Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3184 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3184 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20794/2021 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso DECRETO di TRIBUNALE BRESCIA n. 121/2021 depositato il 08/07/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con reclamo ex art. 36, comma 1, legge fall. del 25/02/2021 l’avv. NOME COGNOME ha impugnato il contengo omissivo del curatore del RAGIONE_SOCIALE per il mancato pagamento del compenso liquidato in suo favore dal giudice delegato con decreto del 15/06/2020, in relazione all’attività difensiva prestata in tre giudizi (azione di responsabilità contro l’amministratore, azione revocatoria ed esecuzione immobiliare), dopo la sua rinuncia al mandato nel 2018.
1.1. -Il giudice delegato ha respinto il reclamo ritenendo non ravvisabile una condotta omissiva del curatore fallimentare, poiché questi aveva inutilmente invitato il legale a riformulare la propria nota detraendo le somme che, sebbene non antistatario, aveva incassato direttamente dai convenuti, a titolo di spese processuali cui erano stati condannati, somme «evidentemente da detrarsi dagli importi spettanti al legale», che però si era rifiutato di farlo.
1.2. -L’avv. NOME COGNOME ha quindi proposto reclamo ex art. 36, comma 2, legge fall. lamentando l’illegittimità del rifiuto del pagamento, ma il tribunale, con il decreto indicato in epigrafe, l’ha rigettato, osservando che: i) sino a gennaio 2021 il mancato pagamento del compenso era dipeso dall’assenza di disponibilità liquide; ii) successivamente non vi è stato un ingiustificato rifiuto del pagamento del compenso, ma è risultata controversa la sua attuale entità, per avere il legale nel frattempo incamerato il pagamento delle spese processuali direttamente dai convenuti.
-Avverso detta decisione l’avv. NOME COGNOME propone ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. in quattro mezzi, cui il Fallimento intimato resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 36, comma 2, legge fall. per essersi il tribunale pronunciato sul quantum del credito, piuttosto che limitarsi ad accertare la lamentata omissione del suo pagamento.
2.2. -Il secondo mezzo denuncia la violazione o falsa applicazione «delle norme sull’adempimento delle obbligazioni
pecuniarie» per avere il tribunale ritenuto legittimo il mancato pagamento di un’obbligazione pecuniaria contestata in parte, invece di sancire l’obbligo di pagamento della parte non contestata.
2.3. -Con il terzo motivo si deduce la nullità del decreto per assenza della motivazione, o meglio contraddittorietà tra il dispositivo (rigetto del reclamo per assenza di omissione) e la parte motiva, laddove si afferma che , «una volta risolta la lite circa l’entità del credito, il curatore dovrà provvedere al pagamento in conformità a quanto già apprezzato dal giudice delegato».
2.4. -Il quarto mezzo, formulato condizionatamente al rigetto dei precedenti, adduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 132 , comma 2, n. 5 c.p.c., per avere il tribunale violato la vincolatività del provvedimento di liquidazione del compenso del 15/06/2020, che non conteneva alcun riferimento all’alternativa, prospettata dal curatore, tra la deduzione, da quel compenso, delle somme incamerate direttamente dal legale a titolo di spese processuali o la previa restituzione di quelle somme alla curatela fallimentare.
-Il ricorso straordinario è inammissibile.
3.1. -Più volte questa Corte ha ammonito che il ricorso ex art. 111, comma 7, Cost., sebbene proponibile estensivamente anche contro i provvedimenti diversi dalle «sentenze» -e quindi anche contro ordinanze e decreti -è ammissibile solo quando detti provvedimenti siano caratterizzati dal duplice requisito della decisorietà e della definitività (cd. sentenze in senso sostanziale), tipico dei provvedimenti giurisdizionali destinati a produrre effetti di diritto sostanziale con efficacia di giudicato e ad incidere in modo definitivo sui diritti soggettivi delle parti, sia pure secondo una declinazio ne di ‘giurisdizione contenziosa’ non circoscritta al processo ordinario o speciale di cognizione, ma estesa ad ogni «controversia, anche potenziale, fra parti contrapposte, chiamate a confrontarsi in contraddittorio nel processo» (Cass. Sez. U., 26989/2016, 27037/2016).
Segnatamente, il requisito della decisorietà ha natura strutturale -poiché riguarda il contenuto del provvedimento ed esprime la sua
idoneità al “giudicato sostanziale” (art. 2909 c.c.), attraverso la correlazione di una posizione di diritto soggettivo ad una “potestas iudicandi” scevra da qualsivoglia connotazione di discrezionalità (Cass. 28013/2022), e va quindi inteso come idoneità ad incidere con efficacia di giudicato (anche nella forma del giudicato allo stato degli atti, o rebus sic stantibus ) su diritti soggettivi.
Il requisito della definitività ha invece natura funzionale, poiché riguarda la disciplina del provvedimento, di cui esprime l’attitudine al “giudicato formale”, non solo nella tradizionale accezione della insuscettibilità di distinta impugnazione -o di assorbimento in ulteriore provvedimento a sua volta impugnabile -, ma anche nel senso della irrevocabilità e immodificabilità del provvedimento da parte del giudice che l’ha emanato, o riproponibilità della domanda ad opera della parte interessata, di modo che l’accertamento giudiziale e l’attribuzione dei beni della vita non possono più essere rimessi in discussione (Cass. Sez. U., 17636/2003, 1914/2016, 24068/2019, 36671/2022, 22048/2023; cfr. Cass. 17836/2019, 11524/2020, 26567/2020, 22797/2022, 10350/2023, 22707/2023, 18826/2024).
E ‘ stato altresì chiarito che persino la decisorietà può risultare irrilevante, qualora si tratti di provvedimenti temporanei incidenti su diritti soggettivi (in tal senso decisori) ma non definitivi, in quanto privi di attitudine al giudicato seppur “rebus sic stantibus”, essendo destinati ad essere assorbiti in altra decisione conclusiva del giudizio e, comunque, revocabili e modificabili in ogni tempo per una nuova e diversa valutazione delle circostanze di fatto preesistenti o per il sopravvenire di nuove circostanze (Cass. sez. U, 22423/2023 in tema di provvedimenti “de potestate” adottati dal tribunale ordinario, quando competente ai sensi dell’art. 38 disp. att. c.c., nel corso dei giudizi aventi ad oggetto la separazione e lo scioglimento, o cessazione degli effettivi civili, del matrimonio, nel sistema normativo antecedente alla riforma di cui al d.lgs. n. 149 del 2022).
3.2. -Nel caso in esame è evidente che nel provvedimento impugnato non ricorrono i superiori requisiti.
A venire in rilievo è infatti solo la contestazione di un atto gestorio del curatore fallimentare, sotto il profilo della legittimità della sua
provvisoria ‘ omissione ‘ -mancato pagamento del compenso liquidato dal giudice delegato in assenza di scomputo delle somme successivamente incamerate dal legale, non antistatario, per il pagamento delle spese processuali da parte dei soccombenti -che dunque non è destinata ad incidere in modo definitivo sul diritto soggettivo al compenso per le prestazioni rese dal ricorrente in favore della curatela fallimentare (su cui non v’è discussione) , restando salva la possibilità per l’interessato di riproporre l’istanza di pagamento, una volta che saranno chiarite le divergenze tra le parti circa le modalità idonee a dare l’imprescindibile risalto contabile al suddetto incameramento di somme a titolo di spese processuali non distratte -e pacificamente non riversate alla curatela fallimentare -in epoca successiva alla liquidazione del compenso medesimo, come detto incontestato e definitivo nella sua originaria entità.
3.3. -Anche in questo caso vale dunque l’orientamento di questa Corte per cui il decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo, ai sensi dell’art. 36, comma 2, legge fall., sul provvedimento reso dal giudice delegato in tema di atti di amministrazione del curatore, non ha natura definitiva e decisoria, in quanto non incide con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale, ma rientra tra le misure di controllo sull’esercizio del potere amministrativo e gestorio del curatore -nel caso in esame espresso dalla omissione di un comportamento in tesi dovuto, quale il pagamento del compenso liquidato dal giudice delegato -, con la conseguenza che quel decreto non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. ( ex multis Cass. 4346/2020, 11217/2018, 8870/2012, 5425/1994).
Ovviamente, anche il provvedimento del giudice delegato che risolva una questione relativa ad atto gestorio del curatore è privo dei caratteri di definitività e di decisorietà, in quanto espressione del potere ordinatorio di quel giudice, in virtù del quale questi esercita le funzioni di vigilanza e controllo sulla regolarità della gestione della procedura; e dunque, per come configurato, il sistema concorsuale rende proponibile avverso quel provvedimento il reclamo al tribunale ai sensi dell’art. 36 legge fall., ma non consente anche il ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost., avverso il decreto del tribunale che
decide sul reclamo, appunto perché diretto non a risolvere controversie su diritti, ma a verificare la funzione di controllo sull’esercizio di poteri gestori (Cass. 15167/2021).
3.4. -Ad essere dirimente non è dunque, in sé, l’utilizzo dello strumento di cui all’ art. 36 legge fall., ma la posizione di diritto soggettivo che con esso si intenda far valere in concreto, poiché, mentre rispetto all’accertamento operato in sede di reclamo ex art. 36 legge fall. sono sicuramente ammissibili i rimedi impugnatori dinanzi al tribunale contemplati dalla stessa norma, la proponibilità del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. va scrutinata caso per caso, secondo i criteri sopra esposti, (cfr. Cass. Sez. U., 8557/2023 in tema di accertamento dei diritti in caso di fallimento del terzo datore di ipoteca).
3.5. -Merita infine richiamare i più recenti approdi, sul tema, di questa Sezione, proprio in materia concorsuale.
Si è detto infatti che non è ricorribile per cassazione, avendo natura temporanea e non definitiva, il provvedimento che sia revocabile e modificabile in ogni tempo per una nuova e diversa valutazione delle circostanze di fatto preesistenti o per il sopravvenire di nuove circostanze (Cass. 18826/2024).
Si è altresì chiarito che, se il provvedimento non costituisce espressione del potere-dovere del giudice di decidere controversie tra parti contrapposte, in cui ciascuna tende all’accertamento di un proprio diritto soggettivo nei confronti dell’altra, esso non può avere contenuto sostanziale di sentenza, né carattere decisorio, finanche ove non sia suscettibile di alcuna forma di impugnazione -come in effetti il decreto motivato con cui il tribunale decide il reclamo ex art. 136 legge fall., che il comma 2 dichiara espressamente non soggetto a gravame -, essendosi in questi casi dinanzi a provvedimenti ritenuti sempre, in qualche misura, revocabili (Cass. 30529/2024).
-Il rilevato profilo di inammissibilità del ricorso rende superflua la disamina dei singoli motivi, che risultano comunque tutti inammissibili in quanto incoerenti con l’effettiva ratio decidendi del provvedimento impugnato, che mostrano di non cogliere.
-Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna alle spese del ricorrente, liquidate in dispositivo.
-Si dà atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del t .u. spese giust., della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente , di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19/12/2024.