Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1861 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1861 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 14235/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso di lui in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio RAGIONE_SOCIALE in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrenti –
nonché
NOME COGNOME;
-intimato – avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Genova, n. 414/2017, pubblicata il 13 gennaio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con due ricorsi distinti depositati presso il Tribunale di La Spezia il 13 marzo 2015 e il 16 marzo 2015 NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, medici specialisti ambulatoriali titolari di incarico libero professionale con l’RAGIONE_SOCIALE, hanno chiesto che fosse accertata l’illegittimità del provvedimento del 23 luglio 2014 con il quale lo stesso RAGIONE_SOCIALE aveva ridotto le ore dei rispettivi incarichi lavorativi, con condanna dell’istituto stesso a ristabilire l’orario settimanale pre cedente e a corrispondere le differenze retributive maturate.
Il Tribunale di La Spezia, riuniti i ricorsi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 115/2017, li ha accolti.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello che la Corte d’appello di Genova, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 414/2017, ha rigettato.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono difesi con controricorso.
NOME COGNOME non ha svolto difese.
La parte ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la parte ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e degli artt. 1362 e 2237 c.c. in quanto, venendo in rilievo un’ipotesi di recesso da un libero rapporto professionale, avrebbe dovuto essere applicato l’art. 2237 c.c., ai sensi del quale il cliente d’opera sarebbe stato tenuto solo a rimborsare al prestatore le spese sostenute e il compenso per l’attività svolta.
In particolare, anche ove il diritto di recesso fosse stato esercitato, come nella specie, per il venire meno delle relative esigenze, non poteva avere fondamento la domanda del medico di ripristino, anche parziale, del rapporto.
Non sarebbe stata ammissibile, quindi, una tutela reale, con conseguente diritto al ripristino del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, in presenza di una riduzione dell’orario del medico perché non più rispondente alle esigenze pubbliche.
La contrattazione collettiva non avrebbe regolato la materia siccome l’art. 5 dell’Accordo collettivo nazionale RAGIONE_SOCIALE per la disciplina dei rapporti con i Medici Specialisti Ambulatoriali non prevedeva che, in ipotesi di illegittimità del recesso della P.A., potesse essere ripristinato l’orario ridotto.
Non sarebbe stato possibile, quindi, ai sensi degli artt. 1362 ss. c.c., interpretare detto contratto nel senso che avesse derogato all’art. 2237 c.c.
La doglianza è inammissibile.
Innanzitutto, si osserva che oggetto del contendere non è il recesso da un contratto di lavoro autonomo, ma la riduzione unilaterale dell’orario, sulla base del quale era determinato il compenso dei medici.
Questi ultimi hanno contestato un inadempimento della controparte e hanno chiesto, quindi, il pagamento di ciò che sarebbe stato loro dovuto, esercitando un’azione di esatto adempimento .
Si esula, pertanto, a stretto rigore, dalla questione del recesso e, quindi, dall’ambito dell’art. 2237 c.c .
A prescindere da ciò, si evidenzia, poi, che l ‘RAGIONE_SOCIALE chiede , nella sostanza, di chiarire se l’art. 5 dell’ Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni per il quadriennio 2006-2009 deroghi
o meno al disposto dell’art. 2237 c.c., integrandolo nel senso di stabilire in quali casi detto recesso è possibile.
Al riguardo, si osserva che l’art. 4 di detto Accordo collettivo nazionale, denominato Flessibilità operativa: riorganizzazione degli orari e mobilità, prescrive, al comma 1, che:
‘Ferma restando la garanzia, in via generale, del mantenimento dell’orario complessivo di incarico dello specialista, fatta salva la verifica annuale di cui al successivo art. 16, comma 6, al fine del migliore funzionamento del Servizio, l’RAGIONE_SOCIALE può adottare provvedimenti di flessibilità operativa anche temporanea come di seguito specificato’.
Il successivo art. 5, invece, intitolato significativamente ‘Riduzione o soppressione dell’orario -Revoca dell’incarico’, recita che:
‘In caso di persistente contrazione del numero degli infortuni e delle malattie professionali o delle richieste di attività specialistiche afferenti i compiti affidati all’Istituto -documentata attraverso le statistiche sanitarie rilevate nell’arco di un anno e secondo il numero delle prestazioni sanitarie erogate e dei parametri di ponderazione delle stesse di cui all’art. 16, comma 6 -nell’impossibilità di dare corso alle misure di flessibilità operativa di cui all’art. 4, l’RAGIONE_SOCIALE, nella figura del Dir igente Responsabile della Struttura che ha conferito l’incarico, può disporre la riduzione o la soppressione dell’orario di attività di uno specialista, dandone comunicazione all’interessato.
L’eventuale provvedimento di riduzione o di revoca di cui al comma 1 ha comunque effetto non prima di 45 giorni dalla comunicazione.
Avverso la decisione dell’RAGIONE_SOCIALE, l’interessato può proporre ricorso al RAGIONE_SOCIALE Regionale di cui alla norma particolare n. 2 entro 15 giorni dal ricevimento della relativa comunicazione scritta.
L’opposizione ha effetto sospensivo sull’adozione del provvedimento.
Il RAGIONE_SOCIALE Regionale decide sull’opposizione sentito l’interessato e previo parere del RAGIONE_SOCIALE Zonale di cui all’art. 11 da esprimersi entro 30 giorni dalla richiesta.
Lo specialista può chiedere la riduzione dell’orario di attività in misura non superiore alla metà delle ore di incarico assegnate, con un preavviso non
inferiore a 60 giorni. Una successiva richiesta potrà essere presentata solo dopo un anno dalla data di decorrenza dell’orario ridotto’.
Dalla lettura delle disposizioni risulta, innanzitutto, che la contrattazione in esame ha introdotto all’art. 4 una garanzia generale di mantenimento dell’orario complessivo di incarico dello specialista.
Inoltre, l’art. 5, comma 1, ha precisato le circostanze in presenza delle quali è possibile, per l’RAGIONE_SOCIALE , ridurre o sopprimere l’orario di attività di uno specialista (ossia, ‘I n caso di persistente contrazione del numero degli infortuni e delle malattie professionali o delle richieste di attività specialistiche afferenti i compiti affidati all’Istituto – documentata attraverso le statistiche sanitarie rilevate nell’arco di un a nno e secondo il numero delle prestazioni sanitarie erogate e dei parametri di ponderazione delle stesse di cui all’art. 16, comma 6 -nell’impossibilità di dare corso alle misure di flessibilità operativa di cui all’art. 4 (…)’) .
Nessun ambito di applicazione vi è, quindi, ove voglia discutersi di riduzioni o soppressioni dell’orario di attività in esame, per l’art. 2237 c.c.
Una volta chiarito ciò, deve sottolinearsi che la corte territoriale ha accertato, comunque, che non era stato rispettato il procedimento previsto dal citato art. 5 e che non ne ricorrevano i presupposti di applicazione.
Quanto alla contestazione di parte ricorrente concernente l’infondatezza del la domanda del medico di ripristino, anche parziale, del rapporto, si osserva che, nella specie, la corte territoriale non ha concesso una non prevista tutela reale delle ragioni dei lavoratori, ma, semplicemente, ha riattivato il corretto svolgimento del rapporto di lavoro autonomo in corso fra le parti, interrotto dall’inadempimento della medesima RAGIONE_SOCIALE .
Con il secondo motivo l’RAGIONE_SOCIALE contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in quanto esso avrebbe effettuato le rilevazioni previste dall’art. 5 del citato Accordo collettivo.
La corte territoriale avrebbe pure ripartito in maniera non corretta l’onere della prova, siccome veniva in rilievo un rapporto di lavoro autonomo, con la conseguenza che i fatti in base ai quali si sarebbe proceduto a ridurre l’orario di lavoro sarebbero state le prestazioni degli stessi medici interessati e che, quindi, questi ultimi avrebbero dovuto provare la non veridicità delle rilevazioni citate.
Inoltre, i detti medici non avrebbero contestato siffatte rilevazioni.
Infine, sarebbe stato dato troppo peso alle dichiarazioni del dott. COGNOME.
La doglianza è in parte inammissibile e in parte infondata.
Risulta inammissibile con riferimento al dedotto compimento delle rilevazioni previste dall’art. 5 del citato Accordo collettivo.
Infatti, l’RAGIONE_SOCIALE non ha criticato in maniera puntuale la sentenza dell a Corte di appello di Genova ove questa ha accertato, alle pagine da 8 ad 11, l’inattendibilità in concreto degli accertamenti effettuati sulla base dei parametri di un Nomenclatore adottato in epoca successiva al periodo in valutazione. Tale inattendibilità era stata riconosciuta, peraltro, ad avviso del giudice di secondo grado, dalla stessa P.A., che aveva operato una correzione ex post dei dati, ‘integrandoli in forma presuntiva’.
Quanto al principio di non contestazione, parte ricorrente ha fatto delle considerazioni estremamente generiche, senza riportare le difese sul punto dei medici interessati.
Per ciò che concerne il dott. COGNOME, si osserva che è il giudice del merito l’unico legittimato a stabilire il peso da dare alle prove legittimamente acquisite agli atti.
Infine, il motivo è infondato per quel che interessa la ripartizione dell’onere della prova, atteso che, venendo in rilievo un’azione di esatto adempimento, trova applicazione il principio per il quale, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione d ella circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di
riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedo tto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento (Cass., SU, n. 13533 del 30 ottobre 2001).
3) Con il terzo motivo l’RAGIONE_SOCIALE contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. nell’interpretazione del menzionato Accordo collettivo e dei successivi Accordi del 20 dicembre 2012 e del 17 luglio 2013 in quanto sarebbe stata priva di fondamento l’affermazione della corte territoriale in ordine alla retroattività del nuovo sistema di ponderazione. Detto nuovo sistema, comunque, avrebbe favorito i medici. Inoltre, avrebbe dovuto tenersi conto che l’amministrazione non aveva alcun obbl igo di implementare i turni esistenti.
La doglianza è inammissibile per le ragioni che hanno condotto alla dichiarazione di inammissibilità del primo motivo e perché l’RAGIONE_SOCIALE non si confronta con l’affermazione della Corte d’appello di Genova in ordine all’inattendibilità in concreto del nuovo Nomenclatore.
4) Il ricorso è rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tranne che nei confronti di NOME COGNOME, il quale è rimasto intimato.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo, per la parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata dopo la data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, n. 14515 del 10 luglio 2015).
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite in favore dei controricorrenti , che liquida in € 7.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, da distrarsi in favore dei procuratori dichiaratisi antistatari;
-dà atto che sussiste l’obbligo per la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmen te rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 19