Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15783 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15783 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26734/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale allegata al ricorso.
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ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tepore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME
(EMAIL) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al controricorso.
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contro
ricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 3688/2020 depositata il 22/07/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
Con atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida, la RAGIONE_SOCIALE, società proprietaria dell’immobile sito in Roma, INDIRIZZO, locato ad uso diverso da quello abitativo, chiedeva che venisse convalidata l’intimazione per morosità e dichiarata la risoluzione di diritto del contratto di locazione per inadempimento del conduttore RAGIONE_SOCIALE, con condanna al rilascio dell’immobile.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, opponendosi allo sfratto e dando atto di aver sanato la morosità maturata a seguito della intimazione di sfratto; eccepiva inoltre l’inoperatività della clausola risolutiva espressa, in quanto superata dalle parti con scrittura privata; in via riconvenzionale, allegava di aver patito degli allagamenti e formulava domanda di risarcimento dei danni.
1.2. Disposto il mutamento del rito, con sentenza n. 5988/2018 del 20 marzo 2018 il Tribunale di Roma rigettava sia la domanda di risoluzione del contratto di locazione, sia la domanda riconvenzionale risarcitoria.
Avverso tale sentenza proponeva appello RAGIONE_SOCIALE quale incorporante dell’RAGIONE_SOCIALE
Si costituiva la conduttrice RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto del gravame.
2.2. Con sentenza n. 3688/2020 del 22 luglio 2020 la Corte d’Appello di Roma accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda della società locatrice di risoluzione del contratto di diritto, ai sensi dell’art. 1456 cod. civ. e dell’art. 4 del contratto di locazione, condannando la società conduttrice a rilasciare l’immobile.
Avverso tale sentenza la conduttrice RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Parte resistente ha depositato memoria in cui espressamente ‘rappresenta che risulta cessata la materia del contendere per effetto della Sentenza n. 5082/2022 del Tribunale di Roma (doc. n. 1) confermata in appello con Sentenza n. 5773/2023 (doc. n. 2) per rinuncia al gravame da parte di RAGIONE_SOCIALE e di conseguenza il contratto di locazione oggetto di causa è stato dichiarato risolto in virtù della clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c. per inadempimento della conduttrice (con effetto dall’introduzione del giudizio, anno 2016)’.
Considerato che
Con un unico motivo la ricorrente denuncia ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 1362-1371 e 1375 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.’.
Lamenta che, non correttamente applicando i criteri di ermeneutica contrattuale, la corte d’appello ha omesso di considerare la reale volontà delle parti e non ha considerato che
la pattuizione della clausola risolutiva espressa, di cui all’art. 4 del contratto di locazione, sarebbe stata superata da una successiva scrittura privata, stipulata tra le parti, ad integrazione e parziale modificazione del contratto, con cui, in particolare, era stata prevista, da parte della conduttrice, la prestazione di garanzia fideiussoria ed il deposito cauzionale, nell’ottica della conservazione e prosecuzione del rapporto contrattuale.
Il motivo è inammissibile, per evidente ed eccepita violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c.
Il motivo, infatti, omette sia di localizzare, sia di trascrivere, e comunque di riportare, tanto il tenore della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 4 del contratto, quanto il contenuto della successiva scrittura privata integrativa, che -asserisce il ricorrente- avrebbe reso la clausola risolutiva inefficace, e si limita genericamente a prospettare la necessità della loro considerazione in combinato disposto.
Inoltre, non solo manca la trascrizione delle clausole e la localizzazione del contratto, ma i discorsi finalizzati a sostenere la violazione dei canoni ermeneutici sono svolti evocando circostanze fattuali e processuali riguardo alle quali parimenti il principio di specificità posto dal citato art. 366, n. 6, cod. proc. civ., resta del tutto inosservato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (tra le tante, v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., 07/07/2018, n. 5478; Cass., 10/12/2020, n. 28184), in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito, qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione,
come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità.
L’ulteriore doglianza che compone il motivo, secondo cui la società locatrice avrebbe accettato il pagamento di canoni in ritardo, così manifestando un comportamento di tolleranza tale da rendere inoperante la clausola risolutiva espressa, è parimenti inammissibile, sia perché formulata genericamente e dunque in violazione dell’art. 366, n. 6 cod. proc. civ. (‘durante l’iter del procedimento del primo grado di giudizio la RAGIONE_SOCIALE si premurava di corrispondere in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE tutti gli importi da questa pretesi, sia a titolo di canone di locazione, sia ancora a titolo di interessi di legge maturati (sempre ai sensi del contratto di locazione’: v. p. 18 del ricorso), sia perché non risulta correlata alla motivazione (v. Cass. 8036/2020), che non affronta affatto tale argomento, ma, per contro, con motivata valutazione in fatto, insindacabile nella presente sede di legittimità, evidenzia espressamente i plurimi ritardi nel pagamento dei canoni, con entità anche di notevole durata, pur escludendo ogni valutazione della gravità dell’inadempimento alla luce della riconosciuta validità ed efficacia della clausola risolutiva espressa.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Il Collegio rileva che l’inammissibilità del ricorso rende superfluo prendere posizione sulla dedotta cessazione della materia del contendere, non senza doversi rilevare che la sua configurabilità postulava concordia delle parti sul punto.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza