Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11828 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11828 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4810/2022 R.G., proposto da
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI (CNPADC), in persona del presidente p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 444/2021 della Tribunale di Torino pubblicata il 1° febbraio 2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 30.1.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Impugnazioni civili -Appello -Art. 348-ter cod. proc. civ. -Termine breve ex art. 325 cod. proc. civ. -Decorrenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata il 1° febbraio 2021 il Tribunale di Torino, provvedendo in sede di rinvio a seguito della dichiarazione di nullità della sentenza resa il 6.11.2018 dal medesimo ufficio da parte della Corte d’appello di Torino (sentenza n. 1782/2019), condannò la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a Favore dei Dottori Commercialisti (d’ora in avanti indicata come CNPADC) al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE s.c.p.a.) di euro 115.484,63 e euro 58.812,32 in relazione a due contratti di locazione relativi, rispettivamente, all’immobile sito in Torino, INDIRIZZO (co ntratto 969 dell’1.1.1999) e all’immobile sito in Torino, INDIRIZZO (contratto 1187 dell’1.10.2001).
La Corte d’Appello di Torino con ordinanza n. 271/2021 del 16.7.2021, ai sensi dell’art. 436 -bis cod. proc. civ., dichiarò inammissibile l’appello proposto da CNPADC.
Osservò la Corte d’appello che l’impugnazione non aveva una ragionevole probabilità di essere accolta in quanto:
-andava ribadita l’assenza di prova della rinnovazione del contratto di locazione relativo all’immobile di Torino, INDIRIZZO poiché la missiva del 29/09/2011 non costituiva affatto accettazione della proposta di cui alla precedente lettera del 16/06/2011, dal momento che non era stato raggiunto l’accordo, tra l’altro, sulla fideiussione richiesta a garanzia dalla proponente (addirittura tacciata, con velata ironia, di essere « un semplice refuso di stampa »), né sul credito residuo a carico di RAGIONE_SOCIALE per gli interventi urgenti di manutenzione, tant’è che ancora al 22/02/2013 la stessa CNPADC dava atto che era « tuttora da definire la questione della chiusura della trattativa finalizzata al rinnovo del contratto di locazione »;
-il primo giudice, inoltre, aveva escluso l’effettività della stipulazione del preteso nuovo contratto anche alla luce dei docc. nn. 13 e 14, che l’appellante neppure aveva preso in considerazione;
– andava esclusa ancora qualunque significatività concludente al pagamento, da parte dell’appellata, dell’importo di euro 57.574,62 a titolo differenziale tra l’indennità di occupazione e il canone di locazione indicato nelle predette missive, sia perché ciò era avvenuto, come riconosciuto dalla stessa CNPADC nell’ulteriore comunicazione del 29/08/2013 « a titolo di occupazione locali » (causale evidentemente incompatibile con un titolo contrattuale), sia perché l’importo del nuovo canone era stato tenuto pre sente dall’occupante in vista del rinnovo della locazione, poi non formalizzatosi;
– non era s tata offerta adeguata prova documentale dell’avvenuta registrazione del presunto nuovo contratto; da un lato, non era sufficiente la prodotta tabella dell’Agenzia delle Entrate, che (oltre a d essere irrilevante) non precisava a quale contratto si riferisse , e, dall’altro, parte appellante non aveva argomentato sul rilievo di controparte per cui l’atto di registrazione riscontrato dal c.t.u. si riferiva al contratto riguardante l’unità immobiliare del civico INDIRIZZO di INDIRIZZO Sovietica, non quella del civico n. INDIRIZZO oggetto del presunto rinnovo contrattuale; – erano altresì inconferenti e scarsamente significative le affermazioni censorie riguardanti la c.t.u.; anche se il primo Giudice aveva commesso un’innocua e riconoscibilissima svista indicando il valore di quanto versato dall’RAGIONE_SOCIALE in euro 359.478,95 (in luogo del valore, corretto, di euro 299.647,23 come riportato a pag. 7 della c.t.u. e non altrimenti contestato), ciò che contava era l’importo differenziale di euro 37.576,92 indicato nella sentenza impugnata, pari, ossia, alla differenza tra euro 299.647,23 ed euro 262.070,31 (c.t.u., pag. 11) -dato questo riconosciuto come pacifico anche dall’appellante stessa;
– quanto poi alla somma di euro 58.812,32 messa a carico della CNPADC, non era vero che il primo Giudice si fosse illogicamente basato sulla sola dichiarazione ammissiva resa da quest’ultima, trascurando l’analoga dichiarazione d i RAGIONE_SOCIALE relativa alla contrapposta somma di euro 191.220,06: in verità, la sentenza gravata aveva precisamente motivato sul punto (senza alcuna specifica osservazione critica di parte appellante) affermando che il primo importo doveva essere riconosciuto non in forza del contegno ammissivo della locatrice,
bensì « perché supportato da inizio di prova scritta, mandato di bonifico, non contestato » (pag. 6);
infine, si osservava che la parte appellata non aveva proposto alcuna domanda nuova, ma aveva semplicemente reiterato l’originaria domanda riconvenzionale (relativa al pagamento di € 115.484,63) accolta dal primo Giudice, avverso la quale non era stato proposto appello.
Per la cassazione della sentenza del Tribunale di Torino ai sensi dell’art. 348ter cod. proc. civ., ricorre CNPADC, sulla base di due motivi. Risponde con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile in quanto tardivamente proposto oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla comunicazione dell’ordinanza emessa dalla Corte d’appello ex art. 348-ter cod. proc. civ.
Come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte ‘ Il ricorso per cassazione proponibile, ex art. 348ter , comma 3, c.p.c., avverso la sentenza di primo grado, entro sessanta giorni dalla comunicazione, o notificazione se anteriore, dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello, resa ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., è soggetto, ai fini del requisito di procedibilità di cui all’art. 369, comma 2, c.p.c., ad un duplice onere di deposito, avente ad oggetto la copia autentica sia della sentenza suddetta sia, per la verifica della tempestività del ricorso, della citata ordinanza, con la relativa comunicazione o notificazione; in difetto, il ricorso è improcedibile, salvo che, ove il ricorrente abbia assolto l’onere di richiedere il fascicolo d’ufficio alla cancelleria del giudice “a quo”, la Corte, nell’esercitare il proprio potere officioso, rilevi che l’impugnazione sia stata proposta nei sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione ovvero, in mancanza dell’una e dell’altra, entro il termine cd. lungo di cui all’art. 327 c.p.c. ‘ ( v. Cass., Sez. Un.,
15 maggio 2018, n. 11850; Cass., sez. 6-III, 14 dicembre 2015, n. 25115; Cass., sez. III, 28 giugno 2018, n. 17020).
La Corte in data odierna ha ricevuto dalla Corte d’appello di Torino prova della comunicazione al procuratore della parte ricorrente dell’ordinanza . Nella specie, dall’attestazione telematica della cancelleria della Corte d’appello di Torino risulta che l’ordinanza d’inammissibilità del gravame ai sensi degli artt. 348bis e 348ter cod. proc. civ. è stata comunicata a mezzo PEC al procuratore della parte odierna ricorrente lo stesso giorno di pubblicazione, il 16.7.2021. Pertanto, considerato che il ricorso è stato notificato in data 15.2.2022 esso è tardivo rispetto al termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza di inammissibilità.
Quand’anche si volesse opinare diversamente, il che non è alla luce del riferito consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, il ricorso -lo si rileva ad abundantiam – sarebbe comunque inammissibile.
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1326 e 1571 cod. proc. civ.
Lamenta la ricorrente che la sentenza del Tribunale di Torino, là dove si è espressa nel senso che ‘i documenti allegati da controparte non possono essere considerati rispettivamente proposta ed accettazione del nuovo contratto di locazione’ , contrasta con gli artt. 1326 e 1571 cod. civ., in base ai quali, rispettivamente, il contratto è concluso nel momento in cui il proponente ha notizia dell’accettazione dell’altra parte e che il contratto di locazione ha natura consensuale. Il Tribunale è incorso in un ‘vero e proprio errore logico’ quando si è limitato a sancire che ‘non vi è idonea prova della accettazione della proposta’ .
3.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si
assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito a questa Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313). In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle. Compito, quest’ultimo, al quale la ricorrente non ha ottemperato non formulando in modo debito una censura della motivazione in relazione allo sviluppo argomentativo legato alla pretesa violazione degli artt. 1326 e 1571 cod. civ., limitandosi a dedurre l’esistenza di un grave errore logico nella decisione del primo giudice e, quindi, senza spiegare la ragione in base alla quale quest’ultimo sarebbe incorso nella dedotta violazione di legge.
3.2. Né è possibile prospettare il motivo in termini di vizio di motivazione omessa o solo apparente, poiché al di là della mancata evocazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., alla stregua degli insegnamenti di Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013 non è possibile apprezzarlo nei termini indicati, poiché manca del tutto una deduzione compatibile con l’attuale paradigma che consente il controllo della motivazione in sede di legittimità secondo quanto stabilito Sezioni Unite nelle sentenze 7 aprile 2014, nn. 8054 e 8053.
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., per aver il Tribunale omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La ricorrente deduce l’omessa considerazione da parte del Tribunale di Torino del principio secondo il quale l’omessa registrazione del contratto di locazione è fonte di una nullità sanabile ex tunc mediante la registrazione tardiva del contratto. Il Tribunale di Torino, inoltre, ha omesso di considerare che la registrazione del contratto sarebbe avvenuta automaticamente in uno con la
registrazione della sentenza che avesse accertato l’esistenza dell’accordo contrattuale.
4.1. Il motivo è inammissibile poiché manca del tutto la deduzione del «fatto» di cui sarebbe stata omessa la valutazione.
Il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. nella sua attuale formulazione presuppone la sussistenza di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non considerato dal giudice del gravame. La ricorrente non indica un fatto, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (e in tal senso va inteso, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, v., tra le molte, Cass., sez. VI-1, ord., 26 gennaio 2022, n. 2268, il fatto cui fa riferimento il n. 5 dell’art. 360 come novellato).
La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo ormai unanime, ha chiarito come non rientrino nella nozione di fatto: (a) le argomentazioni o deduzioni difensive; (b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti; (c) una moltitudine di fatti e circostanze o il vario insieme dei materiali di causa (v. Cass. civ., sez. I, ord., 29 febbraio 2024, n. 5375; Cass., sez. V, ord., 23 febbraio 2024, n. 4942; Cass., sez. III, ord., 15 febbraio 2024, n. 4163; Cass., sez. lav., ord., 22 gennaio 2024, n. 2226; Cass., sez. III, ord., 14 dicembre 2023, n. 35106).
In questa traiettoria, pertanto, non avendo la ricorrente indicato il fatto decisivo pretermesso, tale intendendosi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24 gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.), nei sensi sopra precisati il motivo è inammissibile, perché tende ad un riesame del merito mediante il richiamo ai principi invocati: a) l’omessa registrazione del contratto di locazione è fonte di
una nullità sanabile ex tunc mediante la registrazione tardiva del contratto; b) la registrazione del contratto sarebbe avvenuta automaticamente in uno con la registrazione della sentenza, che avesse accertato l’esistenza dell’accordo contrattuale.
Quand’anche i fatti omessi dovessero intendersi la registrazione tardiva del contratto e la registrazione della sentenza, la ricorrente non ha provveduto, in violazione del principio di specificità, a ll’indicazione de gli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il motivo e al l’illustrazione del contenuto rilevante, provvedendo alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16 marzo 2012, n. 4220).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
La ricorrente soccombente va anche condannata al pagamento, in favore della controricorrente vittoriosa, di una somma che si stima equo determinare in misura pari alla metà dei compensi calcolati sulle spese processuali (oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza al saldo), ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ.
La proposizione di un mezzo di gravame del tutto inammissibile per le plurime ragioni sopra esposte e con doglianze dirette a censurare l’apprezzamento di fatto operato dal giudice di merito e all’esito di una duplice totale soccombenza (la seconda, peraltro, ai sensi dell’art . 348bis cod. proc. civ.), in assenza di alcuna argomentazione idonea ad evidenziare vizi di legittimità della sentenza impugnata, costituisce indice di mala fede o colpa grave e si traduce in una condotta processuale contraria ai canoni di correttezza, nonché idonea a determinare un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali, ponendosi in contrasto con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art.6 CEDU) e, dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della
ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi/sanzionatori (v. Corte cost. 23 giugno 2016, n. 152, dove si sottolinea anche la «la finalizzazione alla tutela di un interesse che trascende – o non è, comunque, esclusivamente – quello della parte stessa, e si colora di connotati innegabilmente pubblicistici»; Corte Cost., 6 giugno 2019, n. 139; Cass., Sez. Un., 5 luglio 2017, n. 16601) rispetto ad azioni meramente dilatorie, defatigatorie o pretestuose . Tale condotta, integrando gli estremi dell’ «abuso del processo», si presta, dunque, nella fattispecie, ad essere sanzionata con la condanna della parte ricorrente soccombente al pagamento, in favore della controparte resistente vittoriosa, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. ( v. Cass. 4 agosto 2021, n. 22208; 21 settembre 2022, n. 27568; 5 dicembre 2022, n. 35593).
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge;
condanna la ricorrente al pagamento dell’importo di euro 2.500 in favore della controricorrente ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., oltre gli interessi dalla presente decisione al saldo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte