Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31278 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 31278 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25865/2020 R.G. proposto
da
COGNOME NOME COGNOME , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE VICENZA , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME COGNOME NOME
Oggetto: Lavoro pubblico
contrattualizzato
–
Demansionamento
–
Risarcimento danni
R.G.N. 25865/2020
Ud. 06/11/2024 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO MILANO n. 1133/2019 depositata il 29/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1133/2019, depositata in data 29 luglio 2019, la Corte d’appello di Milano, decidendo in sede di rinvio a seguito della sentenza di questa Corte n. 3048/2017, pubblicata in data 6 febbraio 2017, ha integralmente respinto le domande originariamente proposte da NOME COGNOME nei confronti della PROVINCIA DI VICENZA.
Come già sintetizzato nella precedente decisione di questa Corte, le parti avevano introdotto innanzi il Tribunale di Vicenza due distinti procedimenti.
Col primo, PROVINCIA DI VICENZA aveva proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da NOME COGNOME per il pagamento della somma di € 1.363,16 a titolo di compensi ex art. 18 della legge 109 del 1994, in relazione alla attività svolta dal COGNOME medesimo, già dirigente dell’ente opponente, per gli adeguamenti alla normativa per la prevenzione degli incendi eseguiti presso l’ITIS Rossi di Vicenza e per i lavori di ampliamento del Liceo Quadri della stessa città.
Con l’opposizione, la Provincia aveva proposto domanda riconvenzionale, con la quale aveva chiesto la condanna dell’opposto al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, deducendo che quest’ultimo si era dimesso in data 23 giugno 2004, con effetto
immediato, senza rispettare il termine di preavviso di cui all’art. 31 del CCNL applicabile.
Col secondo, NOME COGNOME aveva chiesto sia la condanna della PROVINCIA DI VICENZA al risarcimento dei danni per mobbing sia l’accertamento della sussistenza della giusta causa di dimissioni, con proprio diritto al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso ed il recupero di arretrati retributivi.
Riuniti i procedimenti, il Tribunale di Vicenza, dato atto del pagamento da parte della PROVINCIA DI VICENZA della somma oggetto del decreto ingiuntivo e dei compensi per rimborso spese e indennità di trasferta e per tredicesima mensilità – titoli quest’ultimi azionati dal COGNOME con il secondo ricorso -aveva:
-revocato il decreto ingiuntivo opposto;
-dichiarato inammissibili le ulteriori domande proposte dal COGNOME nella seconda causa, concernenti l’accertamento della illegittimità dei provvedimenti di modifica degli incarichi; l’accertamento dei comportamenti di mobbing fino al 25 giugno 2003; la condanna al pagamento di emolumenti risarcitori per perdite retributive e per danni non patrimoniali verificatisi fino al 25 giugno 2003 ad essi collegati; la domanda di risarcimento del danno riferito alla pretesa imposizione del servizio di reperibilità;
-condannato la PROVINCIA DI VICENZA al pagamento in favore del COGNOME della somma di € 5.300,00 a titolo di indennità sostitutiva di ferie;
-respinto le ulteriori domande proposte dal COGNOME e relative alla retribuzione di risultato per gli anni dal 2000 al 2002, all’indennità sostitutiva del preavviso e agli emolumenti
risarcitori per perdite retributive e danni non patrimoniali successivi al 25 giugno 2003;
-dichiarato il diritto della PROVINCIA DI VICENZA a trattenere la somma di € 10.953,46 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso.
Respinto dalla Corte d’appello di Venezia l’appello proposto da NOME COGNOME questa Corte, con la già citata sentenza n. 3048/2017, aveva accolto otto dei motivi di ricorso, tutti concernenti la giusta causa di dimissioni, cassando la decisione della Corte d’appello di Venezia, con rinvio alla Corte d’appello di Milano.
Questa Corte, infatti, aveva rilevato che la domanda di accertamento del diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso era stata proposta dal COGNOME in ragione di due distinti fatti costituitivi -giusta causa di dimissioni dovuta a comportamento mobbizzante del datore di lavoro ed applicazione dell’art. 4, CCNL 2002 -e che invece la decisione della Corte d’appello di Venezia aveva vagliato la domanda solo in relazione al secondo profilo e non anche con riferimento al primo.
La Corte territoriale, evidenziato che oggetto del giudizio di rinvio era la verifica della sussistenza della giusta causa di dimissioni ascrivibile a mobbing del datore di lavoro, ha tuttavia premesso che, alla luce della decisione di questa Corte, tale accertamento era limitato al periodo successivo al 25 giugno 2003, escludendo, quindi, la possibilità di esaminare ‘tutte le domande relative alla legittimità del conferimento degli incarichi dirigenziali e relative conseguenze economiche, anche in termi ni di risarcimento danni’ .
Delimitato in tal modo il giudizio ai comportamenti di mobbing collocati in data successiva al 25 giugno 2003, la Corte territoriale ha escluso la fondatezza della domanda in relazione ai singoli
comportamenti dedotti, in quanto non provati, giungendo quindi ad escludere la sussistenza di un mobbing e, pertanto, a negare la fondatezza delle pretese in ordine sia al risarcimento dei danni sia all’indennità sostitutiva del preavviso connessa a dimissioni per giusta causa.
La Corte territoriale, infine, ha disatteso anche la pretesa per compensi ex art. 18, Legge n. 109/1994, azionata in via monitoria, evidenziando che non vie era nelle conclusioni ‘alcuna domanda di condanna della somma predetta’ .
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorre ora NOME COGNOME
Resiste con controricorso la PROVINCIA DI VICENZA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Questa Corte deve osservare, preliminarmente, che il ricorso, pur non travalicando i limiti disegnati da Cass. Sez. U – Ordinanza n. 37552 del 30/11/2021, supera in ogni caso i limiti dimensionali fissati dal Protocollo d’intesa tra il Primo Presidente della Corte di Cassazione ed il Consiglio Nazionale Forense, senza che il diffondersi delle argomentazioni del ricorrente -sviluppate su 68 pagine -trovi concreta giustificazione nelle necessità di esposizione invocate invece dal ricorrente medesimo in premessa ed anzi dovendosi rilevare che l’eccessiva dilatazione delle difese appare essersi riverberata sull’organicità della stessa attività difensiva.
Prova ne è la constatazione che, nelle proprie premesse il ricorso dichiara di essere articolato in quattordici motivi ma che, in realtà la
sintesi dei motivi contenuta nelle prime pagine del ricorso elenca ben diciotto motivi con numerazione del tutto disorganica, mentre il corpo dell’atto illustra sempre con numerazione disorganica -venti motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. in relazione alla regolazione delle spese legali del primo grado di giudizio.
Il ricorrente censura la decisione della Corte ambrosiana, nella parte in cui la stessa lo ha condannato alla rifusione delle spese dell’intero giudizio, evidenziando che le spese del giudizio di prime cure erano state integralmente compensate e che tale statuizione non era stata fatta oggetto di gravame.
2.2. Il motivo è infondato.
Si deve, infatti, osservare che il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della pronuncia di secondo grado per motivi di merito (giudizio di rinvio proprio) non è destinato a confermare o riformare la sentenza di primo grado ma integra, piuttosto, una nuova ed autonoma fase che, pur soggetta, per ragioni di rito, alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo o secondo grado, ha natura rescissoria (nei limiti posti dalla pronuncia rescindente) ed è funzionale all’emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 15143 del 31/05/2021), da ciò derivando che il giudice del rinvio poteva procedere ad una regolamentazione delle spese dell’intero giudizio .
3.1. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.
Argomenta il ricorso che in ogni caso la statuizione di condanna alla rifusione delle spese del giudizio di primo grado adottata dal
giudice del rinvio si porrebbe in contrasto con gli artt. 91 e 92 c.p.c., essendo il ricorrente comunque risultato parzialmente vittorioso nel giudizio.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Come da questa Corte reiteratamente affermato, la facoltà di disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11329 del 26/04/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 19613 del 04/08/2017)
4.1. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. in relazione alla regolazione delle spese legali del secondo grado di giudizio.
La censura investe la liquidazione delle spese del grado di appello, deducendo il ricorrente che poiché la liquidazione di tali spese avvenuta nel primo giudizio di appello non era stata oggetto di specifica impugnazione, sarebbe rimasta preclusa nel giudizio di rinvio la possibilità di procedere ad una nuova determinazione delle stesse.
4.2. Il motivo è infondato.
Infatti, il principio, fissato dall’art. 336, primo comma, cod. proc. civ., secondo il quale la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti da quella cassata (cosiddetto effetto espansivo) comporta che la caducazione, in sede di legittimità, della pronuncia impugnata si estende alla statuizione relativa alle spese
processuali, con necessità della rinnovazione della relativa statuizione all’esito della lite (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 10615 del 04/07/2003).
Pertanto, la decisione impugnata si è conformata al principio per cui il giudice del rinvio è tenuto a rinnovare totalmente la regolamentazione delle spese del giudizio di appello, anche in caso di cassazione parziale della sentenza, in quanto l’annullamento, seppur limitato ad un solo capo di essa, si estende alla statuizione relativa alle spese processuali (Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 3798 del 07/02/2022).
5.1. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello condannato il ricorrente alla rifusione delle spese di tutti i gradi del giudizio nonostante la controricorrente non avesse formulato domanda in tal senso, chiedendo la rifusione delle spese del solo giudizio di rinvio e la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
5.2. Il motivo è infondato.
Fermo il principio generale per cui la liquidazione delle spese del giudizio deve essere operata alla luce dell’esito complessivo del giudizio medesimo (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 23769 del 04/09/2024; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 23639 del 03/09/2024), non potendosi operare una scissione in relazione ai singoli gradi, se non in relazione alla mera quantificazione, si deve richiamare ulteriormente il principio per cui la condanna al pagamento delle spese del giudizio rappresenta la naturale conseguenza prevista dalla legge a seguito della decisione sulle domande proposte, dovendo pertanto il giudice procedervi, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., anche in mancanza di una esplicita richiesta della parte vittoriosa (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 30729 del 19/10/2022).
È ben vero che questa Corte ha anche puntualizzato che la condanna al pagamento delle spese del giudizio, in quanto consequenziale ed accessoria, può essere legittimamente emessa a carico del soccombente anche d’ufficio, in mancanza di un’esplicita richiesta della parte vittoriosa, sempreché quest’ultima non abbia manifestato espressa volontà contraria (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 2719 del 11/02/2015), ma si deve osservare che correttamente la decisione impugnata ha ignorato, negando loro valenza alcuna, le conclusioni rassegnate dall ‘odierna controricorrente concernenti la compensazione delle spese di legittimità, dal momento che tale vaga indicazione in alcun modo poteva intendersi come riferita alle spese de ll’intero giudizio, proprio perché la regolamentazione delle spese concerne il giudizio nel suo complesso, rendendosi quindi necessaria una inequivoca volontà della parte di rinunciare all’insieme delle spese di lite.
6.1. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. ‘in relazione alla mancata considerazione dei comportamenti mobbizzanti anteriori al 25/6/2003’ .
Il ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto che tutti i motivi di ricorso relativi al mancato riconoscimento del risarcimento del danno da mobbing relativamente al periodo anteriore al 25 giugno 2003 fossero assorbiti nei limiti del giudicato dichiarato dalla precedente decisione della Corte di appello.
Deduce in contrario l’assenza di un giudicato in merito alla legittimità delle condotte poste in essere anteriormente al 25 giugno 2003, sussistendo tale giudicato solo in relazione alla pretesa di risarcimento dei danni in relazione a tali condotte, in quanto oggetto di separato giudizio, ferma restando, tuttavia, la necessità di esaminare
le condotte mobbizzanti ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa delle dimissioni.
In sintesi, quindi, la Corte di Appello di Milano avrebbe erroneamente respinto le domande del ricorrente in quanto avrebbe erroneamente ritenuto che la valutazione della sussistenza della giusta causa del recesso dovesse essere operata con riferimento ai soli comportamenti posteriori al 25 giugno 2003, omettendo di valutare quelli anteriori.
6.2. Il motivo è infondato.
L ‘esclusione integrale della valutazione delle condotte mobbizzanti anteriori al 25 giugno 2003, infatti, è stata oggetto di specifica indicazione da parte della precedente decisione di questa Corte, nel momento in cui la stessa ha dichiarato i restanti motivi di ricorso ‘che riguardano l’impugnazione della statuizione relativa al mancato riconoscimento del risarcimento del danno da mobbing’ assorbiti, ‘nei limiti del giudicato dichiarato dalla Corte d’Appello, la cui statuizione non ha formato oggetto di s pecifica impugnazione’ .
Tale indicazione, del resto, è scaturita dalla constatazione dell’assenza di impugnazione della decisione della Corte d’appello di Venezia, nella parte in cui quest’ultima, a propria volta, aveva rilevato il passaggio in giudicato della decisione del giudice di prime cure nella parte in cui quest’ultima aveva dichia rato inammissibile la domanda di risarcimento danni per mobbing in relazione al periodo anteriore al 25 giugno 2003 ‘in quanto oggetto di altro giudizio definito in ordine al quale il Tribunale s i pronunciava con la sentenza n. 307 del 2006’ .
Né può sostenersi, come fa invece il ricorrente, che tale statuizione concernesse la sola domanda risarcitoria per mobbing ma non la valutazione in sé delle condotte come mobbing – e quindi la loro valorizzazione ai fini della giusta causa di recesso -e ciò in quanto la
stessa sintesi del dispositivo della sentenza di primo grado operata al punto 61 delle premesse del ricorso ( ‘dichiarava l’inammissibilità delle domande proposte dall’arch. Facci nella causa riunita n. 802/05 R.G. di accertamento della illegittimità dei provvedimenti di modifica degli incarichi e di accertamento del comportamento cd mobbizzante imputato alla Provincia di Vicenza fino al 25.6.2003 e delle domande di condanna al pagamento di emolumenti risarcitori per perdite retributive e danni non patrimoniali verificatisi sino al 25.6.2003 ad essi collegati’ ), evidenzia che la declaratoria di inammissibilità investiva non solo la domanda di danni ma anche la domanda di accertamento del mobbing che ne costituiva presupposto.
Correttamente, quindi, la Corte d’appello, in sede di rinvio, ha omesso di esaminare una domanda già dichiarata interamente -e non solo parzialmente -inammissibile con statuizione ormai coperta dal giudicato.
7.1. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. ‘in relazione alla mancata considerazione del giudicato esterno contenuto nella sentenza della cassazione n. 2972 del 3.2.2017 e della sua efficacia riflessa nel presente giudizio’.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la decisione impugnata avrebbe violato il giudicato esterno formatosi sulla illegittimità della revoca anticipata dell’incarico di Capo Settore edilizia contenuto nella precedente decisione di questa Corte n. 2972/2017, in quanto tale decisione avrebbe ‘una indubbia efficacia riflessa nel giudizio volto all’accertamento della natura mobbizzante del comportamento posto in essere dalla Provincia, attesa l’identità delle parti dei due giudizi e dell’insieme delle circostanze di fatto che il ricorrente pone a base della propria richiesta’ .
7.2. Il motivo è infondato.
Osserva questa Corte che nella propria precedente decisione n. 2972/2017 -che ha cassato la sentenza della Corte d’appello di Venezia ma non ha deciso nel merito -non è stata accertata direttamente la nullità del provvedimento di revoca, essendosi questa Corte limitata ad enunciare i principi che dovevano regolare la revoca m edesima, cassando la precedente decisione della Corte d’appello per aver deciso in modo difforme rispetto a detti principi ed essendo, semmai, compito del giudice di rinvio, e cioè la Corte d’appello di Milano, quello di dare -come in sostanza è avvenuto -concreta applicazione ai principi medesimi, regolando il merito della controversia.
In secondo luogo, si deve rilevare che il motivo viene a sovrapporre due profili che invece necessitano di essere tenuti attentamente distinti, in quanto la illegittimità della revoca non comportava per ciò stesso la sua valorizzazione come condotta mobbizzante -più complessi essendo i presupposti di tale fattispecie -risultando, conseguentemente, l’accertamento rimesso al giudice di rinvio del tutto autonomo e non vincolato da alcun giudicato.
8.1. Con il settimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 2087 e 2697 c.c.; 3, D. Lgs. N. 626/1994; 112, 116, 420, 359 e 437 c.p.c. in relazione al mancato accoglimento del decimo motivo del ricorso in riassunzione.
8.2. Il motivo è inammissibile.
Il motivo, invero, pur nella sua diffusa esposizione, viene a sostanziarsi nel censurare la decisione impugnata per aver disatteso il motivo di ricorso in riassunzione con affermazione ‘ non corretta in fatto’ e senza considerare la precedente decisione di questa Corte n. 2972/2017.
Tali essendo i caratteri sostanziali del motivo di ricorso, l’inammissibilità del medesimo discende, a tacer d’altro, da un lato, dall’implicito riconoscimento che lo stesso opera in ordine all’esistenza di una decisione (di rigetto) della Corte d’appello, così smentendo la tesi di una omessa statuizione e, dall’altro lato , dal suo sostanziarsi nella deduzione non di un effettivo error in procedendo ma in una mera -ed in gran parte apodittica -critica al merito della decisione, ferma restando -come si è argomentato in relazione al sesto motivo -l’assenza di alcun vincolo di giudicato derivante dalla decisione di questa Corte n. 2972/2017.
9.1. Con l’ottavo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c., nonché ‘omessa valutazione dei documenti’ .
Il motivo censura la decisione impugnata nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto non provata la condotta di sistematico blocco dei provvedimenti adottati dal medesimo ricorrente, rilevando una carenza di fondo nella stessa indicazione dei provvedimenti in questione.
Argomenta in contrario di avere dedotto sin dal ricorso di primo grado il blocco sistematico dei decreti e dei provvedimenti proposti, allegando i relativi documenti.
Deduce, quindi, che la decisione impugnata avrebbe violato gli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c. ‘in quanto non ha ottemperato al suo obbligo di verificare se la documentazione prodotta dal ricorrente avallasse la sua tesi, incorrendo in un vizio di omesso esame di documenti e delle circostanze di fatto che, se esaminati e vagliati, avrebbero fornito la prova del comportamento mobbizzante posto in essere dalla Provincia e dei danni arrecati al ricorrente (…)’ .
9.2. Il motivo è inammissibile.
Avendo la Corte territoriale disatteso il gravame del ricorrente sul punto rilevando una inadeguata allegazione degli episodi di blocco dei provvedimenti, sarebbe stato onere del ricorrente -sempre nel rispetto del principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. procedere ad una specifica individuazione degli atti nel cui ambito era stata invece operata una puntuale indicazione degli episodi denunciati.
A tale onere, invece, il ricorrente si è sottratto, limitandosi a riprodurre un minimo -e generico -passaggio del ricorso originario, procedendo poi ad una elencazione dei documenti versati in atti i quali non potevano costituire allegazione ma, semmai, mera prova di fatti necessitanti di previa individuazione.
10.1. Con il nono motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 61, 62, 134, 257, 210, 213, 421 e 437 c.p.c. ‘per mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio’ ; 2727, 2697 e 2729 c.c.; 24 e 111 Cost.; 6 CEDU ‘e del principio di riferibili tà o vicinanza o disponibilità della prova’ .
Il ricorso censura la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui ha respinto le domande attoree per mancanza della prova del comportamento persecutorio in stridente violazione degli artt. 24 e 111 della Cost. e dell’art. 6 della CEDU ‘in quanto la ripartizione dell’onere della prova è ispirato al principio della riferibilità, vicinanza o disponibilità della prova, che imponeva alla Corte di ammettere le istanze istruttorie anche di esibizione dei provvedimenti di liquidazione della produttività emesse dalla Provincia a favore dei responsabili del settore edilizia e di CTU contabile formulate dal ricorrente ed eventualmente avvalersi del potere istruttorio d’ufficio (…)’ .
10.2. Il motivo è inammissibile.
Lo stesso, in primo luogo, si limita a denunciare la violazione delle regole di ripartizione degli oneri probatori senza che, tuttavia, individui
il minimo passaggio della decisione impugnata dal quale sia dato evincere che la Corte territoriale è venuta ad operare una non corretta distribuzione degli oneri probatori.
In tal modo, si evidenzia che il motivo viene meramente a censurare la valutazione -anche della rilevanza – delle prove da parte del giudice di merito, dovendosi invece richiamare il principio per cui non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, n. 3), c.p.c. l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 640 del 14/01/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).
Si deve, in sostanza, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Ulteriormente, questa Corte deve rammentare il principio per cui il ricorrente che denunci in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito, deve riportare in ricorso gli
atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 22628 del 10/09/2019; Cass. Sez. L – Sentenza n. 25374 del 25/10/2017).
Per contro, nel caso in esame il motivo di ricorso risulta del tutto anodino e privo di qualsivoglia individuazione sia dei temi probatori che erano stati individuati come necessitanti di approfondimento sia dei concreti poteri istruttori che il giudice di merito avrebbe omesso di esercitare.
Quanto al richiamo -invero generico all’art. 6 CEDU ed al principio di vicinanza della prova, si osserva che questa Corte ha già chiarito che dall’art. 6 CEDU non può desumersi un obbligo incondizionato del giudice di dar corso all’assunzione di qualsivoglia mezzo istruttorio articolato dalla parte, in quanto la previsione della Convenzione EDU, pur garantendo il diritto ad un processo equo, non contiene alcuna disposizione riguardante il regime di ammissibilità delle prove o sul modo in cui esse dovrebbero essere valutate, trattandosi di questioni rimesse alla regolamentazione della legislazione nazionale, né preclude al giudice il vaglio di rilevanza ed ammissibilità dei singoli mezzi proposti dalla parte in conformità al principio di ragionevole durata del processo (Cass. Sez. 2 -Sentenza n. 16517 del 31/07/2020).
Sulla scorta di queste premesse si può qui aggiungere che dalla regola del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU non appare possibile desumere l’obbligo del giudice nell’ambito di un processo comunque
retto dal principio di disponibilità della prova -di procedere a generiche istruttorie inquisitorie sulla base di mere allegazioni generiche della parte, alla quale, invece, proprio nel rispetto della parità delle armi, può imporsi l’onere di indicazione sia degli elementi probatori di partenza sia dell’attività che può portare all’approfondimento delle piste probatorie in tal modo individuate.
Va, insomma, ribadito che il criterio di vicinanza della prova costituisce regola che guida una corretta interpretazione ed applicazione dell’art. 2697 c.c. ma non può in alcun modo essere inteso come scriteriata distribuzione degli oneri probatori tale da sollevare una parte da qualsivoglia onere di allegazione e prova, rovesciando tali oneri integralmente sull’altra parte.
11.1. Con il decimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sul quattordicesimo (o quindicesimo, stante la discrasia tra rubrica ed esposizione) motivo del ricorso in riassunzione concernente il diritto al risarcimento dei danni.
11.2. Il motivo è infondato.
Richiamato il principio per cui, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, il che non si verifica, in particolare, quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 11 settembre 2015, n. 17956), si deve osservare che, avendo la Corte territoriale escluso la sussistenza di condotte di mobbing nonché di altre condotte illegittime della controricorrente, risultava -per mera
necessità logica -esclusa la sussistenza di qualsiasi diritto al risarcimento dei danni che in quelle condotte trovavano invece il loro imprescindibile presupposto logico-giuridico.
12.1. Con l’undicesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 115, primo comma, e 416 c.p.c. per avere la Corte omesso di applicare il principio di non contestazione, nonostante le difese dell’odierna controricorrente nel giudizio di primo grado presentassero carattere generico, senza contestare analiticamente le allegazioni del ricorso.
12.2. Il motivo è inammissibile.
Vale, infatti, il principio per cui spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte, la quale, ex art. 115 c.p.c., produce l’effetto della relevatio ab onere probandi (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3680 del 07/02/2019), in quanto tale apprezzamento esige l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda e delle deduzioni delle parti da ciò derivando che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione risulta sindacabile in cassazione solo per solo per difetto assoluto o apparenza di motivazione o per manifesta illogicità della stessa (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019; Cass. Sez. L, Sentenza n. 10182 del 03/05/2007).
13.1. Devono ora essere esaminati unitariamente i motivi dodicesimo, quattordicesimo, sedicesimo, diciassettesimo e diciottesimo.
13.2. Con il dodicesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa
pronuncia sull’11° motivo del ricorso in riassunzione inerente la violazione degli artt. 23 e 39, CCNL dirigenti del 10 aprile 1996 e 21 e 19, D. Lgs. n. 165/2001.
13.3. Con il quattordicesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sul 12° motivo del ricorso in riassunzione, avente ad oggetto la violazione degli artt. 109, D. Lgs. n. 267/2000; 1175 e 1375 c.c.; 22 del CCNL dirigenza degli enti locali; 3, Legge n. 241/90; 19 e segg., D. Lgs. n. 165/2001 ‘nonché dalle regole di correttezza e buona fede e dai principi di buon andamento. trasparenza e imparzialità delle scelte effettuate dalla p.a.” .
13.4. Con il sedicesimo motivo (indicato con il numero romano XI) il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sul 6° motivo del ricorso in riassunzione, avente ad oggetto la ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119 del C.C. con collegato mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia e difetto di motivazione circa punto decisivo della controversia attinente alia valutazione in senso relativo della immediatezza del recesso e alia necessaria valutazione concreta e unitaria della situazione fattuale’ .
13.5. Con il diciassettesimo motivo (indicato con il numero romano XI) il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sul 7° motivo del ricorso in riassunzione, avente ad oggetto la ‘v iolazione degli artt. 36 e 38 della Costituzione, della L. 675/96 e D.L.VO n. 196/2003. omessa e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione agli artt. 2118, 2119 del cod.
civ. artt. 1362, 1363, 1366, 1368, 1369, 1371, 1374, 1375 del cod. civ.’ .
13.6. Con il diciottesimo motivo (indicato con il numero romano XII) il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’8° motivo del ricorso in riassunzione con il quale era denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, CCNL 12 febbraio 2002.
13.7. I motivi sono inammissibili per un duplice ordine di ragioni.
La prima ragione è costituita dal fatto che tutti i motivi di ricorso sono riferiti al mancato accoglimento di motivi articolati nell’ambito del ricorso in riassunzione innanzi alla Corte d’appello di Milano , senza che, tuttavia, il ricorrente medesimo venga a specificare -come invece il canone di specificità imponeva -se tali deduzioni facessero parte degli originari motivi di appello.
Nel caso di specie, invece, il ricorrente -che peraltro nel dodicesimo motivo di ricorso si duole del mancato accoglimento del motivo di ricorso in riassunzione che riproponeva il ventesimo motivo del ricorso in cassazione, laddove la sentenza di questa Corte n. 3048/2017 ha individuato quattordici motivi di ricorso -omette radicalmente di specificare se i suddetti motivi costituissero contenuto dell’originario gravame proposto innanzi alla Corte d’appello di Venezia , senza che, conseguentemente, risulti concretamente possibile per questa Corte verificare la coincidenza dei motivi di ricorso in riassunzione con quello dell’originario appello.
Si deve, allora, richiamare il principio per cui nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione differenti da quelli che erano stati formulati nel giudizio di appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e,
dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 24357 del 10/08/2023; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 5137 del 21/02/2019; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4096 del 21/02/2007), da ciò conseguendo che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare semmai il mancato accoglimento dei motivi di appello originariamente formulati innanzi alla Corte d’appello di Venezia, potendo fare riferimento ai motivi del ricorso in riassunzione unicamente come ripresa degli originari motivi di gravame.
Vi è solo da aggiungere che le carenze che affliggono i motivi precludono l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, in quanto detto potere presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma cfr. anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021), con la conseguenza che è necessariamente dall’ammissibilità del motivo di che ricorso discende l’esercizio di tale potere-dovere (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del 01/12/2020; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012).
La seconda ragione discende dai già richiamati principi in tema di omessa statuizione, dovendosi in realtà constatare che la Corte d’appello non ha omesso di statuire sulle domande del ricorrente ipotizzando per inconcessum che facessero parte dell’originario gravame -ma le ha implicitamente rigettate, una volta ritenuti insussistenti i fatti che ne erano presupposto e fondamento.
Questa Corte, infatti, ha reiteratamente chiarito che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla
soluzione del caso concreto, con la conseguenza che tale vizio non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 2151 del 29/01/2021; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018).
Occorre, infatti, considerare che è, invece, configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) quando la stessa risulti superata e travolta, benché non espressamente trattata, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza, con la conseguenza che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 12131 del 08/05/2023; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014).
14.1. Con il tredicesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 23 e 39, CCNL dirigenti del 10 aprile 1996 e 21 e 19, D. Lgs. n. 165/2001, per l’ipotesi in cui questa Corte, in relazione al precedente dodicesimo motivo, ravvisi un rigetto implicito.
14.2. Il motivo è inammissibile.
Lo stesso, invero, denuncia -letteralmente in tre righe – la violazione delle norme invocate -violazione ritenuta ‘evidente’ senza in alcun modo sviluppare le ragioni della doglianza.
Si deve, allora, rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
15.1. Con il quindicesimo motivo il ricorso deduce la violazione dell’art. 18, L. n. 109/1994.
Argomenta il ricorrente di avere in ogni caso diritto al pagamento delle somme che avrebbe percepito ex art. 18, Legge n. 109/94 in qualità di responsabile del settore edilizia e rivendicate sin dal ricorso di primo grado.
Specifica che tale richiesta è distinta da quanto rivendicato nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo in quanto quest’ultimo era riferito solo all’importo spettante per una delle varie attività di progettazione svolte dal ricorrente in qualità di responsabile del settore edilizia, laddove la domanda del cui mancato accoglimento viene a dolersi riguarderebbe ‘la produttività non percepita a causa della inefficace/invalida revoca dell’incarico ‘.
15.2. Il motivo è inammissibile.
Lo stesso, infatti, omette di confrontarsi con la ratio decidendi della decisione impugnata, la quale ha disatteso la pretesa del ricorrente rilevando l’assenza di una specifica domanda, mentre il complesso delle deduzioni contenute nel motivo si diffonde in argomentazioni sulla sussistenza stessa della pretesa, senza in alcun modo dedurre di avere invece formulato la relativa domanda.
16.1. Con il diciannovesimo motivo (indicato con il numero romano XIII) il ricorso deduce, testualmente, ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e dell’art. 111 Cost. (in relazione all’art. 360 cod. proc civ. n. 3) e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5). ‘.
Deduce il ricorrente il carattere meramente apparente della motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale, da un lato avrebbe omesso di esplicare le ragioni del rigetto dei motivi di impugnazione 6, 8, 10, 11, 12 e 14 del ricorso in riassunzione e,
dall’altro lato, avrebbe rigettato gli altri motivi di impugnazione ‘sulla scorta del generico ed apodittico richiamo alla mancanza di ‘prova”‘ .
16.2. Il motivo è infondato.
Questa Corte a Sezioni Unite ha definitivamente chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, e risultando invece esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) così come esula dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
Nessuna di dette carenze estreme risulta ravvisabile nella motivazione della decisione impugnata, la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo completo, univoco, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili, di talché risulta inevitabile constatare che, ancora una volta, le doglianze del ricorrente si sostanziano in una critica del merito della decisione.
17.1. Con il ventesimo motivo (indicato con il numero romano XIV) il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2779, 1218, 1223 e 2059 c.c.; 1 e 2 Cost.; 115 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di considerare c he ‘l’attribuzione dei nuovi incarichi inerenti i Servizi di Protezione civile e sicurezza 626 e il settore interventi ambientali, cosi come la revoca dell’incarico di Capo Settore Edilizia dell’area 4 – Lavori Pubblici, di cui questa Ill.ma Corte ha accertato l’invalidità, cosi come il demansionamento operato con conferimento di incarichi non dirigenziali e comunque inferiori a quelli precedentemente svolti è stato foriero di danni non solo per perdita della maggiore retribuzione di risultato e degli incentivi di cu i alla legge Merloni percepiti in qualità di dirigente del settore edilizia, ma anche alla professionalità e al bene immateriale dell’immagine e della dignità professionale del lavoratore (…)’ .
17.2. Il motivo è inammissibile.
È canone reiteratamente enunciato da questa Corte quello per cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nella specie, il motivo di ricorso si limita a riprodurre pedissequamente una serie di considerazioni in via di mero fatto già rappresentate al giudice di merito ma omette radicalmente di individuare con quali asserzioni in diritto la decisione impugnata avrebbe operato cattivo governo delle previsioni invocate nel motivo di ricorso medesimo.
A costo di ripetersi, allora, questa Corte deve ancora una volta richiamare il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti
(Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
18. Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
19. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 8.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 6 novembre 2024.
La Presidente NOME COGNOME