Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2673 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2673 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1508-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato
Oggetto
Lavoro subordinato
Retribuzione
Indennità
Riposi non fruiti
R.G.N. 1508/2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/11/2023
CC
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1526/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/07/2020 R.G.N. 2666/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal Consigliere AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello che la RAGIONE_SOCIALE aveva proposto contro la sentenza n. 1410/2016 del Tribunale della medesima sede, con la quale erano state accolte le domande proposte dal lavoratore COGNOME NOME, volte al riconoscimento dell’indennità per riposi non fruiti, pari a tutto il 31.5.2011, alla complessiva somma di € 7.966,65, oltre accessori.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, aderendo all’indirizzo già espresso in altre decisioni della medesima Corte, respingeva anzitutto il motivo d’appello della società, con il quale essa deduceva che il ricorso introduttivo del primo grado era nullo, perché non aveva indicato quali fossero le date delle giornate di ritenuta licenza in occasione del cambio di turno, né le ore in cui vi sarebbe stata la prestazione lavorativa e le giornate di successiva fruizione dei riposi, avendo l’appellato indicato solo il numero delle giornate lavorative al
posto di quelle di licenza. Inoltre, la Corte condivideva quanto già deciso da altre Sezioni in ordine all’inammissibilità in fase di gravame dei fatti nuovi prospettati dall’appellante, circa le previsioni del contratto del 3 luglio 1987 e del verbale di chiarimenti sottoscritto in data 27 maggio 1994. Osservava che: ‘Anche la circostanza di una diversa interpretazione della contrattazione collettiva del settore, basata su di un’organizzazione per turni lavorativi fondata sulla giornata e non sulle ore, è del tutto nuova e non ammissibile per la prima volta in appello, allo stesso modo dell’invocata applicazione dell’art. 32 del ccnl menzionato’. Secondo la Corte, poi, . Pertanto, concludeva ‘che stante la previsione del ccnl ogni diversa ed unilaterale organizzazione da parte del datore di lavoro (quale quella di consentire il rientro il giorno successivo alle 8,00) non compensa il lavoratore della mancata fruizione del giorno di riposo per intero’.
Avverso tale decisione, la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’intimato ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 terzo comma della L. n. 370/1934; del Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66 Attuazione della direttiva 93/104/CE e 2000/34/CE; dell’art. 17 della Direttiva 1999 CE in relazione agli artt. 113 e 360 n. 3 e 5 c.p.c. -Decisione delle questioni di diritto in modo non conforme alla giurisprudenza ed all’orientamento della Suprema Corte di Cassazione’, tanto in relazione ad una serie di decisioni di legittimità degli anni ’80, richiamate dalla ricorrente. Secondo quest’ultima, in tema di riposo settimanale del personale che lavori su turni e per il quale non sia applicabile direttamente la regolamentazione prevista dalla L. 22 febbraio 1934, n. 370, le ventiquattro ore di riposo settimanale decorrono dall’ora di inizio del turno non lavorato per fruizione del riposo settimanale, in applicazione analogica del principio stabilito dal terzo comma dell’art. 3 della L. n. 370/1934. In altri termini, avendo la legge n. 370/1934 regolamentato specificamente il riposo settimanale di 24 ore prevedendo che lo stesso inizia per i lavori a squadra dall’ora di sostituzione di ciascuna squadra, tale precetto normativo deve essere interpretato nel senso che l’inizio del turno no n lavorato con il quale termina il precedente riposo giornaliero è il momento in cui termina il precedente riposo giornaliero ed inizia quello settimanale. Inoltre, secondo RAGIONE_SOCIALE, l’orario di lavoro che il c.c.n.l. prevede a partire dalle ore 8,00, si di stingue dalla ‘giornata’ che bisogna prendere in considerazione ai soli fini retributivi (art. 32 del c.c.n.l.) che va dalle ore 0,00 alle ore 24.00 e la sentenza di secondo grado doveva tener conto, oltre che delle previsioni dell’art. 22 del c.c.n.l., anche del fatto che la legge prevede un computo del riposo in ore. Per la stessa, la legge, la normativa CE ed il
c.c.n.l. prevedono il computo del riposo per i lavoratori in turni in ore e non in giornate, e ‘del tutto non conferente è il richiamo nonché l’applicazione dell’art. 32 del c.c.n.l.’.
Con un secondo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p. in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 -Violazione del principio iura novit curia ‘, nonché ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’. Torna a dedurre che ‘in primo grado veniva eccepita la inconferenza dell’art. 32 del c.c.n.l. (non applicabile al presente caso concreto) e in secondo grado veniva chiesta anche l’applicazione del D.lgs. n. 66/2003, Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, nonché l’applicazione dell’art. 17 della Direttiva 1999 CE. E, per la ricorrente, la sentenza di secondo grado, non solo ha disatteso l’invocata applicazione di norme di legge, ma ha anche deciso sulla scorta di deduzioni non formulate nel ricorso in appello dalla RAGIONE_SOCIALE.
I due riassunti motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, sono inammissibili per plurime ragioni.
Specificamente, i due motivi di ricorso sono inammissibili per la parte in cui si riferiscono all’ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. Invero, in presenza di decisioni di primo e di secondo grado tra loro conformi, la ricorrente neanche deduce in che punti e come le motivazioni delle stesse fossero differenti e si ricade, quindi, in una ipotesi di doppia conforme nella quale la censura svolta è preclusa.
4.1 . D’altronde, sia nel primo che nel secondo motivo la ricorrente non indica fatti storici, principali o secondari, dei quali la Corte di merito avrebbe omesso l’esame, non ne
deduce l’ipotetica decisività, né specifica quando e come sarebbero stati oggetto di discussione tra le parti.
Per altro verso, la ricorrente lamenta ‘che purtroppo nella sentenza di secondo grado si legge sia nella ricostruzione del fatto che nella motivazione di eccezioni e deduzioni non formulate dalla RAGIONE_SOCIALE nel ricorso in appello’ (cfr. pag. 3 del ricorso), e che la Corte di merito avrebbe considerato un’eccezione che ‘non è stata formulata nel ricorso in appello dalla RAGIONE_SOCIALE‘ (v. pag. 16 del ricorso), pur senza che sia formulata in maniera rituale un ‘ eccezione di error in procedendo .
Con il secondo motivo, la RAGIONE_SOCIALE assume che: ‘Viene del tutto omesso il fatto decisivo che nel ricorso in appello la RAGIONE_SOCIALE ha chiesto l’applicazione di norme di Legge (oltre a quelle del c.c.n.l.)’ (cfr. tra la pag. 14 e la pag. 15 del ricorso).
Per il resto, ambedue i motivi si riferiscono anche alla violazione e falsa applicazione delle norme di diritto indicate nelle rubriche ex art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c., salvo in conclusione del primo motivo aggiungere che sussisterebbe la violazione anche ‘dell’indicato c.c.n.l. nonché l’erronea applicazione dell’art. 32 del medesimo c.c.n.l.’ (cfr. pag. 13 del ricorso). Del resto, nello sviluppo di entrambe le censure la ricorrente si riferisce anche agli artt. 17, 22 e 32 di un CCNL (di cui neanche viene indicata la data).
6.1. Ebbene, occorre ricordare che, secondo questa Corte, nell’ambito della contrattazione di lavoro privato, la conoscenza del giudice-interprete è consentita mediante l’iniziativa della parte interessata, da esercitare attraverso le modalità proprie del processo, non essendo previsti i
meccanismi di pubblicità che assistono la contrattazione di lavoro pubblico (così, ad es., Cass. civ., sez. lav., 20.5.2020, n. 9300; in termini id., sez. I, 29.12.2020, n. 29772). Inoltre, è stato deciso che detto onere può essere adempiuto, in base al principio di strumentalità delle forme processuali -nel rispetto del principio di cui all’articolo 111 della Costituzione, letto in coerenza con l’articolo 6 della Cedu, in funzione dello scopo di conseguire una decisione di merito in tempi ragionevoli -anche mediante la riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze, purché il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giud izio e, nell’elenco degli atti depositati, posto in calce al ricorso, vi sia la richiesta, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, di trasmissione del fascicolo d’ufficio che lo contiene, risultando forniti in tal modo alla Suprema corte tutti gli elementi per verificare l’esattezza dell’interpretazione offerta dal giudice di merito (così Cass. civ., sez. I, 6.6.2019, n. 15415). La produzione del testo integrale del contratto collettivo, infatti, di regola, costituisce adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’i ntero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti (in tal senso id., sez. lav. 4.3.2019, n. 6255; e in termini analoghi id., sez. lav. 3.1.2019, n. 15, la quale aveva ritenuto che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i
criteri di fondo dell’intervento legislativo e contrasta con i canoni di ermeneutica dettati dagli artt. 1362 e segg. c.c. e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 c.c., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa).
Infine, occorre ricordare che, secondo questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere redatto nel rispetto dei requisiti imposti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c. che, al comma 1, n. 6, richiede ‘la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda’; è, quindi, necessario che il ricorrente, oltre a riportare nel ricorso il contenuto del documento, quanto meno nelle parti essenziali, precisi in qualche fase processuale è avvenuta la produzione ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, precisando al riguardo che il requisito di cui al richiamato art. 366 c.p.c., n. 6, è imprescindibile ed autonomo e non può essere confuso con quello di procedibilità (egualmente richiesto) previsto dall’art. 369 c.p.c. n. 4, in quanto il primo risponde all’esigenza di fornire al giudice di legittimità tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione (laddove effettuata) è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (così Cass. civ., sez. lav., 19.6.2020, n. 12025).
6.2. Ora, nel caso in esame, non solo la ricorrente non ha prodotto in questa sede copia integrale del CCNL di settore,
ma neppure ha specificato chi e quando avesse prodotto il testo di quel contratto collettivo e quale ne sia la collocazione in uno dei fascicoli di parte o d’ufficio. In parte qua , perciò, i motivi difettano del requisito di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione.
7. Infine, quanto alla violazione o falsa applicazione delle ulteriori norme di diritto cui si riferisce la ricorrente nelle sue non chiare censure, invocando l’applicazione del principio iura novit curia ex art. 113 c.p.c., parimenti il ricorso difetta di specificità. Invero, la ricorrente, come si è visto, assume genericamente che nel proprio ricorso in appello avrebbe ‘chiesto l’applicazione di norme di legge’ non meglio precisate, ma neanche richiama p assi di detto atto d’impugnazione in cui fosse stat a dedotta l’applicazione delle specifiche norme delle quali ora si deduce la violazione e falsa applicazione. Laddove, dal testo della decisione qui gravata non risulta assolutamente che qualcuno dei motivi d’appello dell’attuale ricorrente per cassazione riguardasse l’applicazione o meno dell’art. 3, terzo comma, della L. n. 370/1934, del d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66 e dell’art. 17 della ‘Direttiva 1999/63/ CE’.
A proposito di quest’ultima indicazione, peraltro, il controricorrente ha fatto notare che la cit. Direttiva si compone solo di quattro articoli, per modo che non esiste un art. 17 della stessa (o 17 ter, come pure indicato dalla ricorrente).
In ogni caso, è evidente che l’impugnante intenderebbe porre sotto tale profilo questioni giuridiche del tutto nuove, non trattate in secondo grado, in cui le domande del lavoratore, in relazione e nei limiti dell’ appellatum , sono state decise in base a quanto dedotto dallo stesso ed all’interpretazione dell’art.
32, comma 3, del CCNL di settore, fornita dalla Corte distrettuale.
La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi anticipatario, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge, e distrae in favore del difensore del controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del