Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25397 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25397 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sui ricorsi iscritti al n. 25796/2022 e al n. 15706/2024 proposti da: NOME COGNOME difeso in proprio, con domicilio digitale ex lege ; – ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio digitale, ex lege ;
– controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE DI MACERATA, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
contro
ricorrente –
avverso la sentenza n. 1187/2022 della CORTE D’APPELLO DI ANCONA depositata in data 23/9/2022, nonché avverso la sentenza n. 838/2024 della CORTE D’APPELLO DI ANCONA depositata in data 29/5/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 23/9/2022, la Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per la condanna di NOME COGNOME e della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata al risarcimento dei danni asseritamente subiti dall’a ttore in conseguenza della calunnia di cui i convenuti si sarebbero resi responsabili nel denunciare il COGNOME del reato di diffamazione alle autorità competenti;
tale diffamazione sarebbe nella specie consistita nell’affermazione propalata dal COGNOME (e recepita anche da organi di stampa) secondo cui il COGNOME e la Fondazione convenuta (presieduta dallo stesso COGNOME) avrebbero intenzionalmente provocato il dissesto della Banca delle Marche (di cui la Fondazione costituiva il primo azionista) allo scopo di colpire i gruppi imprenditoriali finanziariamente sostenuti da detta banca, tra i quali il gruppo COGNOME del quale il COGNOME era socio e fideiussore;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale -premessa l’erroneità della decisione del primo giudice, nella parte in cui aveva disatteso la domanda risarcitoria del Camiciola sulla base di ragioni d’indole rituale -ha evidenziato come l’at tore non avesse fornito alcuna dimostrazione dell’indispensabile requisito soggettivo della calunnia ascritta alle controparti, non avendo fornito la prova
della specifica volontà del COGNOME e della Fondazione dallo stesso presieduta di denunciare il COGNOME alle autorità competenti nella piena consapevolezza della sua innocenza;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione (r.g.n. 25796/2022) sulla base di tre motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME e la Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata resistono ciascuno con un proprio controricorso;
avverso la medesima sentenza d’appello, NOME COGNOME ha altresì proposto ricorso per revocazione ex art. 395 n. 3 c.p.c. che la Corte d’appello di Ancona, con sentenza resa in data 29/5/2024, ha dichiarato inammissibile;
a fondamento della sentenza emessa in sede di revocazione, la corte territoriale ha rilevato come l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dal COGNOME ai sensi dell’art. 395 n. 3 c.p.c. discendesse dall’avvenuta formazione della documentazione offerta a sostegno della revocazione in epoca successiva alla scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica (benché prima del deposito della sentenza d’appello revocanda), con la conseguente mancata integrazione del necessario presupposto costituito (ai fini della proposizione della domanda di revocazione ex art. 395 n. 3 c.p.c.) dalla preesistenza , alla sentenza impugnata, del documento decisivo non potuto produrre in giudizio, a nulla valendo la circostanza che la sentenza impugnata per revocazione fosse stata pubblicata successivamente al rinvenimento del documento decisivo, dovendo piuttosto aversi riguardo alla data in cui, scaduti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, era preclusa ogni ulteriore attività delle parti;
in ogni caso, secondo la corte territoriale, l’impugnazione per revocazione ex art. 395 n. 3 c.p.c. doveva ritenersi comunque inammissibile, avuto riguardo al radicale difetto di decisività della documentazione prodotta;
avverso la sentenza del giudice della revocazione, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione (r.g.n. 15706/2024) sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME e la Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata resistono ciascuna con un proprio controricorso;
a seguito del deposito di memorie ad opera delle parti, con ordinanza interlocutoria n. 30184/2024 del 22/11/2024, la Terza Sezione Civile della Corte di cassazione ha disposto il rinvio del ricorso r.g.n. 25796/2022 a nuovo ruolo per la riunione dello stesso con il ricorso r.g.n. 15706/2024;
il Sostituto Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, invocando la dichiarazione di inammissibilità o, in subordine, il rigetto di entrambi i ricorsi;
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato ulteriori memorie in relazione a entrambi i ricorsi;
all’odierna adunanza, è stata disposta la riunione dei due ricorsi;
considerato che ,
dev’essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi proposti dal COGNOME (in conformità a quanto disposto dall’ordinanza interlocutoria n. 30184/2024 del 22/11/2024 emessa nel corso del presente giudizio), trovando nella specie applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale i ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità nonostante
