Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2527 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2527 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28923/2020 R.G. anno proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME , domiciliata presso quest’ultimo ;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 2381/2020 depositata il 18 maggio 2020 della Corte di appello di Roma.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 dicembre 2023 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Roma del 18 maggio 2020, con cui è stato respinto il gravame proposto dal RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza resa il 27 marzo 2012 dal Tribunale della capitale. Il nominato Tribunale, per parte sua, aveva accolto l’opposizione spiegata da RAGIONE_SOCIALE contro un decreto ingiuntivo per la somma di euro 146.904,00: decreto emesso a fronte del mancato pagamento del contributo riconosciuto come dovuto dalla società ai sensi dell’art. 48 d.lgs. n. 22 del 1997.
Il ricorso per cassazione del RAGIONE_SOCIALE è articolato in due motivi. Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 152, 154 e 345 c.p.c.. Si duole la ricorrente che la Corte di merito abbia ritenuto tardivo il deposito, da parte di essa istante, del proprio fascicolo di parte: deposito attuatosi dopo lo spirare del termine assegnato dal Giudice di appello per permettere la ricostruzione del fascicolo d’ufficio . Si sostiene che la ricostruzione del fascicolo smarrito non è attività processuale sottoposta a decadenza, per modo che non poteva configurarsi l’inutilizzabilità dei documenti tardivamente depositati.
Col secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 48 d.lgs. n. 22/1997. L’istante deduce che l’obbligo di partecipazione di RAGIONE_SOCIALE al consorzio era stato escluso dalla Corte di merito, la quale aveva mancato di considerare le prove offerte da essa istante sulla RAGIONE_SOCIALE del rilievo per cui controparte era azienda produttrice di sola materia prima: cosa non vera.
– Entrambi i motivi sono inammissibili .
Gli stessi si rivelano palesemente carenti di autosufficienza. Il
ricorrente non riproduce, nemmeno parzialmente, il contenuto dei documenti che la Corte di appello avrebbe dovuto ammettere e nemmeno spiega in quale frangente processuale essi siano stati originariamente prodotti.
Questa Corte reputa inammissibili, per violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass. 1 luglio 2021, n. 18695). Tale onere è stato solo parzialmente ridimensionato, di recente, in una prospettiva che valorizza il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU: questa S.C. ha infatti precisato come l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi possa avvenire alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (Cass. 19 aprile 2022, n. 12481); è stato difatti osservato che il principio di autosufficienza non può tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U. 18 marzo 2022, n. 8950). Precisazioni in tal senso sono però assenti nel ricorso per cassazione di cui qui si dibatte.
Il primo mezzo mostra inoltre di non confrontarsi con la ratio decidendi posta alla RAGIONE_SOCIALE della statuizione qui impugnata: ratio decidendi centrata sul principio per cui il decorso dei termini ordinatori
senza la presentazione di un’istanza di proroga determina gli stessi effetti preclusivi della scadenza dei termini perentori (Cass. 19 gennaio 2005, n. 1064, citata nella sentenza della Corte di appello).
Il secondo motivo è inammissibile, oltre che per il difetto di autosufficienza, di cui si è sopra detto, per l’ulteriore ragione che si viene ad esporre.
Il consorzio ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE non rientrasse tra i soggetti tenuti a partecipare al RAGIONE_SOCIALE di rifiuti di beni in polietilene; è spiegato, al riguardo, che la detta società commercializzava materie prime e non già beni in polietilene, ossia prodotti trasformati e lavorati, destinati a diventare rifiuti.
Ora, il secondo mezzo di censura risulta fondato sul richiamo di documenti per i quali è stato già rimarcato il difetto di autosufficienza. In più, proprio in quanto il motivo risulta imperniato sul contenuto di prove documentali, esso non veicola la censura di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.. Come è noto, infatti, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315). E del resto, in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di
dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745): e proprio in quanto il motivo è versato in fatto, tali indicazioni sono estranee al motivo in esame.
– Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione