Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21283 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21283 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13080-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già, RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME, COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente principale –
contro
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale -nonché contro
RAGIONE_SOCIALE (già, RAGIONE_SOCIALE);
ricorrente principale – controricorrente incidentale –
Oggetto
Patto di non concorrenza -riduzione della penale
R.NUMERO_DOCUMENTO.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/06/2024
CC
avverso la sentenza n. 136/2022 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 19/12/2022 R.G.N. 51/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La Corte d’appello di Trieste ha accolto in parte l’appello principale della società RAGIONE_SOCIALE e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha respinto le domande proposte da NOME COGNOME e volte a far accertare l’invalidità del patto di non concorrenza sottoscritto il 10 febbraio 2017 e, comunque, la mancata violazione del patto medesimo. Accertata la validità del patto di non concorrenza e l’inadempimento della lavoratrice, la Corte d’appello ha condannato quest’ultima al p agamento della penale contrattualmente dovuta, ridotta alla minor somma di euro 30.000,00, oltre accessori. Ha confermato la decisione di primo grado quanto all’obbligo della lavoratrice di pagare l’indennità sostitutiva del preavviso e dichiarato assorbit o l’appello incidentale dalla stessa proposto.
Avverso tale sentenza la società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. NOME COGNOME ha resistito con controricorso e ricorso incidentale con un unico motivo. La società ha depositato controricorso in replica al ricorso incidentale. È stata depositata memoria nell’interesse della lavoratrice.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che :
Ricorso principale della RAGIONE_SOCIALE.
4. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere la Corte d’appello errato nel procedere d’ufficio alla riduzione della penale, in mancanza di allegazioni e prove, incombenti sulla parte, in ordine agli elementi rilevanti ai fini della misura eccessiva della stessa.
5. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 1382 e 1384 c.c. per avere la Corte d’appello ridotto la penale giudicandola eccessiva sul rilievo che la Banca non avrebbe dimostrato di aver subito un effettivo sviamento di clientela; inoltre, per non aver considerato che il carattere eccessivo della penale non si misura sull’entità del danno arrecato dall’inadempimento bensì in funzione ‘dell’interesse che il creditore aveva all’adempimento’, come statuito dall’art. 1384 c.c.; interesse che la Banca certamente aveva per l’enorme danno che la condotta inadempiente della dipendente avrebbe potuto creare dato l’ingente portafoglio dalla medesima gestito. 6. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 116, 437 e 421 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2727 c.c. per omessa ammissione della prova per testi (i cui capitoli sono puntualmente trascritti) e documentale (elencata e illustrata nel corpo del ricorso per cassazione), volte a dimostrare gli effettivi trasferimenti di portafoglio derivanti dalla violazione del patto di non concorrenza.
7. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 1382 e 1384 c.c. per la riduzione della penale prevista a fronte del mancato rispetto dell’obbligo, gravante sulla dipendent e, di
comunicare alla Banca l’inizio di nuovi rapporti professionali o attività.
Con il quinto motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 1384 c.c. per avere la Corte d’appello quantificato in via equitativa la penale in base ad una motivazione del tutto incongrua e illogica.
I motivi di ricorso, da trattare congiuntamente perché tutti attinenti alla riduzione della penale, non sono fondati.
Partendo dal terzo motivo di ricorso, si osserva che la Corte d’appello ha giudicato inammissibili i capitoli di prova testimoniale formulati dalla Banca in quanto contenenti riferimenti a clienti non identificati, ma indicati solo attraverso le iniziali. Ha ritenuto che tale accorgimento adoperato dalla difesa dell’Istituto di credito fosse idoneo a ledere il diritto di difesa della controparte e non giustificato da un obbligo di riservatezza, sia nei confronti della signora COGNOME e sia rispetto all’auto rità giudiziaria.
Questa Corte ha chiarito che l’esigenza di specificazione dei fatti sui quali i testimoni devono deporre è soddisfatta se, ancorché non precisati in tutti i loro dettagli, tali fatti siano esposti nei loro elementi essenziali, per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e mettere in grado la parte, contro la quale essa è diretta, di formulare un’adeguata prova contraria (v. Cass. n. 1175 del 2019; n. 3708 del 2019; n. 2201 del 2007; n. 12642 del 2003). A tali criteri si è uniformata la Corte di merito giudicando privi di specificità, e come tali inammissibili, i capitoli di prova testimoniale non recanti i nominativi dei clienti della Banca che la lavoratrice avrebbe contattato e sviato, risultando simile omissione ostativa alla piena esplicazione del diritto di difesa. Non vi è spazio per ravvisare la violazione dell’art. 116 c.p.c., rinvenibile nelle
ipotesi in cui il giudice valuta una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale (cfr. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014) , e neppure la violazione dell’art. 2697 c.c., che presuppone una inversione degli oneri di prova, circostanze neppure denunciate nel motivo di ricorso in esame.
Nel procedere alla riduzione della penale convenzionalmente stabilita dalle parti, la Corte d’appello ha fatto leva sul dato della mancanza di prova di un concreto sviamento di clientela ad opera della lavoratrice e sulla sproporzione tra l’importo del la penale e il compenso corrisposto alla stessa a fronte del patto di non concorrenza, in tal modo tenendo conto della effettiva incidenza dell’inadempimento sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale e uniformandosi ai criteri indicati in sede di legittimità (v. Cass. n. 26901 del 2023; n. 19492 del 2023; n. 17731 del 2015).
La motivazione adottata dai giudici di appello si sottrae alle critiche mosse dalla società con l’ultimo motivo di ricorso, dovendosi peraltro rilevare che la critica, formulata in termini di motivazione ‘del tutto incongrua e illogica’, neanche prospe tta le anomalie motivazionali riconducibili alla violazione di legge di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c., descritte dalle S.U. di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 come “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, “motivazione apparente’ oppure ‘perplessa ed obiettivamente incomprensibile” tale cioè da non rendere percepibili le ragioni della decisione.
Deve poi osservarsi che il potere di riduzione della penale ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c. a tutela
dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato d’ufficio, e che l’esercizio di tale potere è subordinato all’assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell’eccessività della penale, che deve risultare ” ex actis “, ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d’ufficio (Cass. n. 11439 del 2020; n. 34021 del 2019; n. 21646 del 2010; n. 2431 del 2015). A tali principi si è attenuta la Corte distrettuale avendo posto a base della decisione di riduzione della penale esattamente le allegazioni e prove acquisite al processo anche su iniziativa della lavoratrice.
Ricorso incidentale di NOME COGNOME
15. Con l’unico motivo è dedotta violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 2125, 297 e 2729 c.c., per avere la sentenza d’appello errato nel considerare gli elementi presuntivi raccolti sufficienti a comprovare l’inadempimento del patto di non concorrenza. Si sostiene che gli elementi valorizzati dai giudici di appello (la mancata prova, da parte della lavoratrice, di aver svolto un’attività non vietata dal patto, l’esito delle indagini investigative disposte dalla società datoriale e la violazione dell’obbligo informativo sul nuovo datore di lavoro), anche congiuntamente considerati, non sarebbero idonei a dimostrare la violazione del patto di non concorrenza.
16. Il motivo è inammissibile poiché investe unicamente e direttamente la valutazione degli elementi di prova, non suscettibile di riesame in sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., nella specie neanche invocato.
Non ricorre la violazione dell’art. 2697 c.c. che, come già detto, presuppone una inversione degli oneri di prova da parte del giudice, nella specie neanche dedotta, e neppure la
violazione dell’art. 2729 c.c., dovendosi ribadire che spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche (v. Cass. n. 10847 del 2007; n. 24028 del 2009; n. 21961 del 2010). Va quindi escluso che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva avrebbe dovuto condurre ad un esito interpretativo diverso da quello raggiunto nei gradi inferiori (v., per tutte, Cass. n. 29781 del 2017), spettando al giudice del merito l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit (v. Cass. n. 16831 del 2003; n. 26022 del 2011; n. 12002 del 2017; n. 6838 del 2023).
18. Per le ragioni esposte, deve respingersi il ricorso principale e dichiarare inammissibile quello incidentale, con integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
Il rigetto e l’inammissibilità del ricorso costituiscono presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della
ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 12 giugno 2024