Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9193 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9193 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 37691/2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Ricorrente –
Contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE).
– Controricorrenti –
Nonché contro
COGNOME MORENA.
SERVITÙ
– Intimata –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 2296/2019 depositata il 01/10/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 4 aprile 2024.
Rilevato che:
dalla sentenza d’appello qui impugnata e dall’ordinanza di questa Corte n. 2853 del 2016, che ha annullato con rinvio la precedente sentenza della Corte d’a ppello di Firenze n. 1563 del 2010, i fatti di causa possono essere riassunti come segue:
(i) con citazione notificata il 14/01/2001, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero, dinanzi al Tribunale di Arezzo, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per sentire dichiarare che i convenuti non avevano il diritto di servitù di passaggio, pedonale o carraio, sul giardino di proprietà degli attori, individuato dalla particella 752 sub. 1, foglio 35, sez. B, del catasto dei fabbricati di Arezzo;
(ii) i convenuti, costituendosi, proposero domanda riconvenzionale chiedendo che fosse accertata l ‘ esistenza della servitù sulla particella suddetta per destinazione del padre di famiglia e, in subordine, per usucapione;
(iii) il Tribunale di Arezzo, con sentenza n. 614 del 2005, in accoglimento della domanda degli attori, dichiarò l’inesistenza della servitù di passaggio sul fondo degli attori (particella 752) e a favore del fondo dei convenuti (particella 584).
La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 1563 del 2010, in totale riforma nella pronuncia di primo grado, dichiarò che, sulla particella 752, gravava, in virtù dell ‘ atto di compravendita del 02/08/1982 (intercorso tra il venditore NOME COGNOME e i compratori COGNOME e COGNOME), servitù di passaggio pedonale e carrabile, della
larghezza di tre metri, a favore della particella 584, di proprietà degli appellanti;
(iv) avverso la sentenza d’appello , COGNOME e COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, con tredici motivi; NOME COGNOME ha resistito con controricorso, nel quale ha svolto ricorso incidentale, con un unico motivo.
Questa Corte, con sentenza n. 2853 del 2016, ha accolto il ricorso principale, ha rigettato quello incidentale, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio al giudice a quo , per il riesame della controversia sulla base dei seguenti princìpi di diritto:
«se una clausola, sul piano testuale, è di significato univoco e non constano indici rappresentativi di una difforme volontà delle parti, deve attribuirsi prevalenza al dato letterale, escludendosi alcuna ulteriore operazione ermeneutica»;
«ai fini della costituzione volontaria della servitù, un atto proveniente da uno solo dei comproprietari di un fondo indiviso, pur non essendo privo di effetti giuridici, non è idoneo a costituire una servitù passiva»;
«la costituzione del diritto di servitù prediale per destinazione del padre di famiglia non si verifica quando la separazione dei due fondi sia operata da chi è proprietario esclusivo di uno di essi e comproprietario dell ‘ altro fondo, mancando in tale ipotesi il requisito dell ‘ appartenenza di entrambe i fondi al medesimo proprietario»;
«il riconoscimento da parte di un proprietario della fondatezza dell ‘ altrui pretesa circa la sussistenza di una servitù mai costituita è irrilevante ove non si concreti in un negozio idoneo a far sorgere per volontà degli interessati la servitù stessa; del pari, la pretesa confessione di uno dei comproprietari del fondo servente circa l ‘ esistenza della servitù è inidonea alla costituzione della stessa, non essendo ipotizzabile l ‘ estensione a terzi di effetti inesistenti»;
«la costituzione di servitù attraverso contratto a favore di terzo implica che la costituzione del vincolo ed il conseguente vantaggio per il terzo siano previsti e voluti dai contraenti, onde essa non può ravvisarsi in un atto avente valore meramente ricognitivo».
Con riferimento al ricorso incidentale, la sentenza di rinvio (pagg. 18 e 19) così statuisce: «Il ricorso incidentale, che è condizionato, prospetta, come detto, un unico motivo; questo è basato sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., per non avere la corte distrettuale indagato correttamente in ordine alla volontà espressa dalle parti del contratto del 4 aprile 1980 , per non aver interpretato le clausole le une per mezzo e in funzione delle altre e perché non avrebbe ‘ attribuito alla clausola, presente nello stesso contratto, una funzione conservativa di senso nell ‘ economia complessiva dell’atto ‘ . Tale motivo, oltre a mancare di autosufficienza, in quanto non indica le clausole dell ‘ atto divisionale che il giudice del merito avrebbe dovuto prendere in esame sul piano interpretativo, si risolve in considerazioni di carattere generico, slegate da puntuali riferimenti alle singole disposizioni, investendo questa Corte di un giudizio di fatto che ad essa non può essere devoluto»;
(v) NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno riassunto la causa, dinanzi alla Corte d’appello di Firenze, nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, quest’ultima nella qualità di erede di NOME COGNOME e di NOME COGNOME: il primo, ha reiterato le domande riconvenzionali proposte nei precedenti giudizi di merito; la seconda, costituitasi con altra comparsa, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva.
I giudici fiorentini, con sentenza n. 2296 del 2019, hanno dichiarato inesistente la servitù di passaggio sulla particella 752 e a
favore della particella 584, e ordinato ai convenuti di astenersi da ogni turbativa del diritto di proprietà degli attori sul resede identificato con la particella 752;
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi; NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
NOME COGNOME è rimasta intimata.
In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio, le parti costituite hanno depositato memorie;
Considerato che:
il primo motivo di ricorso -‘ Violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 2909 c.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c. n. 3 e n. 4; violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 112 c.p.c. in relazione alla previsione di cui all’art. 360 n. 4 e 5 c.p.c., per omessa rilevazione d’ufficio del giudicato, in relazione alla previsione di cui all’art. 2909 c.p.c.’ censura la sentenza impugnata che non ha rilevato d’ufficio l’esistenza di un giudicato esterno sull’accertamento della valenza del contratto del 04/04/1980, quale titolo costitutivo della servitù ed ha omesso di pronunciarsi sul punto;
il secondo motivo -‘Violazione e falsa applicazione del disposto degli articoli 1362, 1363 e 1367 c.c. e degli articoli 2908 e 2909 c.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.; violazione del disposto degli articoli 112 e 132 n. 4 c.p.c., nonch é dell’art. 118 d.a.c.p.c. in relazione alla previsione di cui all’art. 360 nn. 3, 4 e 5. Violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 116, 384 e 394 c.p.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360 nn. 3, 4 e 5’ lamenta l’errore commesso dal giudice del rinvio nel dichiarare di non potere esaminare la portata costitutiva della servitù propria del contratto di divisione del 04/04/1980, per
essere ogni questione sul punto coperta da giudicato conseguente alla sentenza della Cassazione n. 2853 del 2016, che rigettava il ricorso incidentale di NOME COGNOME, con il quale si chiedeva di interpretare detto atto di divisione come costitutivo di una servitù sulla particella 752;
il terzo motivo -‘Violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 1158 e 1146 c.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione del disposto degli articoli 116, 132 nr. 4 c.p.c. e 118 d.a.c.p.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.» censura la sentenza che ha negato la costituzione della servitù sulla particella 752 per usucapione, senza considerare che, al momento della notifica della citazione (nel giugno 2001), il termine di usucapione ventennale era maturato, dovendosi sommare il possesso del convenuto (dal 02/08/1982) al possesso del suo dante causa, NOME COGNOME, dal 04/04/1980;
il quarto motivo -‘ Violazione e falsa applicazione degli articoli 1146 e 1159 c.c., in relazione alla previsione di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione del disposto degli articoli 1362, 1363 e 1367 c.c.’ censura la sentenza impugnata per avere negato la costituzione del diritto di servitù per usucapione abbreviata, trascurando che l’atto di divisione del 04/04/1980 e il contratto di vendita del 02/08/1982, con il quale NOME COGNOME cedette il proprio immobile a NOME COGNOME, erano senz’altro idonei al trasferimento della servitù, ai sensi e per gli effetti dell’art. 11 59, cod. civ.;
in via prioritaria e dirimente, rispetto all’esame dei motivi di impugnazione, rileva la Corte che il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, per mancanza dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, ex art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.
Senza alcuna illustrazione della vicenda e sintesi dei fatti salienti, il ricorso per cassazione, dopo le intestazioni di rito e una brevissima
premessa in fatto (ultime quattro righe della prima pagina, prime due righe della seconda pagina), riproduce, con la tecnica del ‘ copia e incolla ‘ , nell’ordine : l ‘originaria comparsa di risposta dei convenuti (pag. 2 e 3, prime due righe) , l’intero contenuto della sentenza n. 2296 del 2019 della Corte d’appello di Firenze (pagg. da 2 a 12) – con la precisazione che tra i due atti trascritti nel corpo del ricorso vi è un telegrafico innesto in fatto (pag. 3, righe da 3 a 13) – per poi passare direttamente all’esposizione dei motivi di ricorso (da pag. 12 a pag. 25).
Questo modo di redigere il ricorso presuppone che siano già noti i fatti di causa, il che costringe il Collegio ad attingere ad altri atti del giudizio al fine di comprendere la vicenda e al fine di selezionare le questioni e i fatti ancora da decidere.
Spettava invece al ricorrente operare la selezione puntuale e ragionata delle questioni e dei fatti rilevanti, nell’ àmbito del procedimento ‘chiuso’ conseguente alla sentenza n. 2583/2016 di questa Corte, che ha annullato con rinvio la prima decisione della Corte toscana ed ha articolato i princìpi di diritto sopra richiamati.
I l disposto dell’a rt. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. -che, nella specie, è stato disatteso -delinea un requisito di contenuto-forma del ricorso, il quale deve consistere in una esposizione sufficiente a garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover attingere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata. La prescrizione del codice di rito non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato. È, dunque,
necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata (tra le altre, Cass. nn. 7594/2024, 7436/2024, 31152/2023, 33012/2023, 15639/2022, 12227/2018; Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014, Rv. 631745 -01; Sez. U, Sentenza n. 11308 del 22/05/2014, Rv. 630843 -01; Sez. 1, Sentenza n. 4403 del 28/02/2006, Rv. 587592 -01; più di recente v. anche Sez. 3, Ordinanza n. 1352 del 12/01/2024 Rv. 669797).
Il ricorrente ha omesso di selezionare i fatti e le questioni rilevanti: questa operazione era senz’altro imprescindibile, per la natura del giudizio di rinvio e soprattutto a causa delle preclusioni derivanti dalla sentenza rescindente (Cass. n. 2583/2016), idonee a delimitare il tema del decidere del giudizio rescissorio.
È orientamento consolidato di questa Corte (tra le altre, Sez. 2, Ordinanza n. 24357 del 10/08/2023, Rv. 668914 – 01) che, nel giudizio di rinvio, il quale è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum , mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d ‘ ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe col porre
nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità;
in conclusione, il ricorso è inammissibile;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
8 . ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 6.200 ,00, più € 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 4 aprile 2024.