Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15926 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15926 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7866/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale protempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (EMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5247/2018 del TRIBUNALE DI ROMA depositata il 12/03/2018, nonché avverso la sentenza n. 16829/2020 del TRIBUNALE DI ROMA depositata il 24/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
rilevato che
con sentenza resa in data 12/3/2018, il Tribunale di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, di somme a titolo di risarcimento del danno in relazione alle conseguenze di un sinistro stradale ad esito del quale NOME COGNOME, rimasto danneggiato, aveva successivamente ceduto alla RAGIONE_SOCIALE il credito risarcitorio vantato nei confronti del NOME e della RAGIONE_SOCIALE (compagnia assicuratrice del NOME);
a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha rilevato come la RAGIONE_SOCIALE non avesse fornito alcuna prova adeguata di un’entità del risarcimento del danno maggiore rispetto a quella riconosciuta e liquidata dal giudice di primo grado, da tanto derivando l’infondatezza dell’appello proposto dalla società istante;
sul ricorso per revocazione proposto avverso tale decisione d’appello dalla RAGIONE_SOCIALE (a seguito del quale veniva disposta la sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione), con sentenza resa in data 24/11/2020, il Tribunale di Roma, rilevato che la società ricorrente aveva ascritto, al giudice a quo , il (paventato) compimento di errori di giudizio o di valutazione, e non già di meri errori di fatto, ha disatteso l’impugnazione straordinaria proposta dalla società istante;
avverso entrambe le sentenze del Tribunale di Roma, la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di sette motivi d’impugnazione, di cui uno avverso la sentenza emessa in sede di revocazione, e sei avverso la sentenza emessa in grado di appello;
la RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso;
la RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria;
considerato che ,
con il primo motivo (proposto avverso la sentenza n. 16829/2020 emessa in sede di revocazione), la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c., per avere il Tribunale di Roma rigettato il ricorso per revocazione proposto dalla società ricorrente nonostante l’avvenuta deduzione, da parte di quest’ultima, di specifici errori meramente percettivi del giudice d’appello, che in nessun modo coinvolgevano attività valutative, con particolare riferimento al testuale ‘ mancato assolvimento dell’Iva ‘, nonostante la fattura depositata fosse munita di registrazione nei libri contabili societari, nonché alla ‘ sola verniciatura dei paraurti ‘, nonostante ‘nella fattura fosse indicata la sostituzione e, infine, il calcolo aritmetico delle spese anticipate in primo grado nonché mancante di molteplici delle medesime documentate attività svolte’;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, tanto l’intestazione, quanto l’esposizione della censura in esame, appaiono del tutto inidonee all’individuazione, sia pure in astratto, di uno o più errori riconducibili al paradigma di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c., non avendo la società ricorrente fornito alcuna precisa indicazione in ordine ai fatti specifici la cui esistenza sarebbe stata affermata, mentre era esclusa, ovvero di fatti, in tesi esistenti, la cui inesistenza sarebbe stata erroneamente affermata dal giudice a quo , con la conseguente inidoneità del motivo in esame a individuare l’errore, o gli errori, di applicazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c. in ipotesi ascrivibili al tribunale là dove ha giudicato inammissibile l’impugnazione revocatoria originariamente avanzata dalla società istante;
varrà peraltro rilevare come, tanto le censure concernenti la valutazione della debenza dell’Iva e della valutazione del costo per la
verniciatura del paraurti, quanto le ulteriori censure concernenti il calcolo delle spese vive anticipate in primo grado, appaiono effettivamente espressive di doglianze che attengono al giudizio espresso dal giudice d’appello in ordine al quantum risarcitorio e alle spese rimborsabili liquidate dal primo giudice: in breve, chiamato a rivedere i termini della liquidazione equitativa operata dal giudice di primo grado (ritenuta insufficiente dall’odierna società ricorrente), il tribunale ha ritenuto che l’importo liquidato dal giudice di primo grado fosse comunque superiore a quello che sarebbe spettato (in astratto) alla società istante se si fosse fatto riferimento all’entità concreta dei pregiudizi effettivamente subiti dall’originario danneggiato, il quale altro non avrebbe potuto ottenere in via risarcitoria, secondo il tribunale, se non un importo (da liquidare equitativamente) per la verniciatura di un paraurti posteriore;
di conseguenza, del tutto correttamente il giudice d’appello ha utilizzato la fattura emessa dalla RAGIONE_SOCIALE quale parametro di riferimento (non strettamente vincolante) per l’individuazione di un importo ragionevolmente riconoscibile per la verniciatura di una paraurti, tenuto conto che la circostanza secondo cui l’importo preso a base del giudice d’appello sulla base di quella fattura si riferisse alla ‘sostituzione’ di un paraurti (e non alla sua verniciatura), non toglie che il giudizio equitativo sul danneggiamento del paraurti abbia pur sempre scontato questa minima differenza, poiché la verniciatura di un paraurti esibisce pur sempre, sul piano economico, un ragionevole rapporto con il valore economico del medesimo paraurti;
allo stesso modo, l’inclusione dell’importo indicato a titolo di Iva nella fattura in corrispondenza della ‘sostituzione’ di un paraurti non ne impone la necessaria considerazione ai fini della valutazione equitativa del costo complessivo di una ‘verniciatura’ ; e ciò al di là della natura di diritto dell’eventuale errore denunciato;
da tali premesse deriva l’evidente esclusione del ricorso di eventuali errori di percezione imputabili al giudice a quo , quanto semmai il ricorso di (eventuali) errori di valutazione; conclusione da riferire alla stessa mancata inclusione, da parte del giudice d’appello, di determinate voci dalle spese vive rimborsabili, non potendo tale omissione automaticamente qualificarsi alla stregua di un errore materiale o di calcolo, ben potendo trattarsi (in ipotesi) di un errore di diritto consistito nell’indebita esclusione determinate voci dalle spese vive rimborsabili;
si aggiunga che dall’illustrazione, pur nella sua confusione e mancanza di chiarezza, si palese che si era sollecitato ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c. un sindacato su punti controversie e, dunque, pure per tale ragione inammissibile;
con il secondo motivo (proposto avverso la sentenza n. 5247/2018 emessa in sede d’appello), la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112, 324 e 329 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere il Tribunale di Roma erroneamente riformato in peius il quantum debeatur deliberato nella statuizione del giudice di primo grado in favore dell’odierna società ricorrente, nonostante la controparte non avesse proposto alcun appello incidentale;
con il terzo motivo (proposto avverso la sentenza n. 5247/2018 emessa in sede d’appello), la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 111 e 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere il Tribunale di Roma posto a base della propria decisione il contenuto di prove documentali non contestate e già poste a oggetto di decisione in assenza di qualsivoglia eccezione dei resistenti, e per avere, sotto altro profilo, erroneamente percepito i contenuti di tale documentazione;
con il quarto motivo (proposto avverso la sentenza n. 5247/2018 emessa in sede d’appello), la ricorrente censura la sentenza impugnata
per violazione degli artt. 112 e 132 n. 4 c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.) per avere il giudice a quo omesso di decidere in ordine all’esplicita richiesta di consulenza tecnica d’ufficio avanzata dall’odierna società ricorrente fin dal primo grado di giudizio, avventurandosi illegittimamente nella valutazione di aspetti di natura tecnica in relazione ai quali ha dimostrato di non disporre di alcuna conoscenza, fondando le proprie decisioni sulla base di una motivazione meramente apparente;
con il quinto motivo (proposto avverso la sentenza n. 5247/2018 emessa in sede d’appello), la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1223 e 2056 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.), per avere il giudice a quo omesso di considerare l’incidenza dell’Iva sul risarcimento del danno liquidato in proprio favore;
con il sesto motivo (proposto avverso la sentenza n. 5247/2018 emessa in sede d’appello), la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dei D.M. n. 55/14 e n. 37/18 (in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.), per avere il Tribunale di Roma illegittimamente negato il riconoscimento, in favore dell’istante, delle spese e dei compensi stragiudiziali richiesti, e per aver dettato una motivazione meramente apparente a fondamento della decisione assunta sul punto;
con il settimo motivo (proposto avverso la sentenza n. 5247/2018 emessa in sede d’appello), la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 91, 92, 112, 132 n. 4, 324 e 329 c.p.c. e del D.M. n. 55/14 (in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.), per avere il Tribunale di Roma riformato la decisione del giudice di primo grado in relazione alla regolazione dei compensi e delle spese relativa al giudizio di primo grado in peius rispetto alla statuizione del primo giudice in assenza di appello incidentale della controparte, nonché per aver
travisato l’oggetto del contendere e dettato una motivazione meramente apparente a fondamento della decisione assunta, errando nel calcolo delle effettive spese anticipate, nonostante l’esplicita richiesta;
il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e il settimo motivo, tutti proposti avverso la sentenza del Tribunale di Roma emessa in sede d’appello, sono inammissibili, dovendo ritenersi tardiva la proposizione del ricorso per cassazione verso la ridetta sentenza d’appello;
varrà preliminarmente osservare, in linea generale, come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello equivale, sia per la parte notificante che per la parte destinataria, alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell’art. 398, comma 4, c.p.c. (Sez. 5, Ordinanza n. 22220 del 05/09/2019, Rv. 654828 -01; Sez. 3, Sentenza n. 7261 del 22/03/2013, Rv. 625600 -01; Sez. 3, Sentenza n. 309 del 12/01/2012, Rv. 620538 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 10053 del 29/04/2009, Rv. 607914 -01; Sez. 1, Sentenza n. 14267 del 19/06/2007, Rv. 596981 – 01);
nel caso di specie, la società ricorrente ha affermato di aver notificato la sentenza d’appello oggetto di revocazione in data 25/5/2018 (cfr. pag. 2 del ricorso) senza tuttavia precisare la data dell’avvenuta adozione del provvedimento di sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione;
peraltro, nella sentenza con la quale il Tribunale di Roma ha deciso sull’impugnazione in revocazione si afferma che detta sospensione venne adottata all’udienza del 3/11/2019 (cfr. pag. 6 della sentenza n. 16829/2020), con la conseguenza che detta sospensione del termine venne disposta allorché il termine per la proposizione del ricorso per cassazione era già interamente decorso;
a tale riguardo, è appena il caso di evidenziare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’ art. 398, comma 4, secondo inciso, c.p.c. deve interpretarsi nel senso che l ‘ accoglimento, da parte del giudice della revocazione, dell’istanza di sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione determina l’effetto sospensivo (come, del resto, l’eventuale sospensione del corso del giudizio di cassazione, se frattanto introdotto) soltanto dal momento della comunicazione del relativo provvedimento, non avendo la proposizione dell’istanza alcun immediato effetto sospensivo sebbene condizionato al provvedimento positivo del giudice. (Sez. U, Sentenza n. 21874 del 30/08/2019, Rv. 655037 -01; Sez. 2, Ordinanza n. 18913 del 11/09/2020, Rv. 659125 – 01);
in breve, a seguito della modifica introdotta dall’art. 68 della legge 26 novembre 1990, n. 353, la disciplina del concorso fra l ‘ istanza di revocazione della sentenza d’appello e il ricorso per cassazione è caratterizzata, in linea generale, dall’insussistenza di un effetto sospensivo automatico, conseguente all’istanza di revocazione, del termine per proporre il ricorso per cassazione. Ciò comporta che, in caso di accoglimento dell ‘ istanza di sospensione da parte del giudice della revocazione, il termine iniziale di decorrenza del periodo di sospensione non coincide con la data di presentazione dell’istanza medesima, ma con quella di emanazione del provvedimento previsto dall’art. 398, quarto comma, cod. proc. civ., senza che ciò pregiudichi il diritto dell ‘ istante di agire in giudizio, atteso che egli dispone
comunque per intero del termine di sessanta giorni dalla prima notifica per ricorrere per cassazione, qualunque sia l ‘ esito dell’istanza di sospensione, mentre gli effetti della scelta di attendere la decisione sull’istanza di sospensione non possono che imputarsi alla stessa parte che tale scelta processuale ha ritenuto di compiere (Sez. 1, Sentenza n. 12701 del 05/06/2014, Rv. 631345 – 01);
la proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Roma emessa in sede d’appello deve pertanto ritenersi inammissibile per tardività;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto, tanto avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Roma in sede di revocazione, quanto avverso la sentenza emessa dal medesimo tribunale quale giudice d’appello;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
ricorrono, ad avviso del Collegio, i presupposti per la condanna della società ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., della somma equitativamente determinata nell’importo di euro 2.000,00, attesa l’irragionevole implausibilità degli argomenti difensivi proposti in questa sede, con particolare riguardo alla natura degli errori imputati alla sentenza impugnata in sede di revocazione e alla palese tardività del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza emessa in sede d’appello;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto avverso entrambe le sentenze impugnate e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 910,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge, nonché al pagamento della somma di euro 2.000,00 ex art. 96, co. 3, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione