Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14706 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14706 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25075/2021 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
ricorrente -controricorrente incidentale contro
COGNOME NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente -ricorrente incidentale
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2325/2021 pubblicata in data 01/06/2021, n.r.g. 3265/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 03/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dirigente dipendente di RAGIONE_SOCIALE dall’01/02/2009 prima, di RAGIONE_SOCIALE poi, fino al 30/11/2014, quando il rapporto di lavoro era stato estinto in virtù di licenziamento con preavviso intimato con lettera del 24/01/2014.
OGGETTO:
clausola penale – riduzione
equitativa
–
potere
ufficioso
–
criteri di
valutazione
Con ricorso, proposto ai sensi dell’art. 1, co. 47 ss., L. n. 92/2012, assumeva l’illegittimità del licenziamento e rivendicava il suo diritto ad essere reintegrato nel rapporto di lavoro fino al 70^ anno di età.
Deduceva, altresì, di aver subito un demansionamento di tre mesi a ridosso del raggiungimento dell’età pensionabile. Pertanto chiedeva la condanna di RAGIONE_SOCIALE (successore di RAGIONE_SOCIALE) al pagamento del valore di tre annualità di retribuzione, per complessivi euro 720.000,00, in adempimento degli accordi del 14/09/2009 prot. n. 1247 e del 14/07/2010 prot. n. 32/Ris., sottoscritti rispettivamente da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE.
Costituitosi il contradittorio, all’esito della fase c.d. sommaria, il Tribunale rigettava l’impugnazione del licenziamento e, contestualmente, disponeva il mutamento del rito in ordine alle altre domande (di accertamento del demansionamento e di condanna al pagamento di determinate somme), che all’esito dell’istruttoria accoglieva.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto da RAGIONE_SOCIALE e condannava la società al rimborso delle ulteriori spese processuali, liquidate in euro 8.815,00 oltre accessori.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
RAGIONE_SOCIALE con accordo del 14/09/2009 si è impegnata a corrispondere un indennizzo in favore del dirigente, ferma la sua facoltà di dimettersi, in caso di mutamenti organizzativi che avessero comportato una modifica delle funzioni assegnate, nonché a corrispondergli un indennizzo anche in caso in cui il dirigente avesse deciso di proseguire il rapporto, a titolo di risarcimento del danno forfetizzato per la modifica della posizione lavorativa, nonché a versare detto indennizzo anche in caso di risoluzione del rapporto per giusta causa o per raggiungimento dei limiti di età;
con atto del 16/11/2009 RAGIONE_SOCIALE ha comunicato al COGNOME la ristrutturazione della sua retribuzione in conseguenza del processo di fusione con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE per adeguare la sua posizione a quella delle omologhe figure dirigenziali presenti nelle altre società del gruppo;
RAGIONE_SOCIALE, subentrata a RAGIONE_SOCIALE, gli ha attribuito la responsabilità della neo istituita RAGIONE_SOCIALE acquisti e contratti, assegnandogli circa 150 lavoratori alle sue dipendenze;
con lettera del 14/07/2010 RAGIONE_SOCIALE ha confermato gli impegni già assunti da RAGIONE_SOCIALE con la lettera del 14/09/2009;
in data 15/03/2011 è stato trasferito presso la struttura valorizzazioni immobiliari, senza personale assegnato alle sue dipendenze, salvo due segretarie;
in data 09/08/2011 ha subito un ulteriore demansionamento, in quanto preposto ad uno dei tre presidi della ‘RAGIONE_SOCIALE‘;
ulteriori demansionamenti sono stati la conseguenza delle disposizioni organizzative n. 1 del 25/01/2013 e n. 5 del 21/10/2013;
in conseguenza di tutto ciò il COGNOME ha chiesto l’adempimento degli impegni assunti con lettera del 14/09/2009 confermati da RAGIONE_SOCIALE con lettera del 14/07/2010, ed ha dichiarato di voler proseguire il rapporto di lavoro alle nuove condizioni;
a tale richiesta ha fatto seguito il rifiuto di RAGIONE_SOCIALE, che ha contestato altresì la sussistenza di un demansionamento;
il COGNOME ha allegato che a seguito della riorganizzazione aziendale, la sua posizione lavorativa era stata soppressa senza una corrispondente adeguata nuova collocazione;
l’istruttoria svolta in primo grado ha confermato questo assunto, risultante peraltro anche dalla documentazione prodotta;
come insegna la Corte di Cassazione, quando il lavoratore allega un demansionamento riconducibile ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ex art. 2103 c.c., grava su quest’ultimo l’onere di provare l’esatto adempimento;
inoltre, ai sensi dell’art. 2103 c.c. ratione temporis vigente (ossia prima della sua riformulazione ad opera del d.lgs. n. 81/2015), la violazione del divieto di variazione in peius delle mansioni sussiste anche qualora siano assegnate nuove mansioni solo formalmente equivalenti, ma non consentano al lavoratore di salvaguardare il
livello professionale e le competenze acquisite, né l’accrescimento delle sue capacità professionali;
nel caso di specie correttamente il Tribunale ha ritenuto che sia emerso un sostanziale ridimensionamento del ruolo del COGNOME all’interno dell’azienda idoneo a concretizzare un demansionamento;
peraltro RAGIONE_SOCIALE si è limitata a dedurre che quasi automaticamente tale riduzione delle mansioni dovesse ritenersi giustificata alla luce della riorganizzazione generale conseguente alla fusione;
corretta è altresì la qualificazione data ai patti dal Tribunale in termini di clausola penale e quindi della somma in essi prevista a titolo di indennità come liquidazione anticipata del danno;
l’eccezione di nullità e/o inefficacia di tali accordi per l’evidente eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 14567 c.c., sollevata da RAGIONE_SOCIALE, è infondata;
è vero che il potere di riduzione della penale ex art. 1384 c.c. può essere esercitato anche d’ufficio (come insegna Cass. sez. un. n. 1818/2005), ma pur sempre sulla base di elementi di fatto utili acquisiti al giudizio, idonei a sostenere la valutazione di manifesta eccessività dell’ammontare della penale avuto riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento;
dunque nessun rilievo può avere il fatto che il COGNOME non abbia subìto alcuna decurtazione della retribuzione, né che fosse prossimo al pensionamento, dal momento che la predetta valutazione di eventuale manifesta eccessività della penale va compiuta con riguardo al momento di sottoscrizione della clausola.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- COGNOME NOME ha resistito con controricorso ed a sua volta ha proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
6.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso al ricorso incidentale.
7.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
8.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
RICORSO PRINCIPALE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2103 c.c., 3, co. 7 bis, d.l. n. 101/2013 e delle norme statutarie di RAGIONE_SOCIALE, nonché l’omesso esame e l’omessa pronunzia su fatti decisivi, in violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto ‘pacificamente in fatto’ sussistente il demansionamento sin dalla riorganizzazione del 2011, quando invece il Tribunale aveva escluso in quel frangente il demansionamento, nonché omesso di considerare la nullità degli accordi ‘di salvaguardia’, in quanto stipulati dall’amministratore delegato senza il necessario vaglio del Consiglio di amministrazione.
Il motivo è inammissibile perché, al cospetto del silenzio serbato al riguardo dalla Corte territoriale, la ricorrente non precisa se e come la questione relativa alla norma introdotta dal decreto legge del 2013 sia stata sottoposta al giudice di appello. Tale onere di specificazione è vieppiù stringente, laddove si consideri che ratione temporis il d.l. n. 111/2013 è successivo agli accordi sui quali si fonda la domanda del COGNOME, risalenti agli anni 2009 e 2010, e la questione della loro validità attiene al profilo genetico dell’accordo, dunque da valutare alla luce del contesto normativo vigente in quel momento.
Quanto ai limiti statutari previsti con riguardo ai poteri dell’amministratore delegato sia di RAGIONE_SOCIALE, sia di RAGIONE_SOCIALE, la natura non normativa degli statuti societari rende inammissibile la censura sotto il profilo della denunziata ‘violazione o falsa applicazione’ di norme di diritto ex art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3), 4) e 5), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio riguardante l’ onus probandi , nonché nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c. per essersi la Corte d’Appello riportata integralmente alla sentenza di primo grado circa il demansionamento.
Il motivo è inammissibile, perché sollecita a questa Corte una riconsiderazione delle vicende relative alla crisi economico-finanziaria di quegli anni e una rivalutazione delle mansioni via via affidate al COGNOME, entrambe interdette in sede di legittimità.
In ogni caso va evidenziato che sotto il vigore dell’art. 2103 c.c. nella formulazione anteriore alla novella poi apportata dal d.lgs. n. 81/2015, nessun mutamento organizzativo aziendale avrebbe potuto comportare e giustificare un mutamento in peius delle mansioni del dipendente (anche dirigente).
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1467 e 1384 c.c., nonché degli artt. 99 e 116 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di esercitare il potere officioso di riduzione della penale.
Il motivo è infondato in relazione all’art. 1467 c.c., che fa riferimento a circostanze eccezionali e imprevedibili sopravvenute rispetto alla stipulazione del patto, nella specie neppure sufficientemente prospettate nei giudizi di merito.
Il motivo è invece fondato in relazione agli artt. 1384 c.c. e 132, co. 2, n. 4), c.p.c.
La Corte territoriale ha motivato il diniego di riduzione della penale considerando quale unico elemento di valutazione l’interesse del creditore (ossia del COGNOME) all’adempimento, dichiarato come valutato ex ante , ossia con riguardo al momento in cui la clausola è stata pattuita.
Tuttavia, in violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c., i giudici d’appello hanno reso una motivazione ‘apparente’, in quanto limitata al richiamo, di mero stile, all’interesse (astratto) del creditore all’adempimento, senza spingersi a valutare in concreto (come invece necessario: Cass. n. 7835/2006) quale fosse questo interesse, a individuarne i contenuti patrimoniali e non patrimoniali, a indicare le circostanze nelle quali questo interesse avesse assunto consistenza e senza precisare quali ripercussioni avesse avuto la lesione di quell’interesse nella sfera giuridica del COGNOME. Sul piano processuale sussiste quindi il vizio di motivazione denunziato.
Sul piano sostanziale questa Corte ha già affermato che ‘ Il criterio di riferimento per il giudice, nell’esercizio del potere di riduzione della penale, non è la valutazione della prestazione in sé astrattamente considerata, ma l’interesse che la parte ha, secondo le circostanze, all’adempimento di essa, tenendo conto delle ripercussioni dell’inadempimento sull’equilibrio delle prestazioni e della sua effettiva incidenza sulla situazione contrattuale
concreta’ (Cass. ord. n. 26901/2023). Inoltre, ciò che rileva non è soltanto l’interesse del creditore valutato al momento della stipula della clausola, ma anche lo stesso interesse riguardato con riferimento ‘al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., conformativi dell’istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell’art. 1384 c.c., impiegando il verbo ‘ avere ‘ all’imperfetto, si riferisca soltanto all’identificazione dell’interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto’ (Cass. n. 11908/2020).
Inoltre, occorre tenere conto dell’effettiva incidenza dell’adempimento sullo squilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, a prescindere da una rigida ed esclusiva correlazione con l’effettiva entità del danno subito (Cass. ord. n. 19492/2023; Cass. ord. n. 17731/2015).
Ancora, va pur sempre considerato che la clausola penale è una predeterminazione forfettaria del danno, sicché la sua valutazione -ai fini del controllo circa la manifesta eccessività -non può prescindere da una comparazione con quello che altrimenti (ossia in mancanza della clausola penale) sarebbe stato il danno ipoteticamente risarcibile, sebbene questo non possa costituire criterio esclusivo (v. supra ). A questo riguardo assume un indubbio rilievo anche la circostanza -pacifica in causa -dell’avvenuto pensionamento del COGNOME a dicembre 2014, ossia non molti mesi dopo il demansionamento. A tal riguardo il giudice del rinvio dovrà però considerare non la data della lettera di licenziamento -risalente a gennaio 2014 -bensì tutto il periodo di preavviso, durante il quale il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione, con conseguente danno da demansionamento protrattosi fino alla data di cessazione del rapporto di lavoro, come accertato in fatto dalla Corte territoriale.
Infine, il giudice del rinvio dovrà altresì tenere conto che nell’interpretazione della clausola penale non oggetto di impugnazione -sia le parti che i giudici di merito hanno dato per scontato che la
retribuzione-parametro voluta dalle parti fosse quella lorda. Ed allora anche di questo ammontare ( id est la retribuzione lorda, utilizzata come parametro di liquidazione del danno, equivalente al netto, ossia all’importo effettivamente da corrispondere a titolo risarcitorio) la Corte territoriale dovrà tenere conto ai fini della valutazione dell’eventuale manifesta eccessività della penale.
La sentenza impugnata va pertanto cassata e rinviata alla Corte d’Appello ai fini della nuova valutazione di eventuale manifesta eccessività della penale alla luce dei vari, molteplici e concorrenti criteri sopra indicati.
RICORSO INCIDENTALE
Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente incidentale lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 91 e 92 c.p.c. per avere la Corte territoriale liquidato le spese del giudizio di appello non modo non conforme agli artt. 2, 4 e 5 D.M. n. 55/2014.
Il motivo è assorbito.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo del ricorso principale; accoglie per quanto di ragione il terzo; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa