Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14306 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14306 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13816/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale: EMAIL -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale: EMAIL
-controricorrente-
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO n. 3/2020 depositato in data 8/1/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7/4/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con il decreto indicato in epigrafe la Corte d’appello di Campobasso ha rigettato il reclamo ex art. 22 l. fall. proposto da RAGIONE_SOCIALE contro il decreto del Tribunale di Campobasso che aveva rigettato la sua istanza di fallimento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, per difetto di prova dell’esistenza del credito e quindi della sua legittimazione ex art. 6 l.fall.
1.1. -La Corte territoriale, pur ritenendo sussistente la legittimazione attiva della creditrice istante, ha confermato il rigetto dell’istanza fallimentare per insussistenza dello stato di insolvenza. In particolare, all’esito di una delibazione sommaria delle risultanze istruttorie, ha ritenuto che l’attivo della società fosse superiore al passivo, stante la correttezza dell’appostazione dei crediti per complessivi euro 470.000,00 e l’esclusione dal passivo (perciò ammontante a euro 372.000,00) del debito verso il socio-liquidatore di euro 273.970,00 da finanziamento postergato ex art. 2467 c.c. (trattandosi di credito esigibile solo per effetto dello scioglimento della società, nei limiti dell’eventuale attivo).
-Avverso detta decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione in tre motivi, illustrato da memoria, cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, parimenti illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione degli artt. 91 c.p.c., 2464, 2424, 1363, 1813, 2697 c.c. e OIC 28 par. 36 (per cui « la rinuncia del credito da parte del socio, se dalle evidenze disponibili è desumibile che la natura della transazione e il rafforzamento patrimoniale della società, è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio a prescindere dalla natura originaria del credito. Pertanto in tal caso la rinuncia del socio al suo diritto di credito trasforma il valore contabile del debito della società in una posta di patrimonio netto »), poiché in realtà il socio finanziatore non aveva rinunciato al credito, ma solo a chiederne la restituzione fino all ‘ integrale soddisfazione degli altri creditori della società, e dunque alla sua immediata esigibilità (come da
dichiarazione dell’8.2.2019, doc. 11), sicché la corte d’appello avrebbe illegittimamente depurato il passivo di tale debito.
2.2. -Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c., 1362, 1813, 2697 c.c., per avere i giudici del reclamo male interpretato la suddetta dichiarazione del socio, senza considerare l’ intenzione delle parti, piuttosto che il senso letterale delle parole (compatibile sia con un finanziamento che con un apporto di capitale), e il loro comportamento complessivo, anche posteriore (poiché i bilanci e la situazione aggiornata al 29.1.2019 fatta dallo stesso socio-finanziatoreliquidatore riportavano la voce ‘ debiti verso soci per finanziamento ‘) .
2.3. -Il terzo mezzo deduce la violazione degli artt. 91 e 92, comma 2, c.p.c., per non avere la corte d’appello disposto la compensazione delle spese, nonostante la riforma del capo della decisione di prime cure sulla legittimazione attiva del ricorrente.
-Preliminarmente all’esame dei motivi va nno esaminate le eccezioni del controricorrente di improcedibilità del ricorso per difetto di legittimazione passiva della società ricorrente -in quanto il credito alle spese processuali sarebbe maturato in capo ai difensori antistatari -o comunque di inammissibilità del ricorso per mancata notifica a questi ultimi, che sarebbero litisconsorti necessari ex art. 102 c.p.c.
3.1. -Entrambe le eccezioni sono infondate.
3.2. -Questa Corte ha più volte chiarito ( ex aliis Cass. 25247/2017) che l’istanza di distrazione delle spese processuali sollecita l’esercizio del potere/dovere del giudice di sostituire un soggetto (il difensore) ad altro (la parte) nella legittimazione a ricevere dal soccombente il pagamento delle spese processuali, ma non introduce nel giudizio una nuova domanda, poiché non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale.
Da ciò consegue: i) che non sono applicabili le norme processuali sui rapporti dipendenti; ii) che l’impugnazione della sentenza non dev ‘ essere rivolta anche contro il difensore distrattario, benché il
capo della sentenza reso sull’istanza di distrazione sia destinato a cadere nello stesso modo in cui eventualmente cada quello sulle spese, reso nell’ambito dell’unico rapporto processuale; iii) che il difensore distrattario, benché non evocato personalmente in giudizio, subisce legittimamente gli effetti della sentenza di appello di condanna alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado.
3.3. -Invero, il difensore che abbia chiesto la distrazione delle spese può assumere nel giudizio di impugnazione la qualità di parte, attiva o passiva, solo se la sentenza impugnata non abbia pronunciato sull’istanza di distrazione, o l’abbia respinta, ovvero quando il gravame investa la pronuncia di distrazione delle spese in sé considerata, ma non la contestazione del loro ammontare (Cass. 3290/2022, 27166/2016), giacché l’erroneità della liquidazione non pregiudica i diritti del difensore (che può rivalersi nei confronti del proprio cliente in virtù del rapporto di prestazione d’opera professionale), bensì quelli della parte vittoriosa (che, a sua volta, è tenuta al pagamento della differenza al proprio difensore), la quale è perciò legittimata ad impugnare il capo della sentenza di primo grado relativo alle spese, pur in presenza di un provvedimento di distrazione, in caso di loro insufficiente quantificazione, avendo interesse a che la liquidazione giudiziale sia il più possibile esaustiva delle legittime pretese del professionista (Cass. 6481/2021).
3.4. -In altri termini, al di là dei casi sopra considerati, il difensore antistatario non assume la qualità di parte e non può considerarsi tecnicamente soccombente solo in ragione del rigetto delle pretese del suo assistito (Cass. 6225/2022).
-Passando all’esame dei motivi, essi sono inammissibili.
4.1. -Con i primi due la ricorrente, pur dichiarando di voler impugnare il decreto di rigetto del reclamo ex art. 22 l. fall. limitatamente al capo sulle spese, in realtà contesta nel merito la decisione della corte d’appello (peraltro anche sotto il profilo delle valutazioni di fatto circa la natura del finanziamento del socio, malgrado le stesse non siano sindacabili in sede di legittimità).
4.2. -Ora, se è vero che la pronuncia sulle spese e sulle pretese risarcitorie ex art. 22, comma 2, l. fall. incide pacificamente -a differenza delle ulteriori statuizioni -su un diritto soggettivo, e come tale è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (Cass. 7097/2025, 30296/2021, 25818/2010, 16975/2006, 19643/2005, 22476/2004), è pur vero che l’impugnazione del capo sulle spese deve riguardare direttamente la relativa statuizione, e non -come è nel caso in esame -le ragioni che hanno giustificato la valutazione di soccombenza, poiché, altrimenti, l’impugnazione verrebbe surrettiziamente utilizzata per aggredire il merito della decisione di rigetto del reclamo ex art. 22 l.fall., come però non è notoriamente consentito in sede di legittimità, per difetto dei requisiti di definitività e decisorietà, non essendo il creditore portatore del diritto al fallimento del proprio debitore ( ex multis , Cass., Sez. U, 26181/2006; Cass. 6683/2015, 15806/2021, 29831/2023, 28237/2024, 7097/2025).
Viene enunciato il seguente principio di diritto:
‘In tema di reclamo ex art. 22 l. fall., il ricorso straordinario per cassazione avverso il capo sulle spese, per essere ammissibile ai sensi dell’art. 111 , comma 7, Cost., deve riguardare esclusivamente e direttamente la relativa statuizione, e non le ragioni di merito che la sorreggono, poiché verrebbe altrimenti superato, in modo surrettizio, il difetto dei requisiti di decisorietà e definitività del decreto reiettivo del reclamo contro il decreto che a sua volta ha respinto il ricorso per dichiarazione di fallimento ‘ .
-Anche il terzo motivo, che aggredisce la statuizione di condanna alle spese in luogo della loro auspicata compensazione, è inammissibile.
5.1. -Occorre premettere che, trattandosi di giudizio instaurato in primo grado successivamente all’11 dicembre 2014, trova applicazione ratione temporis il testo dell’art. 92, comma 2, c.p.c. come modificato dall’art. 13 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, che consente la compensazione (totale o parziale) delle spese processuali tra le parti in caso di soccombenza reciproca, di
assoluta novità delle questioni trattate o di mutamenti della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, nonché -a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 19 aprile 2018 -qualora sussistano ‘altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni’ .
Per queste ultime dovendo intendersi situazioni diverse che però presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92, comma 2, c.p.c. (cfr. Cass. 6424/2024, 3977/2020, 4696/2019).
5.2. -Ciò premesso, in linea generale il potere del giudice di compensare le spese di lite ha natura discrezionale, sicché il sindacato di questa Corte, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 , c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. 16404/2023), mentre compete discrezionalmente al giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. 8421/2017, 24502/2017; cfr. Cass. Sez. U, 32061/2022; v. Cass. 13827/2024, per cui l’accoglimento della domanda in misura ridotta non consente la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c.), in ragione della ‘ elasticità ‘ costituzionalmente necessaria che caratterizza il potere giudiziale di compensazione delle spese di lite, «non essendo indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese» in favore della parte vittoriosa ( ex multis , Cass. 21400/2021, 10685/2019, 19613/2017; cfr. Corte cost., sent. 21 maggio 2014, n. 157).
5.3. -Né viene qui in rilievo la possibilità di censurare in sede di legittimità non già la scelta di compensare le spese, ma la coerenza e razionalità della motivazione con cui il giudice di merito abbia sorretto la compensazione (così, da ultimo, Cass. 6424/2024, 14036/2024 per cui è suscettibile di cassazione la «motivazione palesemente illogica, inconsistente o manifestamente erronea»).
-Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese, come da dispositivo.
-Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 07/04/2025.