Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2214 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2214 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4838/2023 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocata COGNOME
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO INDIRIZZO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso l’ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE n. 29373/2022 depositata il 10/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la revocazione della ordinanza della Corte di cassazione n. 29373/2022 del 10 ottobre 2022, che ha rigettato il ricorso avverso la sentenza n. 4105/2017 della Corte d’appello di Roma.
Resiste con controricorso il Condominio INDIRIZZO Roma. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-ter, e 380-bis.1, c.p.c. Le parti hanno depositato memorie.
Il ricorrente lamenta l’errore di fatto ex art. 395 n. 4 c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il secondo motivo del ricorso per cassazione, nella quale ci si d oleva ‘dell’omesso esame della richiesta di C.T.U., già avanzata in primo grado’, motivando che ‘l ricorrente non prospetta di essersi doluto con l’appello della mancata ammissione della c.t.u. e, di conseguenza, la censura risulta nuova’.
Il ricorso per revocazione assume che ‘quanto ritenuto dalla Suprema Corte è frutto di un evidente errore nella lettura dell’atto di citazione in appello introduttivo del giudizio di Secondo Grado, con il quale l’odierno ricorrente si era invece ampiamente doluto della mancata ammissione della c.t.u. in primo Grado, avendo formulato istanza di rinnovo nelle rassegnate conclusioni dello stesso atto ed avendo insistito pure negli atti difensivi finali’; aggiungendosi che nel ricorso per cassazione era stato poi formulato il seguente motivo: ‘ancata ammissione della Consulenza Tecnica d’Ufficio, già richiesta dal ricorrente nel giudizio di Primo Grado; e conseguente omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio con la violazione dell’art. 198 c.p.c.’.
Mancano i presupposti dell’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4 e 391-bis c.p.c., il quale postula: 1) un contrasto fra due diverse
rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla pronuncia sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione; 2) un errore meramente percettivo, che abbia indotto la Corte a fondare la propria decisione sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo; 3) un errore riguardante gli atti interni al giudizio di legittimità, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, e avente carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla decisione medesima (Cass., Sez. Unite, 27/11/2019, n. 31032; Cass., Sez. Unite, 28/05/2013, n. 13181).
Il ricorso per revocazione, lamentando che l’ordinanza della Corte di cassazione n. 29373/2022 ‘è frutto di un evidente errore nella lettura dell’atto di citazione in appello’, non si rapporta con specificità (art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.) alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, nel quale non è stato affermato che ‘il ricorrente non si era doluto con l’appello della mancata ammissione della c.t.u.’, ma che ‘l ricorrente non prospetta di essersi doluto con l’appello della mancata ammissione della c.t.u. e, di conseguenza, la censura risulta nuova’, e ciò, dunque, sulla base della esclusiva lettura del motivo di ricorso per cassazione, alla luce del requisito di ammissibilità imposto dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., nel senso che la censura che lamenti l’omessa pronuncia o l’omesso esame su domanda, eccezione o questione, di cui effettivamente non vi è menzione del provvedimento impugnato, deve specificamente indicare come e quando tale domanda, eccezione o questione fosse stata devoluta alla cognizione dei giudici del merito delle pregresse fasi (ad esempio, Cass. n. 17049 del 2015).
Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile.
Il Consigliere delegato, ravvisata la inammissibilità del ricorso per revocazione, aveva proposto la definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022. Il ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso.
Essendo il giudizio definito in conformità alla proposta di definizione anticipata, trovano applicazione il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., ai sensi dell’art. 380 -bis, comma 3, c.p.c. L’integrale conformità dell’esito decisorio alla proposta ex art. 380 -bis c.p.c. costituisce, invero, indice della colpa grave della condotta processuale del ricorrente, per lo svolgimento di un giudizio di revocazione rivelatosi del tutto superfluo, con conseguente condanna dello stesso al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore del controricorrente, nonché di somma in favore della cassa delle ammende, negli importi indicati in dispositivo (Cass. Sez. Unite, sentenza n. 9611 del 2024; ordinanze n. 36069, n. 27195, n. 28540 e n. 27433 del 2023).
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per l’impugnazione dichiarata inammissibile, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di revocazione dal controricorrente, che liquida in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge; condanna altresì il ricorrente, ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c., al pagamento in favore del controricorrente della
ulteriore somma di € 4.000,00 ed al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di € 1.000,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione