Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3297 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3   Num. 3297  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23350/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO  presso  la  CANCELLERIA  della  CORTE  di  CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
 contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato COGNOME  NOME  (CODICE_FISCALE)  che  lo  rappresenta  e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
TABLE
-intimati- avverso  SENTENZA  di  CORTE  D’APPELLO  VENEZIA  n.  1635/2018 depositata il 12/06/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2024 dal Consigliere COGNOME
Fatti di causa
1.- La società RAGIONE_SOCIALE, in data 1.7.2004, ha stipulato un contratto di  prestazione  artistica  con  la  società  RAGIONE_SOCIALE,  alla  quale  ha conferito l’incarico  di organizzare eventi dietro compenso.
L’articolo 7 di detto contratto conteneva una clausola con la quale era previsto che ‘in caso di interruzione anticipata del contratto da parte della  società  RAGIONE_SOCIALE‘  quest’ultima  avrebbe  dovuto corrispondere alla RAGIONE_SOCIALE una penale pari al 30% del corrispettivo pagato nell’anno solare precedente. Viceversa, nel caso di ‘interruzione  anticipata  del  contratto’  da  parte  di  NOME  sarebbe stata quest’ultima a corrispondere a RAGIONE_SOCIALE una penale pari, in questo caso, al 30% del fatturato.
2.E’ accaduto che tuttavia RAGIONE_SOCIALE ha venduto l’immobile in cui RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto organizzare gli eventi, ed ha comunicato a quest’ultima, con lettera del 28.9.2009, che, a causa di ciò, ‘il contratto stipulato in data 1 luglio 2004 doveva intendersi risolto anticipatamente alla data del 23 novembre 2009’.
Nella stessa lettera RAGIONE_SOCIALE ha riconosciuto conseguentemente di dover corrispondere a RAGIONE_SOCIALE la penale prevista in contratto, che poi spontaneamente ha pagato.
3.-  Tuttavia,  qualche  tempo  dopo,  la  stessa  RAGIONE_SOCIALE  ha  ritenuto che  quella  penale  fosse  eccessiva  (si  trattava  di  circa  700  mila euro) ed ha agito per ottenerne la riduzione.
4.- Il Tribunale di Verona ha stimato che la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE  fosse  di  ripetizione  dell’indebito,  e,  ritenuta  altresì  la manifesta eccessività della penale, l’ha ridotta considerevolmente, condannando RAGIONE_SOCIALE a restituire l’eccedenza.
5.-  Questa  tesi  è  stata  poi  confermata  dalla  Corte  di  Appello  di Venezia con sentenza che viene qui impugnata da RAGIONE_SOCIALE con tre  motivi,  illustrati  da  memoria,  cui  resiste  la  RAGIONE_SOCIALE  con controricorso e memoria.
Ragioni della decisione
6.La ratio della decisione impugnata .
La Corte di Appello di Venezia, accertato che la clausola in questione costituisce una clausola penale, ossia una clausola che attribuisce una somma alla parte adempiente a fronte dell’inadempimento dell’altra, l’ha ritenuta manifestamente eccessiva ed ha altresì ritenuto che la circostanza che essa sia stata spontaneamente pagata non impedisce al giudice di ridurla ad equità, rientrando tale riduzione tra i suoi poteri esercitabili d’ ufficio. Di conseguenza, ridotta la penale, i giudici hanno stimato che la somma eccedente è stata corrisposta senza titolo, ed hanno di conseguenza disposto che andasse restituita secondo le regole dell’indebito.
Questa  ricostruzione  è  qui  confutata,  come  si  è  detto,  con  tre motivi.
8.-  Il primo  motivo prospetta  una  violazione  dell’articolo  112 c.p.c.
La  società  ricorrente  assume  che  la  decisione  impugnata  non  ha deciso alcunché sulla questione della possibilità di ridurre la penale qualora essa sia stata corrisposta spontaneamente dalla parte che vi era obbligata.
9.- Il secondo motivo prospetta una violazione dell’articolo 1384 c.c.
La tesi è che il giudice può ridurre la penale fino a che il contratto sia  in  essere  e  comunque  fino  a  che  la  penale  non  sia  stata corrisposta. Non può più farlo quando invece la clausola sia stata eseguita, tra l’altro liberamente e volontariamente, con conseguente estinzione dell’obbligazione.
La riduzione di una penale già eseguita, peraltro, lede, secondo la ricorrente, l’affidamento della parte che ha ricevuto il pagamento, che è portata a considerare come dovuto il pagamento effettuato spontaneamente.
Inoltre, corrispondere una somma spontaneamente e poi pretenderne la restituzione, equivale a venire contra factum proprium ,  ossia  ad  adottare  un  comportamento  contraddittorio  e come tale improduttivo di effetti.
10.-  Con  il  terzo  motivo  si  prospetta  una  violazione  degli  articoli 112  c.p.c. e 2033 c.c.
La tesi è che, anche ad ammettere che la penale sia riducibile, non si  produce  l’effetto  della  ripetizione,  poiché  la  somma  che  deve essere restituita è stata spontaneamente corrisposta sulla base di un titolo, che, al momento del pagamento, era valido ed efficace.
Su  tale  questione,  tra  l’altro,  secondo  la  ricorrente,  il  giudice  di appello non si sarebbe pronunciato.
11.-  Questi  tre  motivi,  come  è  agevole  intendere,  pongono  una questione comune e dunque può farsene scrutinio unitario. Per le ragioni che seguono essi vanno considerati infondati.
12.La  soluzione  è  in  particolare  condizionata  dall’orientamento assunto  da  questa  Corte  sulla  questione  della  riducibilità  della penale, e del rapporto, che rispetto alla clausola penale, si pone tra autonomia privata e poteri del giudice.
Questa Corte ha ritenuto ormai da tempo che <> (Cass. 18128/ n2005).
Da questa regola, che ha avuto ampio seguito (Cass. 8293/ 2006; Cass. 2202/ 2007; Cass. 25334 / 2017), si ricava che la riduzione può operare anche contro la volontà delle parti, proprio perché è prevista  non  solo  nell’interesse  di  una  di  essa,  ma  nell’interesse generale a che non si stipulino contratti eccessivamente iniqui.
Ciò ha come corollario che la penale può essere ridotta anche se le parti la prevedano espressamente come irriducibile.
Questo orientamento è ormai consolidato. Non può essere messo qui  in  discussione,  ed  obbliga  alla  conclusione  per  cui  la  clausola
penale può essere ridotta dal giudice anche ove ne sia stato fatto adempimento spontaneo.
Alla luce di questo principio di diritto, ormai affermatosi in giurisprudenza,  e  vale  a  dire  che  la  penale  può  essere  ridotta d’ufficio  dal  giudice  a  prescindere  dalla  volontà  delle  parti,  vanno dunque affrontati gli argomenti fatti valere dalla società ricorrente per affermare invece il contrario.
La circostanza, infatti, che la penale può essere ridotta dal giudice d’ufficio anche ove le parti abbiano concordato la sua irriducibilità, significa che l’autonomia privata, secondo l’orientamento giurisprudenziale predetto, può essere sacrificata in ragione di un certo interesse generale alla stipula di contrati equi. Non vale cioè obiettare che il giudice che riduce la penale, pur dopo che essa è adempiuta spontaneamente, contraddice l’autonomia delle parti e disattende la loro volontà: argomento vano difronte al principio di diritto per cui il giudice può invece ridurre l’ammontare, anche d’ufficio, e farlo nell’interesse generale, quindi a prescindere dalla volontà delle parti.
Inconferente appare poi l’argomento dell’affidamento, generato dal pagamento  spontaneo,  in  quanto  proprio  l’eventualità  che  sia  il giudice,  anche  d’ufficio,  a  poter  ridurre  la  penale,  e  dunque  ‘a sorpresa’, esclude che possa parlarsi di affidamento, che è riconosciuto ad una parte verso le condotte dell’altra, ma non verso le decisioni del giudice.
L’affidamento è una situazione che opera nei rapporti tra privati o tra privati e pubblica amministrazione, ma non nei confronti del giudice. Ove sia riconosciuto a quest’ultimo il potere di disattendere l’accordo delle parti (in tutto o in parte) è evidente che non si possa ragionare di affidamento: la nullità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado (sia pure a certe condizioni) e non si può impedire che il giudice la rilevi assumendo che ormai si era fatto affidamento sulla validità del contratto.
L’affidamento è una situazione giuridica riconosciuta ad una parte nei confronti dell’altra, non ad una parte nei confronti del giudice, ed  opera  ad  impedire  che  la  fiducia  creata  in  una  determinata condotta  venga  lesa  da  una  condotta  contraria.  Ma  non  può  la parte  invocarla  al  fine  di  impedire  al  giudice  di  attuare  interessi generali nel rapporto negoziale.
Inoltre, il pagamento spontaneo di una somma, in adempimento di una obbligazione, non genera un affidamento tale da impedire a chi ha adempiuto un ripensamento ed una richiesta di restituzione: di per sé, il pagamento di un debito non è irretrattabile sulla base del semplice affidamento creato nell’ accipiens .
Né può darsi rilievo al fatto che chi ha pagato non ha fatto ‘riserva’ di ripetizione: il pagamento è atto giuridico in senso stretto, chi lo attua non dispone degli effetti e non li può condizionare con dichiarazioni di volontà, le quali sono irrilevanti rispetto all’effetto legale di estinzione della obbligazione: se, nel momento in cui pago un debito, dichiaro che non voglio adempiere ma fare una liberalità, questa dichiarazione non incide sull’effetto estintivo dell’obbligazione previsto dalla legge, che non è disponibile dalla parte. Allo stesso modo, la dichiarazione dispositiva degli effetti (‘pago ma con riserva’) è irrilevante sull’oggettiva funzione dell’adempimento, che resta quella di estinguere il debito. Correlativamente, non aver fatto la riserva di ripetere quanto pagato non toglie all’atto la sua natura di adempimento e non pregiudica la successiva richiesta di ripetizione dell’indebito.
Altrettanto inconferente è il richiamo al principio del venire contra factum  proprium ,  che  mira  a  privare  di  effetto  comportamenti contraddittori.
La regola del ‘ venire  contra  factum  proprium ‘  che,  come  è  noto, non ha fondamento normativo, e che, in genere, viene ricondotta all’obbligo di buona fede, è una regola che mira a privare di effetti i comportamenti  contraddittori:  nel  comportamento  contraddittorio
viene  infatti  ravvisata  una  violazione  del  principio  di  buona  fede, dato  l’affidamento  che  la  condotta  del  titolare  del  diritto  aveva determinato.
Qui non c’è alcunché di contraddittorio: chi paga non chiede, con comportamento contrario, di non pagare; non siamo in un caso di ‘protestatio contra factum’: chi paga, poi ci ripensa, e ritenendo di aver pagato indebitamente, chiede la riduzione ad equità, e questa è una vicenda tipica di quasi ogni obbligazione, posto che non è fatto alcun divieto, salva la specifica irripetibilità in alcune circostanze, di chiedere al giudice una verifica del pagamento effettuato sulla base di circostanze passate.
La differenza  con  il venire  contra  factum  proprium è  evidente:  in quel caso il comportamento precedente è smentito da uno contemporaneo o successivo, ma non è contestato.
Cosi è nel caso presente: chi ha adempiuto la penale contesta la sua  legittimità,  ritiene,  cioè,  che  non  avrebbe  dovuto  pagarla,  e dunque  la  sua  azione  volta  a  farla  dichiarare  in  parte  illegittima (perché  eccessiva)  non  contraddice  il  precedente  comportamento ma mira a privarlo di effetto.
Infine, va ricordato, ad evitare confusioni, che il pagamento dell’indebito non è una autonoma fattispecie negoziale, ma è un effetto che consegue a vicende tra loro diverse: può derivare dall’annullamento del titolo, dal difetto originario, dalla risoluzione del titolo stesso, da un adempimento errato, ma anche da una decisione giudiziaria che ritenga eccessivo quanto pagato e dunque non dovuta l’eccedenza. Il che significa che la restituzione dell’indebito non è frutto di una condotta della parte in contraddizione con quella precedente (ossia con il pagamento) ma è frutto di una valutazione del giudice di ritenere eccessiva la penale, valutazione che può essere operata d’ufficio e dunque a prescindere dal ripensamento della parte, ed a prescindere da una condotta di quest’ultima in contraddizione con l’apparenza creata.
Infine,  la  ricorrente  assume  che,  sia  pure  riducibile  dal  giudice  la penale fino a che essa non è pagata, non può più esserlo quando invece sia stata adempiuta, e ciò in ragione del fatto che il potere del  giudice  può  essere  esercitato  fino  a  che  l’obbligazione  è  in essere, non quando sia estinta.
L’argomento è suggestivo, ma di certo non fondato.
Non è insolito né contrario ad una qualche regola legale che l’accordo delle parti sia vanificato dopo che è stato eseguito: del resto la nullità di una compravendita può essere pronunciata pur dopo che le parti abbiano rispettivamente consegnato il bene e pagato il prezzo. E chi ha pagato, quale che sia il titolo del pagamento, ha termine ordinario di prescrizione per chiedere che il pagamento venga accertato come indebito. Non ha fondamento né normativo né logico una regola per cui i rimedi contrattuali possono essere esperiti solo fino a che il contratto sia ineseguito, e non possono più esserlo dopo che invece è stato adempiuto, salva ovviamente la prescrizione.
Il  ricorso  va  dunque  rigettato,  ma  la  novità,  almeno  sotto  certi aspetti della questione, consente la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai  sensi  dell’art.  13  comma  1  quater  del  d.P.R.  n.  115  del  2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da  parte  della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a  quello  dovuto  per  il  ricorso,  a  norma  del  comma  1-bis,  dello stesso articolo 13 .
Roma 8.1.2024
L’estensore
Il Presidente