si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione (Sez. L, Ordinanza n. 21315 del 06/07/2022, Rv. 665129 – 01), dovendo peraltro nella specie escludersi che la riunione valga a pregiudicare il rispetto del principio della ragionevole durata del processo (cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 18966 del 10/07/2024, Rv. 671721 – 01);
ciò posto, occorre procedere in primo luogo all’esame del ricorso proposto avverso la sentenza del giudizio di revocazione (ricorso r.g.n. 15706/2024), poiché, nel caso in cui i ricorsi per cassazione separatamente proposti contro la sentenza di merito resa in grado di appello e contro quella pronunciata dallo stesso giudice d’appello nel successivo giudizio di revocazione vengano riuniti, le questioni poste a oggetto del ricorso avverso la sentenza del giudizio di revocazione assumono carattere pregiudiziale (Sez. L, Sentenza n. 7568 del 01/04/2014, Rv. 630261 -01; Sez. 2, Sentenza n. 14442 del 29/05/2008 (Rv. 603863 – 01);
con il primo motivo del ricorso r.g.n. 15706/2024, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione di legge art. 399 c.p.c. -360 c.p.c. n. 3 – 171 c.p.c.- Violazione art. 189 c.p.c.», per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto legittima (seppure tardiva) la costituzione della controparte nel giudizio di revocazione in violazione degli artt. 399 e 171 c.p.c.;
sotto altro profilo, secondo il ricorrente, la corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 189 c.p.c. per aver ritenuto tardiva la produzione dei documenti offerti in sede di revocazione dal Camiciola,
nonostante detta produzione fosse avvenuta in epoca anteriore alla pubblicazione della sentenza revocanda;
con il secondo motivo del ricorso r.g.n. 15706/2024, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione di legge art. 360 c.p.c. n. 3-4 – motivazione apparente ed illogica (art. 360 n. 4)», per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente a fondamento della decisione impugnata sul ricorso per revocazione, avendo erroneamente ritenuto tardiva la produzione dei documenti offerti in sede di revocazione nonostante la riconosciuta preesistenza del relativo rinvenimento rispetto alla sentenza revocanda;
con il terzo motivo del ricorso r.g.n. 15706/2024, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione di legge art. 395 c.p.c. n. 3 -Motivazione incongrua, apparente, illogica (art. 360 n. 3-4) -Violazione artt. 115 -116 c.p.c.», per avere la corte territoriale illogicamente ritenuto priva di decisività la documentazione prodotta in sede di revocazione, attribuendone mera efficacia indiziaria in contrasto il relativo evidente e diretto valore dimostrativo in ordine al ruolo rivestito dal COGNOME nella gestione della Banca delle Marche;
con il quarto motivo del ricorso r.g.n. 15706/2024, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione art. 360 c.p.c. n. 4 -illogicità», per avere la corte territoriale erroneamente affermato l’idoneità della documentazione prodotta dal COGNOME a dimostrare la legittimità del proprio operato in relazione alla gestione della Banca delle Marche, in contrasto con le contrarie risultanze emerse dai fatti di causa;
il terzo e il quarto motivo sono inammissibili e tali da assorbire la rilevanza dei primi due motivi d’impugnazione ;
osserva il Collegio, come attraverso la proposizione del terzo e del quarto motivo, l’odierno ricorrente si sia limitato a contestare la
valutazione effettuata dal giudice a quo in ordine all’efficacia probatoria della documentazione prodotta in sede di revocazione dal Camiciola;
in particolare, la corte territoriale ha espressamente sottolineato come «i verbali delle dichiarazioni rese dai signori COGNOME e COGNOME imputati nel processo penale derivante dall’insolvenza della Banca delle Marche, non contengono elementi oggettivamente idonei a formare un diverso convincimento del giudice e perciò a condurre ad una decisione diversa da quella revocata: essi non riguardano circostanze di fatto risolutive che il giudice non abbia potuto esaminare (Cass. n.29385 del 2011), avuto riguardo alla ratio della sentenza impugnata, che ha rigettato la domanda risarcitoria per carenza dell’elemento soggettivo. Tali verbali, per loro stessa natura, non rivestono, ai fini della fattispecie revocatoria di cui all’art. 395, n. 3, cod. proc. civ., il requisito della decisività, essendo intrinsecamente inidonei, considerati i limiti insiti nelle dichiarazioni rese in altro procedimento che vanno liberamente valutate dal giudice, a costituire la prova di un determinato fatto (l’elemento soggettivo in capo ai resistenti) rappresentando piuttosto un mero mezzo di conoscenza di un fatto decisivo (cfr. al riguardo Cass. 27832 del 2011). A parte ogni valutazione sulla intrinseca attendibilità di dette dichiarazioni rese dagli imputati, nessuna delle circostanze riferite da costoro, in ordine alle scelte gestionali di Banca delle Marche nel periodo antecedente alla manifestazione della crisi ed alla valutazione delle relative cause, ha rilevanza decisiva al fine di provare in modo inequivoco che il COGNOME abbia accusato l’odierno ricorrente di diffamazione sapendolo innocente, ferma la valutazione già espressa nella sentenza di questa Corte che il COGNOME aveva specificamente confutato, attraverso la produzione di copiosa documentazione, l’addebito ascrittogli dal ricorrente (ed oggetto della querela per diffamazione) di essere
responsabile dell’insolvenza della Banca delle Marche ed aver ideato un piano per acquisirne il controllo. Si osserva al riguardo che il dott. COGNOME già presidente della Fondazione Carima, non risulta direttamente coinvolto nella gestione della banca, né in alcun procedimento civile o penale in relazione ad eventuali responsabilità per la crisi dell’istituto di credito; le articolate dichiarazioni degli imputati poste a fondamento del ricorso per revocazione, del resto, non sono idonee a confermare in modo diretto ed univoco la ricostruzione dell’avv. COGNOME che in buona sostanza imputa al COGNOME di aver provocato o aver concorso a determinare il commissariamento e la successiva messa in liquidazione cotta amministrativa della banca. Non è evidentemente questa la sede per una nuova valutazione delle risultanze istruttorie poste a fondamento della sentenza di questa Corte impugnata, né per la valutazione di eventuali errores in procedendo o in iudicando della medesima pronuncia (anche avuto riguardo alla mancata ammissione di prove asseritamente rilevanti), essendo a ciò deputato il ricorso per cassazione proposto dall’odierno ricorrente. Ed invero, i verbali di interrogatorio in oggetto offrono semplici elementi indiziari, non essendo per loro natura idonei ad integrare prova diretta della responsabilità del COGNOME. Ne consegue che, come già evidenziato, va ad essi negato il carattere di decisività, posto che le risultanze dei suddetti verbali sono al più utilizzabili nel concorso con altri dati (Cass.28389 del 2023), gran parte dei quali peraltro già valutati dai giudici di merito e non suscettibili in questa sede di ulteriore e diversa valutazione»;
a fronte di tali complessive valutazioni d’indole istruttoria del giudice della revocazione, l’odierno ricorrente risulta essersi limitato a prospettare e/o suggerire una diversa incidenza rappresentativa della documentazione prodotta, sostenendone la decisività (rilevante ex art.
395 n. 3 c.p.c.) sulla base di una lettura meramente soggettiva della relativa efficacia rappresentativa; e tanto, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte ai sensi del quale il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 331 del 13/01/2020, Rv. 656802 -01; Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709);
nella specie, la Corte d’appello ha espressamente evidenziato come dall’esame della documentazione prodotta dal COGNOME fosse emersa la sostanziale inidoneità rappresentativa degli elementi probatori offerti (unitamente a quelli già valutati nella sede di merito) a fornire un’adeguata dimostrazione dell’elemento soggettivo proprio del reato di calunnia in capo alle controparti, considerata la sostanziale e intrinseca inidoneità degli stessi a costituire strumento di conoscenza di detto elemento soggettivo;
si tratta di considerazioni che il giudice a quo ha elaborato, nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o
giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
l ‘inammissibilità del terzo e del quarto motivo giustificano l’assorbimento dei primi due motivi di natura rituale, atteso che, pur quando dovesse ritenersi errata la decisione del giudice della revocazione sulla ritualità della costituzione della controparte o sulla tardività della produzione documentale del Camiciola in sede di revocazione, la decisione definitiva non condurrebbe ad alcun diverso esito, avendo il giudice a quo in ogni caso rilevato il carattere comunque non decisivo della documentazione probatoria offerta;
con il primo motivo del ricorso r.g.n. 25796/2022, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione di legge per illogicità manifesta per travisamento di fatto e di diritto della vicenda – omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c. n. 3-5 -artt. 112- 113 c.p.c. -errore e falsa applicazione di norme di diritto», per avere la corte territoriale erroneamente fondato l’esclusione del dolo specifico di calunnia dei convenuti sulla base delle generiche considerazioni contenute nelle relazioni della Banca d’Italia e della Consob in ordine alle ragioni del default della Banca delle Marche, senza tener conto dell’insieme delle circostanze di fatto analiticamente richiamate in ricorso, complessivamente idonee a dar conto dell’effettiva volontà dei convenuti di provocare il dissesto della ridetta banca, con la conseguente dimostrazione della piena consapevolezza degli stessi dell’innocenza del COGNOME rispetto alla pretesa diffamazione allo stesso infondatamente ascritta;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, anche attraverso le censure critiche articolate con il presente motivo d’impugnazione, il ricorrente si sia inammissibilmente spinto a prospettare la rinnovazione, in questa sede
di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione;
varrà ancora una volta ribadire – in conformità a quanto già rilevato a proposito della decisione del ricorso proposto avverso la sentenza di revocazione della Corte d’appello di Ancona – come il ricorso per cassazione conferisca al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 331 del 13/01/2020, Rv. 656802 -01; Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709);
nella specie, la Corte d’appello di Ancona ha espressamente evidenziato come dall’esame delle relazioni rese dalla Banca d’Italia e dalla Consob, fossero emerse con sufficiente certezza e inequivocità le ragioni effettive del dissesto della Banca delle Marche dovute a circostanze obiettive d’indole tecnico-finanziaria e non già a una predeterminazione specifica dei responsabili della banca, derivando da tali premesse un decisivo conforto in relazione all’assunto della complessiva insufficienza degli elementi probatori acquisiti a dar conto della specifica volontà del COGNOME e della Fondazione dallo stesso presieduta, di denunciare il COGNOME alle autorità competenti nella piena consapevolezza della sua innocenza;
si tratta ancora una volta di valutazioni che il giudice d’appello ha condotto nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dai ricorrenti;
con il secondo motivo del ricorso r.g.n. 25796/2022, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti e respinti – vizio della sentenza sotto il profilo dell’omesso o insufficiente esame della relativa istanza -illogicità contraddittorietà della motivazione», per avere la corte territoriale illegittimamente ricusato l’ammissione dei mezzi istruttori offerti dall’attore allo scopo di fornire la prova della specifica volontà delle controparti di provocare il dissesto della Banca delle Marche al fine di colpire il gruppo RAGIONE_SOCIALE, pervenendo alla decisione di rigetto della domanda risarcitoria del RAGIONE_SOCIALE sulla base di elementi di prova del tutto irrilevanti a tal fine e in frontale contrasto con le risultanze dei fatti di causa secondo quanto puntualmente riportato in ricorso;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, secondo il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti (rifiuto che il giudice di merito non è tenuto a formalizzare in modo espresso e motivato, qualora l’inconcludenza dei mezzi istruttori invocati dalle parti possa implicitamente dedursi dal complesso della motivazione adottata: cfr. Sez. L, Sentenza n. 5742 del 25/05/1995, Rv. 492429 -01), il ricorrente ha l ‘ onere di dimostrare che con l’assunzione delle
prove richieste la decisione sarebbe stata diversa, in base a un giudizio di certezza e non di mera probabilità, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23194 del 04/10/2017, Rv. 645753 – 01);
nella specie, tale certezza in ordine alla prospettata diversità della decisione in caso di ammissione dei mezzi istruttori invocati dal ricorrente non risulta neppure argomentata (né del resto si evidenzia obiettivamente), sì che la censura in esame in altro non si risolve se non in una complessiva proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
con il terzo motivo del ricorso r.g.n. 25796/2022, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione di legge art. 360 c.p.c. n. 3-5 e illogicità manifesta nella ritenuta insussistenza del reato di calunnia», per avere la corte territoriale omesso di dettare una motivazione adeguata a sostegno della decisione assunta, muovendo illogicamente dal valore rappresentativo di elementi di prova (come le relazioni della Banca d’Italia e della Consob) in contrasto con le risultanze dei fatti di causa secondo quanto puntualmente riportato in ricorso;
il motivo è complessivamente infondato;
d ev’essere preliminarmente osservato come l’odierno ricorrente abbia inammissibilmente argomentato il carattere illogico della motivazione (e, quindi, sostanzialmente, la violazione della norma di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c.) attraverso il confronto della congruità della motivazione censurata con elementi tratti aliunde rispetto al solo testo elaborato dalla corte territoriale, in tal modo ponendosi in contrasto con i criteri sul punto indicati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai limiti di rilevabilità del carattere illogico o apparente della
motivazione (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01; Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833 01);
varrà in ogni caso considerare come, nel caso di specie, la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la corte d’appello dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili alle fonti di prova esaminate e del grado della relativa attendibilità sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;
l ‘ iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso r.g.n. 15706/2024 e, rilevatane la complessiva infondatezza, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso r.g.n. 25796/2022;
le spese relative ai due ricorsi riuniti seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i due ricorsi, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso r.g.n. 15706/2024 e rigetta il ricorso r.g.n. 25796/2022; condanna NOME COGNOME al rimborso, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese relative a entrambi i giudizi di legittimità, liquidate, per ciascun controricorrente, in complessivi euro 5.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i due ricorsi, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 26 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME