Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19901 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19901 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21027-2021 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, in persona del Ministro pro tempore , UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE DI CAMPOBASSO, in persona del legale rappresentante pro tempore , ISTITUTO SCOLASTICO PROVINCIALE DI ISERNIA, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– resistenti con mandato –
Oggetto
Risarcimento pubblico impiego
R.G.N. 21027/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 04/06/2025
CC
avverso la sentenza n. 192/2020 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 11/02/2021 R.G.N. 91/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
la C orte d’appello di Campobasso ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME -docente di scuola secondaria di II grado avverso la sentenza del Tribunale di Isernia che aveva rigettato le sue domande volte a ottenere la conversione in rapporto a tempo indeterminato (con decorrenza dal primo contratto a termine del 21.09.1999), il risarcimento del danno per l’abusiva reiterazione del contratto a termine e la ricostruzione della carriera;
la Corte molisana ha premesso che la docente aveva prestato attività lavorativa sulla base di contratti a termine a partire dall’anno 1999 ed era stata immessa in ruolo il 1° settembre 2015, per poi essere collocata in quiescenza dal 1° settembre 2018; ha richiamato l’indirizzo di legittimità (Cass. n. 22552/2016 e Cass. n. 9861/2018) sulla reiterazione abusiva del contratto a termine e sul principio di non discriminazione e, quanto al primo capo di domanda (declaratoria illegittimità del termine con conseguente danno), ha rilevato che nessuna supplenza era stata conferita sino al 31 agosto (ossia su organico di diritto), ma solo fino al 30 giugno (su organico di fatto); ha aggiunto che la appellante non aveva allegato un uso improprio o distorto della prescelta tipologia contrattuale;
quanto alla residuale domanda sulla ricostruzione della carriera, ha valorizzato (richiamando Cass. n. 31149/2019) il difetto di
allegazione, sottolineando che la ricorrente non aveva neppure dedotto in che termini la ricostruzione di carriera fosse stata effettuata dall’amministrazione e se l’applicazione dell’art. 485 d.lgs. n. 297/1994 fosse in concreto ridondata in pregiudizio per il calcolo dell’anzianità;
il ricorso della docente domanda la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi, non resistiti dal MIUR che ha depositato solo atto di costituzione.
CONSIDERATO CHE:
con la prima critica si denuncia violazione e falsa applicazione della clausola n. 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, come recepito dalla direttiva 1999/70/CE, dell’art. 489 del d.lgs. n. 297/1994 e dell’art. 11 comma 14 della legge n. 124/1999 ; il motivo richiama Cass. n. 31149/2019 e sostiene che la ricorrente, ai fini della ricostruzione ella carriera, aveva dato ampia prova della discriminazione attraverso la produzione documentale richiamata nel motivo d’appello ;
1.1 il motivo è inammissibile perché la ratio decidendi della pronuncia sta nel difetto di allegazione e prova e la C orte d’appello non mette affatto in discussione i principi di diritto affermati nella pronuncia di legittimità richiamata e racchiusi nella massima di seguito riportata:
«in tema di riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione scolastica, l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994 deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall’art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall’art. 11, comma 14, della l. n. 124 del 1999, risulti essere
inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto “ab origine” a tempo indeterminato»;
piuttosto, nella stessa pronuncia di legittimità testé trascritta si evidenzia che «il giudice del merito, per accertare la sussistenza di tale discriminazione, dovrà comparare il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato, senza valorizzare, pertanto, le interruzioni fra un rapporto e l’altro, né applicare la regola dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489, e, in caso di disapplicazione, computare l’anzianità da riconoscere a ogni effetto al docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, sulla base dei medesimi criteri che valgono per l’assunto a tempo indeterminato»;
la sentenza impugnata laddove parla di deficit allegatorio e probatorio fa leva, appunto, su questo secondo passaggio di Cass. n. 31149/2019, che la ricorrente oblitera del tutto formulando una contestazione che, nel richiamare gli elementi offerti dal compendio documentale, si rivolge contro la ricostruzione di fatto compiuta dalla Corte distrettuale;
in tal senso deve intendersi l’affermazione secondo cui la ricorrente «in verità ha dato ampia dimostrazione di tali circostanze allegando in particolare n. 64 contratti di conferimento di supplenze dal 1999 al 2015, anno quest’ultimo di collocamento in ruolo»;
è, infatti, utile rammentare al riguardo che il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata
ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, ma nei limiti fissati dalla disciplina applicabile ratione temporis; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. tra le tante, Cass. 12.9.2016 n. 17921; Cass. 11.1.2016 n. 195; Cass. 30.12.2015 n. 26110);
con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’ Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato sopra menzionato e dell’art. 6 del d.lgs. n. 368/2001 ; secondo la ricorrente, in forza della disciplina comunitaria e interna, ai lavoratori a termine spetta «il diritto a percepire le differenze conseguenti alla progressione professionale retributiva al pari dei lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato»;
2.1 il motivo insiste sulla asserita violazione del principio di non discriminazione nelle condizioni di impiego ed è inammissibile perché (nuovamente) non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia impugnata essenzialmente incentrata sulla carenza di allegazione e prova;
con il terzo mezzo si denuncia la nullità del procedimento (art. 360 n. 4 c.p.c.) in relazione al principio generale di non contestazione ex art. 115 c.p.c. che, ad avviso della ricorrente, sarebbe stato violato in quanto il MIUR non aveva preso specifica posizione sulle allegazioni dell’atto introduttivo in ordine all’esistenza di una effettiva discriminazione (da ritenersi peraltro in re ipsa ) patita dalla docente;
con la quarta critica si ripropone la medesima censura di violazione dell’art. 115 c.p.c. (questa volta) sotto il profilo della violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.);
il terzo e il quarto mezzo, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione sul piano logico-giuridico, sono inammissibili in primis perché carenti dei necessari requisiti di specificità;
questa Corte ha già affermato che «il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto» (Cass. 22.5.2017 n. 12840);
la terza censura non rispetta, nella specie, gli oneri di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ. perché non riproduce, almeno nelle parti rilevanti, gli atti processuali in relazione ai quali manca, altresì, ogni indicazione in merito all’allocazione nei fascicoli di parte o d’ufficio;
la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo , rispetto al quale la Corte è giudice del «fatto processuale», l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012); la parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di riportare nel ricorso
le parti rilevanti degli atti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perché la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 21226/2010);
5.1 inoltre, deve considerarsi che l’applicazione in concreto del principio di non contestazione è (come noto) rimessa al giudice del merito; questa Corte ha già affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che spetta solo al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019);
anche la (quarta) censura laddove reitera la stessa doglianza di violazione dell’art. 115 c.p.c. sotto il profilo però della violazione di legge non si sottrae ad analogo rilievo di inammissibilità;
il ricorso è (conclusivamente) inammissibile; nulla per le spese di legittimità poiché il MIUR ha solo depositato l’atto di costituzione e non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte: dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 4/6/2025.