commissionate non erano state completate, riconoscendo il risarcimento dei danni per la mancata utilizzazione dell’immobile sito in Palagianello e per l’eliminazione dei vizi riscontrati, secondo il regime ordinario.
3. -Spiegava ricorso in cassazione COGNOME Michele, il quale contestava: 1) che i lavori commissionati erano riconducibili a distinti appalti e non già ad un appalto unitario, a fronte del riferimento dell’eccezione di inadempimento per mancato completamento delle opere soltanto alla commessa riguardante l’immobile sito in Palagianello; 2) che vi era vizio di motivazione, non avendo la Corte d’appello tenuto conto della mancata comparizione dei coniugi COGNOME all’udienza fissata per il deferimen to del loro interrogatorio formale, né dell’esito dell’assunta prova testimoniale, a fini di desumere l’elencazione dei lavori realizzati; 3) che vi era vizio di motivazione quanto all’accertamento compiuto dell’abbandono dei lavori da parte dell’artefice, alla mancata accettazione tacita degli stessi da parte dei committenti e all’inadempimento complessivo dell’assuntore, senza considerare le risultanze probatorie; 4) che la Corte d’appello aveva qualificato il contratto intervenuto tra le parti contempora neamente come appalto e come prestazione d’opera, a fronte di differenze significative delle rispettive discipline, in particolare con riferimento alla fase conclusiva dell’esecuzione, che nell’un caso avrebbe previsto l’accettazione e nell’altro la consegna dell’ opus ; 5) che vi era vizio di motivazione con riguardo alla qualificazione del contratto come appalto, alla luce
delle risultanze processuali; 6) che vi era vizio di motivazione in ordine al riconoscimento del danno da lucro cessante per il mancato completamento dei lavori riguardanti il locale sito in Palagianello, identificato nel reddito ricavabile dalla locazione del locale medesimo, in relazione al periodo dal 1994 al 2004, in difetto di alcun nesso di causalità tra l’inadempimento e la perdita di reddito per il periodo di dieci anni, durante il quale i committenti avrebbero potuto, con spesa modica, eliminare i vizi e difetti in modo da rendere il locale utilizzabile, trattandosi, in ogni caso, di perdita di mera chance e non di una concreta occasione di locare l’immobile a terzi; 7) che il riconoscimento dell’importo di quasi euro 20.000,00, pari a dieci anni di canoni di locazione non percepiti a causa del mancato completamento dei lavori, a fronte di un costo per il completamento stimato dal consulente d’ufficio in circa euro 1.500,00, sarebbe stato incompatibile con l’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in materia di obbligazioni.
Resistevano COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali chiedevano il rigetto del ricorso.
Con sentenza di questa Corte n. 18832/2016, depositata il 26 settembre 2016, erano accolti il primo, il sesto e il settimo motivo, era rigettato il quarto motivo ed erano assorbiti i rimanenti motivi; quindi, la pronuncia impugnata era cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio.
In particolare, si riteneva viziata la ricostruzione della fattispecie in termini di appalto unitario, non potendo -per l’effetto estendersi l’eccezione di inadempimento per mancato
completamento ai lavori inerenti ai differenti appalti pacificamente eseguiti.
Inoltre, si rilevava che era stata correttamente fatta applicazione della disciplina dell’appalto e non di altre affini figure negoziali.
In ultimo, si precisava il seguente principio di diritto: ‘In tema di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, la cui delimitazione è determinata in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra la situazione dannosa e quella che sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato, sicché, ai fini dell’accertamento dell’estensione della responsabilità, acquisisce rilievo, quale eventuale fattore sopravvenuto, anche il successivo comportamento del contraente adempiente’.
4. -Con atto di citazione notificato il 19 dicembre 2016, riassumeva la causa davanti al giudice di rinvio COGNOME Michele, cui seguiva la costituzione di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME che insistevano nell’accoglimento dei motivi d’appello.
La Corte d’appello di Lecce in sede di rinvio, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento per quanto di ragione dell’impugnazione spiegata e in parziale riforma della pronuncia appellata, accoglieva la domanda di condanna al pagamento del corrispettivo preteso dall’appaltatore nei limiti di euro 18.187,58 e, per l’effetto, condannava i committenti al pagamento, in favore dell’appaltatore, di tale somma, oltre interessi e rivalutazione monetaria, nonché al pagamento dell’IVA sull’intero corrispettivo dovuto di euro 22.319,23.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, con riferimento alla prima fase dei lavori eseguiti in agro di Palagiano, a fronte dell’indicazione -a cura dell’appaltatore -di un importo complessivo a corpo di euro di 11.723,57 -, il corrispettivo dovuto doveva essere limitato all’importo accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio in euro 7.763,86, da cui doveva essere detratta la voce relativa al trasporto in discarica del materiale di risulta, non effettuato secondo il teste COGNOME COGNOME nella misura equitativamente determinata in euro 200,00, sicché, in ordine a tale lavoro, doveva essere riconosciuto un corrispettivo complessivo di euro 7.563,86; b ) che, con riguardo alla seconda fase dei lavori in agro di Palagiano, a fronte del prezzo complessivo indicato a corpo dall’assuntore in euro 9.296,22, la consulenza tecnica d’ufficio aveva accertato che l’ammontare dei lavori era pari ad euro 13.086,98, sicché la somma dovuta doveva essere limitata alla misura richiesta; c ) che, in ordine ai lavori svolti presso l’immobile in Palagianello, il compenso indicato dall’artefice a corpo era pari ad euro 8.521,53, mentre il consulente tecnico d’ufficio aveva determinato la somma spettante in euro 6.909,71, che doveva essere ridotta nella misura di euro 1.450,56, quale importo accertato per l’eliminazione dei vizi riscontrati, con un totale dovuto per tali lavori pari ad euro 5.459,15; d ) che non poteva tenersi conto della decadenza dalla garanzia per i vizi, poiché si trattava di eccezione in senso stretto mai proposta dall’assuntore; e ) che il corrispettivo complessivo, pertanto, ammontava ad euro 22.319,23, oltre IVA come per legge (non calcolata dal consulente
tecnico d’ufficio), da cui doveva essere detratto l’acconto versato pari ad euro 4.131,65, con un credito residuo dovuto di euro 18.187,58, oltre rivalutazione monetaria e interessi; f ) che l’inadempimento era consistito unicamente nell’esecuzione dei lavori nell’immobile sito in Palagianello in spregio alle regole dell’arte, il cui costo di ripristino era stato quantificato in euro 1.450,56, con la conseguente riduzione del corrispettivo dovuto, mentre nessuna prova era stata dedotta in ordine al mancato completamento delle opere commissionate e, in specie, quanto alla mancata realizzazione della scala di collegamento tra i due livelli del locale; g ) che non poteva essere di ostacolo alla locazione la presenza dei vizi riscontrati in sede di consulenza tecnica d’ufficio, che avrebbero potuto essere immediatamente denunciati, trattandosi di ‘scalfiture molto visibili’, presenti sulla ‘superficie dei rari conci di tufo costituenti la volta’; h ) che, infatti, entrambe le parti dovevano uniformare i rispettivi comportamenti alle regole di correttezza, sicché nel comportamento di una parte che avesse tentato di sottrarsi al pagamento di distinte obbligazioni, adducendo, nella migliore delle ipotesi a distanza di ben quattro anni dal loro sorgere, il parziale inadempimento della controprestazione, riferito ad una delle obbligazioni dedotte, non si ravvisavano profili di correttezza.
5. -Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, COGNOME NOME e COGNOME NOME
Ha resistito, con controricorso, l’intimato COGNOME Michele. 6. -I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di fatto decisivo discusso tra le parti, per avere la Corte di merito mancato di esaminare gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, dalla quale sarebbe emersa la mancata esecuzione della scala e del bagno al piano interrato.
Obiettano gli istanti che dalle indagini peritali sarebbe emerso che i lavori nell’immobile urbano di INDIRIZZO in Palagiano non erano stati completati quanto alla scala di collegamento tra il piano terra e il piano interrato nonché al bagno al piano interrato, sicché avrebbe dovuto essere esclusa l’applicazione della disciplina speciale sulla garanzia per le difformità e vizi e avrebbe dovuto essere applicato il regime ordinario sull’inadempimento di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c.
In sede di memoria illustrativa tale omissione è stata limitata alla sola mancata realizzazione degli impianti idrico e fognante e del bagno al piano terra.
1.1. -Il motivo è infondato.
Nessuna omissione di accadimenti storico-naturalistici decisivi è stata perpetrata, poiché la sentenza impugnata ha chiarito che non vi era stata alcuna allegazione e deduzione di prove volte a dimostrare il mancato completamento delle opere appaltate.
Sicché non avrebbero potuto essere utilizzate le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ai fini di esonerare gli appaltanti dall’onere quantomeno allegatorio di tale carenza.
Tanto più che nessun riferimento specifico all’obbligo dell’appaltatore di realizzare anche il bagno al piano interrato, secondo le previsioni negoziali, è stato addotto e dimostrato.
Ed invero il mancato completamento delle opere commissionate avrebbe presupposto il preliminare accertamento del fatto che l’appalto comprendesse anche gli interventi in tesi omessi, aspetto sul quale è stata rilevata l’assoluta carenza assertiva e asseverativa.
2. -Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione degli artt. 1667 e 1668 c.c., per avere la Corte territoriale applicato la disciplina speciale sulla garanzia per i vizi, anziché la disciplina ordinaria sull’inadempimento, in ragione del mancato completamento dei lavori appaltati.
2.1. -Il motivo è infondato.
In mancanza di alcun elemento utilizzabile da cui desumere che l’esecuzione delle opere appaltate non fosse stata portata a termine, non vi erano le condizioni per ritenere che nella fattispecie trovasse applicazione la disciplina generale sull’inadempimento, anziché la garanzia speciale sui vizi (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1186 del 22/01/2015; Sez. 2, Sentenza n. 13983 del 24/06/2011; Sez. 3, Sentenza n. 8103 del 06/04/2006; Sez. 2, Sentenza n. 3302 del 15/02/2006; Sez. 2, Sentenza n. 9849 del 19/06/2003; Sez. 2, Sentenza n. 9863 del 27/07/2000; Sez. 2, Sentenza n. 10255 del 16/10/1998; Sez. 2, Sentenza n. 7364 del 09/08/1996; Sez. 2, Sentenza n. 11950 del 15/12/1990).
3. -Con il terzo motivo i ricorrenti contestano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte distrettuale tralasciato di esaminare la circostanza secondo cui, sino alla risoluzione del contratto (avvenuta l’8 aprile 1998 per facta concludentia ), il mancato utilizzo dell’immobile sarebbe derivato esclusivamente dall’inadempimento dell’appaltatore e a questi sarebbe stato imputabile.
E ciò perché l’assuntore non avrebbe adempiuto all’obbligazione di completare le opere e di eseguirle a perfetta regola d’arte, da cui sarebbe derivata la mancata accettazione dei committenti.
3.1. -Il motivo è infondato.
Il giudice del rinvio, tenendo conto del principio di diritto statuito da questa Corte, ha infatti negato che, a fronte della ricorrenza di vizi, la cui eliminazione avrebbe richiesto l’esborso di una somma pari ad euro 1.450,56, potesse addebitarsi all’appaltatore il mancato godimento dell’immobile per un decennio, per un valore figurativo pari ad euro 19.985,92.
Infatti, in tema di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale, il danno risarcibile coincide con la perdita o il mancato guadagno che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, la cui delimitazione è determinata in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra la situazione dannosa e quella che sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato, sicché, ai fini dell’accertamento dell’estensione della responsabilità, acquisisce rilievo, quale eventuale fattore
sopravvenuto, anche il successivo comportamento del contraente adempiente.
In base a questa impostazione, la sentenza impugnata ha osservato che i vizi riscontrati, consistenti in ‘scalfiture molto visibili’ sulla ‘superficie dei rari conci di tufo costituenti la volta’, avrebbero potuto essere immediatamente segnalati all’assuntore, affinché vi ponesse rimedio (ovvero direttamente e immediatamente eliminati su iniziativa degli stessi ordinanti dell’appalto).
Sicché -considerata la loro marginale entità -essi non hanno avuto una rilevanza eziologica in concreto tale da legittimare la mancata utilizzazione dell’immobile per dieci anni.
4. -Con il quarto motivo i ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione dell’art. 1175 c.c., per avere la Corte del rinvio addebitato agli appaltanti anche il mancato uso dell’immobile sino all’8 aprile 1998, non potendo ad essi essere ascritto alcun comportamento contrario a correttezza e dovendo piuttosto tale mancato uso imputarsi alla responsabilità dell’artefice debitore.
5. -Con il quinto motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per vizio di ultrapetizione ex art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello escluso il risarcimento dei danni sulla scorta del comportamento degli appaltanti che avrebbero aggravato il danno.
Detta circostanza avrebbe dovuto essere eccepita dall’appaltatore, in quanto eccezione in senso stretto, e non già rilevata d’ufficio.
5.1. -I due motivi -che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica -sono infondati.
E tanto perché l’accertamento di un contegno degli appaltanti non conforme al canone della correttezza, per aver addotto a distanza di quattro anni il parziale inadempimento della controprestazione, ai soli fini di inibire la richiesta di pagamento del corrispettivo, non è riconducibile all’aggravamento dei danni subiti dal creditore, che avrebbe potuto evitarli usando l’ordinaria diligenza ex art. 1227, secondo comma, c.c.
Piuttosto, il giudice del rinvio ha negato, a monte, l’incidenza causale (secondo il giudizio di regolarità o normalità causale o di occasionalità necessaria di cui all’art. 1223 c.c.) del comportamento dell’appaltatore sul danno -conseguenza rivendicato, in ordine alla mancata utilizzazione dell’immobile su cui l’appalto è stato eseguito.
Segnatamente, in tema di risarcibilità dei danni conseguiti da inadempimento, nell’ipotesi di responsabilità contrattuale, o da fatto illecito, il nesso di causalità va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della regolarità causale, con la conseguenza che, ai fini del sorgere dell’obbligazione di risarcimento, il rapporto fra inadempimento (o illecito) ed evento può anche non essere diretto ed immediato se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, sempre che, nel momento in cui si produce l’evento causante, le conseguenze dannose di esso non appaiano del tutto inverosimili (combinazione della teoria
della condicio sine qua non con la teoria della causalità adeguata) -Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15274 del 04/07/2006; Sez. 3, Sentenza n. 5913 del 09/05/2000; Sez. 1, Sentenza n. 11629 del 15/10/1999; Sez. L, Sentenza n. 3353 del 20/05/1986; Sez. 3, Sentenza n. 643 del 26/01/1980; Sez. 3, Sentenza n. 4135 del 09/12/1974; Sez. 3, Sentenza n. 1752 del 06/06/1972; Sez. 3, Sentenza n. 1891 del 28/05/1969; Sez. 3, Sentenza n. 3018 del 23/11/1963 -.
Nei termini anzidetti la valutazione del giudice di merito, quanto alla rilevazione della contrarietà a buona fede oggettiva del contegno degli appaltanti, rispetto alla negazione del nesso di causalità tra i vizi accertati e il mancato uso dell’immobile per un decennio, non è sindacabile in questa sede (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16163 del 21/12/2001; Sez. L, Sentenza n. 2009 del 06/03/1997).
6. -Con il sesto motivo i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione dell’art. 1657 c.c., per avere la Corte del gravame quantificato la somma da detrarre, in ordine alla voce rappresentata dal trasporto dei materiali di risulta in discarica autorizzata, facendo ricorso all’equità, anziché attenendosi alle tariffe per la determinazione di tale costo.
6.1. -Il motivo è infondato.
Ed invero, nel conteggio della somma dovuta per l’opera eseguita, la sentenza impugnata ha fatto riferimento alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, che ha applicato le relative tariffe (segnatamente il bollettino di informazione tecnica
sull’elenco dei prezzi dei materiali e delle opere dell’Associazione regionale degli ingegneri e degli architetti di Puglia).
Solo ai fini di defalcare l’importo relativo alla voce non dovuta rispetto all’importo complessivo quantificato secondo i già menzionati criteri, si è stabilita l’incidenza di tale voce in termini equitativi (ossia in proporzione all’intero).
Ora, in tema di appalto, qualora la prova del danno o della diminuzione di valore di un bene o di un’opera sia impossibile o difficoltosa, è giustificato il ricorso al criterio equitativo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6565 del 23/03/2006).
7. -Il settimo motivo del ricorso investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione dell’art. 1 d.P.R. n. 633/1972, per avere la Corte salentina disposto la riduzione del corrispettivo dell’appalto nella misura di euro 1.450,56, senza riconoscere la maggiorazione a titolo di IVA, da corrispondere al momento della presentazione della fattura per l’eliminazione di detti vizi.
7.1. -Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha, infatti, individuato l’importo oggetto della domanda di riduzione ex art. 1668 c.c. sulla scorta delle risultanze peritali. Si tratta, appunto, di somma oggetto di riduzione rispetto al corrispettivo preteso -e non già di somma oggetto della spesa da sostenere per l’eliminazione dei vizi -, come tale non soggetta a IVA.
E tanto perché il committente può chiedere che le difformità e i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore oppure che sia disposta la riduzione del prezzo ( quanti minoris ), riservandosi di eseguire per proprio conto le correzioni o riparazioni necessarie.
Ebbene, in tema di riduzione del prezzo d’appalto ex art. 1668 c.c., l’accertamento del giudice di merito deve fondarsi su criteri obiettivi, consistenti nel raffronto tra il valore e il rendimento dell’opera pattuita con quello dell’opera eseguita in modo viziato, non potendosi escludere che, in base ad un motivato apprezzamento, la differenza tra valore e rendimento possa coincidere con il costo delle opere necessarie per eliminare vizi e difformità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11409 del 08/05/2008; Sez. 1, Sentenza n. 8043 del 04/10/1994; Sez. 3, Sentenza n. 2236 del 15/06/1976).
La finalità della riduzione è appunto quella di porre il committente nella stessa condizione economica in cui si sarebbe trovato se avesse stipulato l’appalto per un’opera corrispondente a quella effettivamente realizzata, comprensiva dei difetti, ad un prezzo inferiore, cosicché l’esperimento dell’azione è atto a ristabilire il nesso di corrispettività tra le prestazioni.
In questa prospettiva la riduzione incide sul prezzo inteso come valore contrattuale della cosa e non sul suo valore di mercato, ossia sul valore corrente obiettivo della cosa.
Senonché, nella fattispecie, è stata chiesta la riduzione del corrispettivo, che è stata quantificata sulla base dei costi da sostenere per eliminare i vizi, ma il quantum di tale riduzione non era soggetto ad IVA, in quanto incidente appunto sulla mera revisione del prezzo dell’appalto.
Per converso, la soggezione ad IVA avrebbe richiesto una spesa fatturata per l’eliminazione, nella fattispecie insussistente.
8. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.600,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda