Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 29058 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 29058 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18810/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, quale erede di NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata è domiciliato per legge;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in proprio e nella qualità di mandataria della S.G.A. – SOCIETÀ PER LA GESTIONE DI ATTIVITÀ S.P.A. (ora RAGIONE_SOCIALE);
-intimate- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di NAPOLI n. 1118/2023 depositata il 13/03/2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2025 dal Consigliere COGNOME; udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Dott. NOME COGNOME, che, richiamate le conclusioni scritte, ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile e, comunque, infondato; accoglimento del udito il Difensore della ricorrente, che ha insistito nell ‘ ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato in data 2.4.2009, NOME COGNOME si opponeva, ex art. 615 c.p.c., all’esecuzione immobiliare, intrapresa nei suoi confronti dalla società RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale mandataria della società RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima quale cessionaria del credito vantato dal Banco di Napoli S.p.A., deducendo la carenza di legittimazione attiva del creditore procedente, l’estinzione della fideiussione ex art. 1955 c.c., in quanto il creditore aveva causato l’estinzione dell’obbligazione principale, privando il garante dei diritti di surroga o regresso, nonché l’inesistenza del credito azionato per sopravvenuto giudicato sulla carenza del diritto garantito.
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale mandataria della società RAGIONE_SOCIALE, contestando il fondamento dell’opposizione e chiedendone il rigetto.
Istruita la causa, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza n. 3602/2016, rigettava l’opposizione all’esecuzione forzata e la domanda di responsabilità aggravata ex art. 96, terzo comma, c.p.c. spiegata dall’opponente.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado interponevano appello NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella qualità di eredi di NOME NOME deceduto in data 20.9.2015, ponendo a fondamento dell’appello il <> e la <>.
Nella contumacia di RAGIONE_SOCIALE, si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, che instava per il rigetto dell’appello, contestandone la fondatezza.
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 4314/2018, pubblicata il 26.9.2018, dichiarava l’appello inammissibile, in quanto tardivo.
Avverso la sentenza della corte territoriale ricorrevano per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella dichiarata qualità di eredi di NOME COGNOME, sulla base di un unico motivo, con il quale prospettavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e seguenti della legge n. 69 del 2009, nonché degli artt. 327, 615 e 616 c.p.c., in quanto la corte partenopea aveva omesso di considerare che il giudizio di opposizione all’esecuzione era iniziato (non nell’ottobre 2010, ma, con la sua fase sommaria) nell’aprile 2009.
Questa Corte, con l’ordinanza n. 7610/2021, accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa alla corte territoriale, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, riassumevano il giudizio in sede di rinvio.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), nuova denominazione assunta dalla RAGIONE_SOCIALE, eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione, per difetto di prova, in capo alle appellanti, odierne ricorrenti, della qualità di eredi di COGNOME NOME, deceduto nelle more del giudizio di primo grado, e contestando, comunque, la fondatezza delle avverse doglianze.
RAGIONE_SOCIALE non si costituiva e veniva dichiarata contumace.
La Corte d’appello di Napoli, quale giudice di rinvio, con sentenza n. 1118/2023, rigettava l’impugnazione e condannava le appellanti, in
solido tra loro, alla rifusione, in favore di RAGIONE_SOCIALE, delle spese processuali; dichiarava non ripetibili, da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME, le spese del giudizio di legittimità; condannava le predette, sempre in solido tra di loro, al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, dell’importo di euro 17.179,00 a titolo di risarcimento del danno ex art. 96 co. 3 c.p.c.
Avverso la sentenza della corte di merito di rinvio ha proposto ricorso NOME COGNOME.
Nessuna difesa è stata svolta da parte intimata.
Per l’odierna udienza il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Il difensore della ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME articola in ricorso – senza ivi specificare le ragioni del mancato coinvolgimento dell’altra coerede dell’originario opponente – sei motivi. Precisamente la ricorrente:
con il primo motivo denuncia:<> nella parte in cui la corte di rinvio ha rigettato (p.3) il suo primo motivo di appello;
-con il secondo motivo denuncia <<violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. – Omessa pronuncia sul primo motivo di appello in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. – Violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e 324 c.p.c. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.- nella parte in cui la corte di merito (pp.17-19) avrebbe omesso di pronunciarsi sull'eccezione di difetto di titolarità del credito azionato in giudizio e difetto di procura o mandato gestorio in capo al creditore procedente ed avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il giudicato esterno rispetto al giudizio di
opposizione a precetto (definito con la sentenza n. 51/2012 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, confermata dalla sentenza n. 4315/2015 della Corte d'appello di Napoli);
con il terzo motivo la ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte di rinvio ha respinto (pp. 20-22) il secondo motivo del suo atto di appello;
con il quarto motivo la ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte di rinvio ha dichiarato inammissibile (pp. 22-23) il secondo motivo del suo atto appello, nonché nella parte in cui ha dichiarato inammissibile (pp. 2325) il motivo di appello afferente al rilevato contrasto di giudicati;
col quinto motivo denuncia: <> nella parte in cui la corte di rinvio (pp- 25-27) ha accolto la domanda di risarcimento danni proposta dall’appellata ed ha condannato l’appellante per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.;
con il sesto motivo denuncia: <> nella parte in cui la corte di rinvio non avrebbe considerato che: a) la sentenza di primo grado n. 3602/2016 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva rigettato la domanda di responsabilità aggravata proposta dalla società opposta RAGIONE_SOCIALE per difetto di prova; b) detto capo di sentenza non era stato impugnato dalla società RAGIONE_SOCIALE; c) nel giudizio di legittimità, da
essa introdotto avverso la sentenza n. 4314/2018, poi cassata con rinvio con ordinanza n. 7610/2021 resa da questa Corte, la società RAGIONE_SOCIALE non si era costituiva affatto.
Dei motivi sopra indicati è superflua l’illustrazione, poiché il ricorso è inammissibile sotto il duplice profilo del mancato rispetto del principio di chiarezza e della mancanza di una adeguata, ancorché sintetica, esposizione del fatto processuale.
2.1. Com’è noto, infatti, l’art. 366 c.p.c., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di ‘forma-contenuto’ dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio ‘modello legale’ del ricorso per cassazione, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso.
In particolare, il requisito della esposizione sommaria dei fatti ed il requisito della specifica indicazione degli atti richiamati, prescritti a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, primo comma n. 3 e n. 6, c.p.c. (sia nel testo anteriore alla riforma di cui al d.lgs. 149/2022, sia in quello, qui applicabile ratione temporis ), essendo considerati dalla norma come specifici requisiti di contenutoforma del ricorso, devono consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia, del fatto processuale e del contenuto degli atti richiamati, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. un. n. 11653 del 2006, con statuizione che ben si attaglia anche al testo della norma oggi vigente).
La prescrizione di detti requisiti risponde ad una esigenza (non di mero formalismo, ma) di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Sez. Un. n. 2602 del 2003).
Stante tale funzione, per soddisfare i requisiti imposti dall’articolo 366 comma primo n. 3 e n. 6 c.p.c., è necessario che il ricorso per cassazione contenga, oltre alla specifica indicazione del contenuto e della localizzazione degli atti richiamati, l’indicazione, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, ma sommario, delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni.
Tale indirizzo deve ritenersi a più forte ragione applicabile con riguardo alla nuova formulazione dell’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c., che ha previsto in maniera ancor più stringente il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione costituito dalla <>.
Nella specie, il ricorso, nell’esposizione del fatto e nell’indicazione degli atti richiamati, non rispetta tali contenuti (e nemmeno la lettura della parte successiva, illustrativa delle doglianze, rimedia alla carenza, di per sé oltretutto inemendabile – come da consolidata giurisprudenza di legittimità – con alcun atto successivo), in quanto parte ricorrente, oltre a riferire in maniera tortuosa la vicenda processuale, in relazione al giudizio di rinvio, si limita a riferire che:
<>.
2.2. Occorre aggiungere che le Sezioni Unite hanno di recente affermato (cfr. SU n. 37552/2021): «Il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità
espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.».
Nella specie, i fatti del giudizio di rinvio non soltanto non vengono chiaramente, ma neppure sinteticamente esposti dalla ricorrente.
Tale tecnica redazionale non è compatibile con i principi esposti che definiscono le modalità di introduzione del giudizio di legittimità sulla base del disposto dell’articolo 366 c.p.c. come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte.
In relazione a tali principi questa Corte ha già avuto modo di affermare, con la sentenza n. 17698/14, che il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza espositiva espone il ricorrente per cassazione al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, in quanto esso collide con l’obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo, tendente ad una decisione di merito, al duplice fine di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, comma secondo, Cost. e in coerenza con l’art. 6 CEDU, nonché di evitare di gravare sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui.
In definitiva, occorre qui ribadire (cfr. tra le tante Cass. n. 8009/2019) che, in tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto
del dovere di chiarezza espositiva degli atti processuali (che, fissato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile) espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione ogni qualvolta, come per l’appunto si verifica nel caso di specie, pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c., ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (Cass. n. 8425 del 2020).
D’altra parte, il principio di specificità del ricorso per cassazione, secondo cui il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia e il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa, dev’essere modulato, proprio in conformità alle indicazioni della sentenza C.E.D.U. del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dal richiamo essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare piuttosto che pregiudicare lo scrutinio del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte in uno al diritto di accesso della parte a un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la sostanza (Cass., 14/03/2022, n. 8117).
Per le ragioni che precedono, il ricorso va, per ciò stesso, dichiarato inammissibile: e le rilevate carenze, investendone gli stessi presupposti, precludono l’esame delle questioni agitate coi motivi
originari e di quelle svolte nella memoria, in controdeduzione alle argomentazioni svolte dal PG nella rassegnata requisitoria scritta.
All ‘ inammissibilità del ricorso non consegue la condanna alle spese della ricorrente, non avendo la controparte svolto difese, ma consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell ‘ importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della ricorrente al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2025, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME