Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18535 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18535 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
Oggetto
Locazione uso diverso -Domanda di riduzione del canone di locazione dovuto nel periodo di applicazione delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza Covid -19 -Natura -Rimedio potestativo giudiziale – Ammissibilità -Esclusione
NOME COGNOME
Presidente –
Oggetto
NOME COGNOME
Consigliere –
R.G.N. 17386/2024
NOME COGNOME
Consigliere Rel. –
NOME COGNOME
Consigliere –
COGNOME
NOME COGNOME
Consigliere –
CC – 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17386/2024 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME domiciliata digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’Avv. NOME COGNOME domiciliata digitalmente ex lege ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila , n. 106/2024, depositata il 22 gennaio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Su ricorso della RAGIONE_SOCIALE il Tribunale di Pescara emise nei confronti della RAGIONE_SOCIALE tre decreti ingiuntivi (nn. 210, 465 e 823 del 2021) per il pagamento della complessiva somma di Euro (61.243,71 + 42.881,97 + 40.910,80 =) 145.036,48 quali canoni impagati relativi ai mesi da Novembre 2020 a Maggio 2021 per la locazione di immobile destinato ad uso commerciale (vendita al pubblico di articoli di abbigliamento maschile ed accessori a marchio ‘RAGIONE_SOCIALE‘) .
Essemoda vi si oppose, previo pagamento integrale degli importi e con riserva di ripetizione, eccependo che a causa delle misure di contenimento adottate dal Governo per fronteggiare la c.d ‘seconda ondata’ di diffusione del Covid -19, aveva subito una forte contrazione dei ricavi nel punto vendita in questione, fino all’azzeramento dei medesimi negli intermittenti periodi di chiusura totale del predetto negozio e di avere pertanto diritto ad una rinegoziazione del canone per il periodo compreso tra l’ultimo trimestre dell’anno 2020 ed il primo semestre dell’anno 2021 .
Chiese pertanto che, « dichiarata l’insussistenza di responsabilità e di inadempimento colpevole … , previa rinegoziazione delle condizioni economiche del contratto … , disporsi … la riduzione del 50%, o della diversa percentuale, minore o maggiore, ritenuta giusta ed equa dal Giudice, per i canoni mensili locatizi che vanno dal 01/10/2020 al 30/06/2021, in proporzione alla mancata fruizione (totale o parziale) dell’immobile concesso in locazione … , con conseguente diritto … di ripetere le somme eccedenti il 50% già interamente corrisposte alla locatrice RAGIONE_SOCIALE per i canoni mensili di ottobre, novembre, dicembre 2020 e gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio 2021 ».
Con sentenza n. 1330 del 2022 l’adito Tribunale, riuniti i giudizi
e in accoglimento delle opposizioni, revocò i decreti ingiuntivi e dispose la riduzione dei canoni di locazione mensili dovuti dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE nelle misure specificate, dichiarando il diritto della opponente di ottenere la restituzione delle somme versate in eccedenza.
Ritenne, infatti, che l’insieme delle norme di cui agli artt. 1464, 1467, 1575 e 1584 cod. civ. e all’ art. 3, comma 6bis del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13 (ai sensi del quale « Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti »), giustificasse il convincimento che l’obiettiva parziale e temporanea inutilizzabilità del bene, dipendente, come nella specie, dal c.d. factum principis e, dunque, non imputabile ad inadempimento di alcuna delle due parti contrattuali, consenta la riduzione del canone di locazione, atteso che non si verte in ipotesi di mero rischio imprenditoriale del conduttore (che concerne la redditi vità dell’impresa esercitata nei locali condotti in locazione), ma di circostanza che incide negativamente proprio sull’utilizzabilità materiale dell’immobile locato, trasformandolo sostanzialmente, nei periodi di divieto dell’attività di vendita, da negozio a magazzino (dato che il conduttore mantiene il godimento del bene, utilizzabile tuttavia solamente per la custodia della merce).
Tenuto conto della differenza tra i canoni di locazione per i magazzini e i negozi (e in assenza di elementi per ritenere che si tratti di immobile in ottimo anziché normale stato di conservazione), ritenne equa una riduzione del canone di locazione nella misura del 50% limitatamente ai giorni di divieto dell’attività di vendita .
In accoglimento del gravame interposto dalla Kish e in totale
riforma di tale decisione la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 106/2024, resa pubblica il 22 gennaio 2024, ha invece rigettato l’opposizione ai decreti ingiuntivi.
Questi, in sintesi, i passaggi salienti della motivazione:
-in materia di locazione è da escludere che la grave situazione epidemiologica ed i provvedimenti limitativi della libertà di iniziativa economica emanati per effetto della diffusione del virus “Covid-19” possano configurare un caso di impossibilità sopravvenuta, sia con riferimento all’obbligazione di pagamento del canone della parte conduttrice (attesa, innanzitutto, la natura fungibile del bene denaro), sia con riguardo all’impossibilità per la stessa conduttrice di utilizzare, in tutto o in parte (come è incontestato, peraltro, che nella presente fattispecie sia avvenuto), la prestazione della locatrice;
-l’art. 3, comma 6bis , del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, richiamato dalla sentenza di primo grado, attiene al massimo all’applicazione di interessi e sanzioni per escludere la responsabilità del debitore in caso di ritardato pagamento, ma non è idoneo ad escludere o rideterminare l’oggetto dell’obbligazione principale del contratto di locazione, né ad imporre un obbligo di rinegoziazione dello stesso;
-nemmeno può parlarsi di impossibilità oggettiva sopravvenuta per mancanza di possibilità di godimento dell’immobile ; il locatore difatti è tenuto a garantire solamente che l’immobile sia strutturalmente idoneo all’uso pattuito ma non che tale uso sarà sempre possibile e proficuo per il conduttore;
-gli obblighi posti a carico del locatore dagli artt. 1575, 1576 e 1578 attengono alla dimensione materiale dell’immobile e, in particolare, alla sua struttura intrinseca, non alla sua dimensione produttiva;
-il giudice di primo grado ha già condivisibilmente escluso l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 6novies del d.l. n. 41 del 2021
(introdotto in sede di conversione dalla legge n. 69 del 2021) e dell’art. 4 -bis del d.l. n. 73 del 2021 (convertito con modificazioni dalla legge n. 106 del 2021), che contengono disposizioni volte a consentire un percorso condiviso per la ricontrattazione delle locazioni commerciali, nei casi in cui il conduttore abbia subito una « significativa diminuzione del volume d’affari, del fatturato o dei corrispettivi, derivante dalle restrizioni sanitarie, nonché dalla crisi economica di taluni comparti e dalla riduzione dei flussi turistici legati alla crisi pandemica in atto », avendo Essemoda solo genericamente dedotto ‘gravi perdite economiche’, senza tuttavia fornire alcun elemento al riguardo, senza precisare, ad esempio, di quanto si sia ridotto il volume d’affari ed il fatturato nel periodo in esame, quali siano i limiti dei ristori governativi accessibili, in sostanza a quanto siano effettivamente ammontate tali perdite;
-né potrebbe richiamarsi la disciplina della riduzione ad equità del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, non avendo la parte opponente fornito alcuno specifico elemento dal quale desumere tale sopravvenuta onerosità, per permettere al giudice di qualificarla come eccessiva.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione articolando due motivi, cui resiste l’intimata, depositando controricorso.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1375, 1464, 1467, 1575, 1584 c.c., art.
216, comma 3, d.l. n. 34 del 2020, convertito con legge n. 77 del 2020, art. 12 preleggi nonché art. 3 della Costituzione … , per avere la Corte d’a ppello errato nella interpretazione delle predette norme di diritto, applicabili per analogia o per estensione al caso di specie ».
Sostiene che:
-contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, la chiusura forzata della suddetta attività commerciale, limitatamente al periodo di attuazione delle misure restrittive, ha fortemente inciso sul rapporto contrattuale non avendo consentito il pieno godimento dell’immobile locato e l’uso dello stesso per le finalità indicate nel contratto che il locatore è tenuto a garantire ai sensi dell’art. 1575, n. 2, cod. civ.;
-si versa in ipotesi di impossibilità parziale della prestazione negoziale, dato che la conduttrice ha conservato il (parziale) godimento dell’immobile, tanto è vero che ha continuato ad averne la disponibilità ed a custodirvi merci e arredi, ma il sinallagma contrattuale ne è risultato alterato, poiché la controprestazione, costituita dal corrispettivo negoziale convenuto, era stata concordata per l’intera prestazione della locatrice, comprensiva della specifica destinazione dell’immobile all’uso pattuito ;
-l’ art. 1584 c.c., prevedendo che le condizioni del contratto di locazione possano essere modificate laddove il godimento del bene locato risulti limitato in conseguenza della necessità di apportarvi le riparazioni del caso, riconosce e tutela l’esigenza del conduttore di modificare l’assetto negoziale al sopravvenire di circostanze che vadano a incidere sul sinallagma contrattuale;
-tale norma costituisce specifica applicazione di un principio generale che presiede la disciplina delle locazioni, quello della « sinallagmaticità fra godimento e corrispettivo, per cui ove quel godimento non è attuabile secondo le previsioni contrattuali il conduttore è abilitato a pretendere una riduzione del relativo
corrispettivo e financo legittimato alla risoluzione del rapporto, quando quella diminuzione è tale da comportare il venir meno dello stesso interesse del conduttore alla persistenza della locazione » (Cass. n. 3590 del 1992);
-non vale obiettare che (in base all’art. 216, comma 3, d.l. n. 34 del 2020, convertito dalla legge n. 77 del 2020) avrebbero diritto di chiedere la riduzione del canone locatizio (limitatamente ai periodi di attuazione delle misure restrittive disposte dal Governo) soltanto i conduttori di « palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati », atteso che la ratio legis sottesa a tale disposizione, esplicitata nella relazione illustrativa, impone (anche alla luce dei principi costituzionali) l’applicazione quanto meno analogica della disposizione in esame a tutte le locazioni di immobili ad uso diverso per le quali è stato identicamente precluso lo svolgimento dell’attività commerciale dalle misure restrittive.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere la Corte di appello posto a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.
La censura investe la sentenza impugnata nella parte in cui, nel giustificare la confermata esclusione dell’applicabilità alla fattispecie degli artt. 6novies del d.l. n. 41 del 2021 e 4bis del d.l. n. 73 del 2021, afferma che essa odierna ricorrente avesse solo genericamente dedotto gravi perdite economiche, senza tuttavia fornire alcun elemento al riguardo (v. supra , «Fatti di causa», par. 3, quinto alinea).
Rileva che la contrazione dei ricavi, in conseguenza delle drastiche misure di contenimento adottate dal Governo, giunta fino al loro azzeramento negli intermittenti periodi di chiusura totale del negozio, era stata dimostrata in primo grado attraverso la tempestiva
produzione dei documenti n. 5 (fascicolo I° grado causa 1077/21 RG Trib. Pescara), n.6 (fascicolo I° grado causa riunita 1329/21 RG Trib. Pescara) e n. 66ter (fascicolo I° grado causa riunita 2496/21 RG Trib. Pescara), mai specificatamente contestati dalla Kish, ed era stata comunque espressamente dedotta alla pag. 4 di ognuno dei tre ricorsi in opposizione a d.i..
Deduce quindi che « gli elementi sono stati forniti e, come detto, mai specificatamente contestati da controparte, ed il non averli tenuti in considerazione, e/o comunque non aver considerato la contrazione dei ricavi, dedotta dall’odierna ricorrente e non contestata da controparte, costituisce un’evidente violazione dell’art. 115 c.p.c. ».
3. Il primo motivo è infondato.
Con recentissima pronuncia (Cass. Sez. 3 Sentenza n. 16113 del 16/06/2025), e con riferimento ad un caso analogo, questa Corte ha affermato il principio secondo cui « in tema di contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita, l’art. 91, comma 1, del d.l. 17 marzo 2020, n.18 (c.d. decreto ‘Cura Italia’), assume rilievo ai fini del giudizio di imputabilità dell’inadempimento nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, attribuendo all’impedimento derivante dal rispetto delle misure anti-Covid la natura di impedimento non prevedibile né superabile con la diligenza richiesta al debitore e quindi di causa non imputabile della inesecuzione della prestazione da parte sua, liberandolo dall’obbligo di risarcimento del danno ed escludendo la legittimazione della controparte all’azione di risoluzione per inadempimento; dalla norma in questione, invece, non può farsi derivare l’esistenza di un diritto potestativo giudiziale di ottenere la riduzione della prestazione dovuta in esecuzione di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata o periodica per effetto dell’incidenza su tale rapporto delle suddette misure restrittive anti-pandemiche, atteso che, stante il principio di tipicità dei rimedi giudiziali potestativi diretti a suscitare sentenze di
carattere costitutivo (art. 2908 cod. civ.), un potere conservativo di riduzione ad equità della prestazione va riconosciuto alla parte eccessivamente onerata soltanto nell’ipotesi di contratto a titolo gratuito (art. 1468 cod. civ.), mentre, al di fuori di tale ipotesi, essa parte resta legittimata all’azione di risoluzione per eccesiva onerosità sopravvenuta, spettando in tal caso alla controparte che intenda evitare lo scioglimento del rapporto contrattuale un diritto potestativo di rettifica (da esercitarsi mediante negozio giuridico unilaterale e recettizio), analogo a quello previsto in tema di contratto annullabile per errore (art.1432 cod. civ.) e di contratto rescindibile ».
A tale principio, pienamente condiviso, va qui data continuità, non offrendo il motivo in esame argomenti idonei a condurre ad un diverso orientamento.
Certamente inconferenti sono in particolare i riferimenti agli artt. 1575, n. 2 (che prevede l’obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in istato da servire all’uso convenuto) e 1584, primo comma, cod. civ. (che prevede, in caso di riparazione della cosa locata, il diritto del conduttore a una riduzione del corrispettivo, proporzionata all’intera durata delle riparazioni stesse e all’entità del mancato godimento).
T ali disposizioni hanno riguardo all’immobile nella sua consistenza materiale, nella quale si identifica l’oggetto del contratto ed al quale unicamente vanno parametrati gli obblighi posti a carico del locatore.
Il locatore, difatti, come correttamente rilevato dal giudice a quo , è tenuto a garantire solamente che l’immobile sia strutturalmente idoneo all’uso pattuito ma non che tale uso s ia sempre possibile e proficuo per il conduttore.
Né può giovare il riferimento all’art. 216, comma 3, d.l. n. 34 del 2020, convertito dalla legge n. 77 del 2020 (a mente del quale « la sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei citati decreti legge
23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito ».
La portata eccezionale della disposizione di favore, e peraltro limitata alle sole « cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020 », non consente alcuna applicazione analogica, né tanto meno estensiva, all’ipotesi qui considerata, nemmeno in chiave di interpretazione costituzionalmente orientata.
La norma è infatti espressamente correlata, nel suo fondamento giustificativo, alla « sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri » ed al « regime di ripresa graduale delle attività medesime disposta con i successivi decreti attuativi nazionali e regionali » previsti dal secondo comma; essa fa dunque riferimento ad un fattore esterno al rapporto che si aggiunge al mero dato comune rappresentato dalle più generali misure di contenimento dal contagio.
Tale fondamento ne perimetra l’ambito applicativo, posto che altrimenti non avrebbe alcun senso la sua specifica previsione, e rende anche manifestamente infondato il palesato sospetto di incostituzionalità, atteso che la diversità delle fattispecie in comparazione è tale da rendere non irragionevole il diverso trattamento.
Si tratterebbe comunque di questione irrilevante nel presente
giudizio, atteso che la riduzione del canone è nel caso in esame pretesa con riferimento a periodi diversi da quelli cui è espressamente riferita la norma evocata.
4 . Il secondo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c., stante la palese genericità del riferimento ai documenti richiamati, dei quali, in violazione dell’onere imposto dalla citata norma processuale, la ricorrente omette di riferire il contenuto ed anche se e in quale sede ne ha, nel giudizio di appello, richiesto l’esame e rappresentato la rilevanza ai fini del proposto gravame.
Mette conto peraltro soggiungere che infondatamente è evocato il principio di non contestazione con riferimento al contenuto di documenti, atteso che secondo pacifico insegnamento, detto principio opera in relazione a fatti e non già ai documenti prodotti (Cass. n. 12748 del 2016; n. 22055 del 2017; n. 3306 del 2020; 8813 del 2020; n. 2439 del 2022).
Né può giovare alla indicata prospettiva censoria l’affermazione, altrettanto generica, che la contrazione dei ricavi era stata «espressamente dedotta alla pag. 4 di ognuno dei tre ricorsi in opposizione a d.i. » atteso che, per altrettanto fermo indirizzo, l’onere di contestazione -la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova -sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. n. 14652 del 2016; n. 3576 del 2013).
La ricorrente, dunque, fermo il superiore rilievo assorbente, avrebbe dovuto suffragare la denuncia di violazione del principio di non contestazione con la conoscenza in capo alla controparte della circostanza che si assume incontroversa: in mancanza di tale specifica deduzione non è configurabile un onere di contestazione a carico della controparte in ordine alla circostanza in discorso (Cass. n. 18074 del 2020; n. 4681 del 2023, cit.).
La memoria che, come detto, è stata depositata dalla
ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis.1 , primo comma, cod. proc. civ., reitera le tesi censorie già esposte in ricorso e non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motiv i.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.100 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza