Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21016 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21016 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25830-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME ANNUNZIATO TENUTA;
– ricorrente –
contro
UNIVERSITA RAGIONE_SOCIALE CALABRIA, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 635/2024 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 13/06/2024 R.G.N. 799/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N.25830/2024
COGNOME
Rep.
Ud 05/06/2025
CC
RILEVATO CHE:
con sentenza n. 128 del 18.02.2022, la Corte d’appello di Catanzaro aveva rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Cosenza che aveva negato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dal giugno 1998 e l’inserimento del dipendente nella pianta organica dell’Università della Calabria con qualifica di impiegato livello B2, respingendo conseguentemente le domande di differenze retributive e risarcimento del danno;
la Corte territoriale, ammessa ed assunta la prova testimoniale chiesta dall’appellante, aveva ritenuto che dagli elementi raccolti non fossero emerse né ‘ la continuità della prestazione lavorativa oltre i limiti fissati dai singoli contratti di collaborazione ‘ , né ‘l’estraneità dei compiti svolti a quelli individuati nei contratti medesimi ‘, sicché, di fronte ad ‘ un quadro probatorio incerto ‘ circa l’esistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato, da cui discendevano anche le connesse domande risarcitorie, non poteva che essere confermata la pronuncia reiettiva di primo grado;
contro
tale decisione il Termine proponeva quindi ricorso per revocazione a sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., per omesso esame dei seguenti documenti che avrebbero avuto rilevanza decisiva e precisamente: a) ‘attestato Heracles datato 02.04.2000 a firma della dr.ssa COGNOME; b) ‘conferimento di incarico al Sig. COGNOME, sempre a firma della dr.ssa COGNOME;
a suo parere, con il primo documento si sarebbe dimostrato che egli aveva prestato attività lavorativa alle dipendenze della convenuta a decorrere dal 1998, ininterrottamente, mentre il secondo documento sarebbe valso a dimostrare lo svolgimento di attività
lavorativa anche in periodi non coperti dai contratti di collaborazione stipulati con l’Università;
con sentenza del 13/6/2024, la Corte territoriale rigettava il ricorso per revocazione, affermando che non erano neppure indicati ‘il fatto’ supposto ‘la cui verità incontestabilmente esclusa’ ovvero ‘il fatto’ di cui si sarebbe supposta l’inesistenza e ‘la cui verità positivamente stabilita’;
constatazione che già di per sé aveva effetto preclusivo dell’impugnazione;
ancora di più l’infondatezza della revocazione era conseguente ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il mancato esame di un documento può essere denunciato ove esso offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito: nella specie, infatti, era impossibile comprendere come l’affermazione secondo cui il ric orrente ‘collabora con il Centro Heracles dal 18/06/1998’, contenuta nel primo documento e l’impegno della ‘somma di euro 2.562,45 (lordi)’ a gravare ‘sui fondi di Lettere e Filosofia cat. 2. Cap. 14. art. 2, esercizio 2002’, contenuta nel secondo, avrebbe ro potuto determinare quel giudizio di ‘certa’ invalidazione di ogni altra risultanza istruttoria che era la premessa del giudizio per revocazione;
ricorre per cassazione il Termine con due motivi, resistiti con controricorso dall’Università.
CONSIDERATO CHE:
con i l primo motivo si denuncia violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in riferimento all’art. 395, primo comma, n. 4 c.p.c., e degli artt. 115, 116 c.p.c., per la ‘ parziale lettura documenti ‘, assumendo l’erroneità della
decisione di ‘ rigetto implicito ‘ riguardo al motivo del travisamento prova testimoniale;
i due documenti richiamati dimostravano che il ricorrente aveva prestato attività lavorativa in periodi non coperti da alcuno dei contratti di collaborazione sottoscritti; in particolare il secondo documento dimostrava che gli era stato conferito l’incarico di gestire la ‘banca dati’, attività non compresa nei contratti di collaborazione stipulati con l’università; oltretutto , i due documenti comprovavano la non attendibilità delle testi di parte resistente laddove avevano affermato che il lavoratore aveva prestato servizio solo nei periodi indicati nei contratti;
1.1 il motivo è inammissibile;
come emerge dalla narrativa in fatto, la sentenza impugnata poggia su una duplice ratio decidendi :
l’assenza di indicazione ‘del fatto’ (revocatorio) supposto ‘la cui verità incontestabilmente esclusa’ ovvero ‘del fatto’ di cui si sarebbe supposta l’inesistenza e ‘la cui verità positivamente stabilita’;
ii) l’assenza di ogni elemento di ‘decisività’ dei documenti invocati, e ciò in quanto era «impossibile comprendere come l’affermazione secondo cui il ricorrente ‘collabora con il Centro Heracles dal 18/06/1998’, contenuta nel primo documento o l’impegno della ‘somma di euro 2.562,45 (lordi)’ a gravare ‘sui fondi di Lettere e Filosofia cat. 2. Cap. 14. art. 2, esercizio 2002’, contenuta nel secondo, avrebbe potuto determinare quel giudizio di ‘certa’ invalidazione di ogni altra risultanza istruttoria che era la premessa del giudizio per revocazione;
il motivo censura, peraltro inammissibilmente in presenza di una duplice ratio (cfr. fra le tante Cass. n. 17182/2020; Cass. n. 10815/2019), solo la seconda affermazione, con argomenti palesemente erronei, difettando ogni decisività della documentazione in parola, non contenendo all’evidenza il primo documento, per come trascritto in ricorso, l’avverbio ‘ininterrottamente’ riferito alle collaborazioni del Termine, e lasciando intendere il secondo documento il conferimento di una (semmai, ulteriore) prestazione occasionale, relativa alla ‘banca dati’, che non inficerebbe l’impianto motivazionale della pronuncia oggetto di revocazione, la quale, come precisato nella sentenza impugnata, fa leva sia sull’assenza di subordinazione sia sull’assenza di continuità della prestazione oltre i limiti fissati dai singoli rapporti di collaborazione;
si tratta di profili (i.e., quello dell’assenza di subordinazione e dell’assenza di continuità della prestazione) su cui erano emerse posizioni contrapposte tra le parti, che avevano dato luogo a una discussione in corso di causa alla stregua dell’intero compendio documentale e testimoniale, sicché la pronuncia del giudice del merito oggetto di revocazione (sent. n. 128/2022) non è frutto -come afferma la sentenza qui impugnata -di una svista percettiva, ma, piuttosto, di un apprezzamento critico delle diverse risultanze processuali, in tal guisa sottraendosi al rimedio revocatorio (Cass. 26/01/2022, n. 2236; Cass. 22/10/2019, n. 26890; Cass. 04/04/2019, n. 9527; Cass. 30/10/2018, n. 27622; Cass. 08/06/2018, n. 14929);
segue, dunque, la reiezione del motivo;
2. con il secondo mezzo si denuncia violazione e/o falsa applicazione art. 91 c.p.c.;
afferma il ricorrente che nella parte dispositiva si indica quale ricorrente tale NOME COGNOME e si fa riferimento (erroneo) alla sentenza del 03.02.2022;
se pure il Termine ammette trattarsi di un refuso, aggiunge che non sarebbe nondimeno possibile verificare nella fattispecie l’effettiva volontà della Corte di merito;
2.1 il motivo è destituito di fondamento, essendo evidente che il nominativo indicato è frutto di un errore materiale che non inficia in alcun modo la pronuncia una volta emendata con il nominativo corretto dell’odierno ricorrente, quest’ultimo (si noti) indicato più volte nel testo della sentenza impugnata;
in conclusione, il ricorso è inammissibile;
le spese di legittimità (liquidate in dispositivo) seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte: dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in €. 5.000,00 per compensi ed €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese gen. al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione Lavoro