Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 63 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 63 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15014/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso ORDINANZA di TRIBUNALE PIACENZA n. 617/2023 depositata il 29/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Piacenza rigettava il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. proposto avverso ordinanza ex art. 703 c.p.c. con la quale era stata disposta la reintegrazione di NOME COGNOME nel possesso, pieno ed esclusivo, dell’immobile di sua proprietà sito in Piacenza, INDIRIZZO ed era stata ordinato a NOME NOME l’immediata cessazione dello spoglio ed il rilascio immediato dell’immob ile.
Il primo motivo di reclamo era infondato perché la notifica si era validamente perfezionata ex art. 143 c.p.c. in data 01/12/2022, al momento del deposito presso la Casa Comunale avendo l’uffici ale giudiziario svolto adeguate indagini in relazione alla irreperibilità di fatto non temporanea.
Quanto al merito secondo il Collegio lo spoglio era configurabile in quanto l’occupante non aveva un valido titolo negoziale e il proprietario, nonno dell’occupante aveva già intimato al nipote di liberare l’immobile come risultava in un provvedimento del Comune (per il diniego del cambio di residenza), circostanza che rendeva plausibile e verosimile che quest’ultimo fosse ospitato a mero titolo di cortesia.
Inoltre, sussisteva lo spoglio per aver escluso il nonno dal possesso di alcune stanze dell’immobile avendo cambiato la serratura di una porta interna dell’abitazione , impedendogli di fatto di accedere ad una parte della casa e per aver cambiato senza consenso la serratura del portone di ingresso principale e per aver richiesto la residenza presso quell’immobile, senza il preventivo consenso del nonno. Tali circostanze peraltro non contestate trovavano riscontro nella denuncia querela presentata da NOME
COGNOME contro il nipote in data 26/10/2022, nonché nella preventiva diffida a rilasciare l’immobile inviata a fine settembre 2022. In conclusione, era provato tanto il possesso preventivo dell’immobile in capo a NOME COGNOME quanto le molestie compiute dal nipote a partire dal settembre 2022, e pertanto la domanda spiegata ex art. 703 c.p.c. era fondata.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto provvedimento.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
A seguito di tale comunicazione, la parte ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
6 . È stata fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
7 . In prossimità dell’odierna udienza entrambe le parti hanno depositato memoria, insistendo nelle rispettive richieste
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione o falsa applicazione de ll’art. 143 , terzo comma, c.p.c.
Il ricorrente premette di essere consapevole che la Corte di cassazione ritiene inammissibile l’impugnazione ex art. 111 cost. dell’ordinanza adottata all’esito di procedura di reclamo ex art. 669 -terdecies c.p.c., perché il provvedimento cautelare ha efficacia temporanea, in quanto condizionata all’instaurazione ed all’esito del giudizio di merito. Tuttavia, nel caso di specie, la doglianza del
ricorrente riguarda un evidente errore nell’applicazione di una norma procedurale nell’ambito della fase cautelare, del quale non teneva conto il Tribunale collegiale in sede di reclamo che, in quanto tale, esula dal successivo giudizio di merito.
L’odierno ricorrente, quindi, non disporrebbe di rimedio processuale diverso dal ricorso straordinario per cassazione per ottenere l’accoglimento della censura, posto che l’errore di diritto oggetto della presente impugnazione non potrebbe essere eccepito nella fase di merito.
La doglianza attiene alla notifica del ricorso introduttivo della fase cautelare, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., anziché nelle forme previste dall’art. 140 c.p.c., dato che il Sig. COGNOME NOME risultava regolarmente residente in Podenzano (Pc), INDIRIZZO San Polo, INDIRIZZO fin dal 14.12.1999, come risulta dal certificato di residenza prodotto in atti.
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. è di inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso per le seguenti ragioni: Secondo il costante orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso l’ordinanza pronunciata in sede di reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., trattandosi di ordinanza priva del carattere della decisorietà, per essere sempre in facoltà delle parti l’introduzione del giudizio di merito (cfr. ex plurimis Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 25411 del 10/10/2019; Rv. 655372; Cass., Sez. L., Ordinanza n. 41475 del 24/12/2021, Rv. 663369; Sez. 6-2, Ordinanza n. 3629 del 17/02/2014, Rv. 629431; Sez. 6-2, Ordinanza n. 17211 del 21/07/2010, Rv. 614616). Non assume in proposito rilievo la circostanza dedotta dal ricorrente,
secondo cui egli ‘non disporrebbe di rimedio processuale diverso dal ricorso straordinario per cassazione per ottenere l’accoglimento della censura, posto che l’errore di diritto oggetto della presente impugnazione (ovvero la dedotta violazione dell’art. 1 43 c.p.c. in cui sarebbe incorso il Tribunale collegiale, ndr.) non potrebbe essere eccepito nella fase di merito’ (così a pag. 4 di ricorso): infatti ‘E’ inammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., avverso l’ordinanza resa in sede di reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c., ancorché affetta da inesistenza, nullità o abnormità, senza che ciò si ponga in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., trattandosi di provvedimento inidoneo a incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale e ininfluente nel successivo giudizio di merito, o con l’art. 6 Cedu, essendo comunque garantita una duplice fase di tutela davanti a un’istanza nazionale’ (cfr. Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 12229 del 18/05/2018 (Rv. 648537).
Il ricorrente, con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso .
Il Collegio evidenzia che parte ricorrente, con il ricorso e con la successiva memoria, non ha offerto alcun valido argomento per superare la giurisprudenza consolidata citata nella proposta secondo cui non è ammesso il ricorso per cassazione avverso la decisione sul reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c..
In tali casi, quando il ricorso per cassazione non offra elementi tali da giustificare una modifica della giurisprudenza di legittimità, deve procedersi con una pronuncia in rito e non nel merito ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c.
La norma da ultimo citata, infatti, nell’evocare un presupposto processuale, ha introdotto una griglia valutativa di ammissibilità, in luogo di quella anteriore costituita dal quesito di diritto. È stato, inoltre, chiarito, che la condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nell’art. 360 bis n. 1 cod. proc. civ., introdotta dall’art. 47 della legge 69 del 2009, non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, e laddove non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda (Sez. 6 – 3, n. 3142 del 2011). Dunque, deve procedersi in tal senso ogni qualvolta gli argomenti offerti dal ricorrente non siano tali da determinare un superamento d ell’orientamento consolidato. La funzione di filtro, infatti, consiste in ciò, che la Corte è esonerata -ex art. 360 bis – dall’esprimere compiutamente la sua adesione alla soluzione interpretativa accolta dall’orientamento giurisprudenziale precedente (Sez. U. sent. n. 7155 del 2017).
Nel caso in esame non vi sono ragioni per discostarsi dall’orientamento consolidato circa l a non impugnabilità ex art. 360, ultimo comma, c.p.c. e art. 111 Cost. dell’ordinanza che decide sul reclamo cautelare. Il Collegio reputa opportuno, comunque, ripercorrere le argomentazioni che lo hanno determinato.
In primo luogo, deve richiamarsi il principio di diritto secondo cui: È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso l’ordinanza sul reclamo nel procedimento possessorio a struttura eventualmente bifasica, delineata dall’art. 703 cod. proc. civ., come modificato dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in legge 14 maggio 2005, n. 80, atteso che, in caso di prosecuzione del giudizio di
merito, l’ordinanza rimane assorbita nella sentenza, unico provvedimento decisorio, mentre, in caso contrario, l’ordinanza stessa acquista una stabilità puramente endoprocessuale, inidonea al giudicato, o determina una preclusione “pro iudicato” da estinzione del giudizio (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 3629 del 17/02/2014, Rv. 629431, conf. Sez. 2, Sentenza n. 102 del 2017 non massimata e Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 1501 del 22/01/2018 Rv. 647381).
In tali arresti si è già evidenziato che il procedimento possessorio instaurato con ricorso depositato in data successiva al 2005, “è soggetto all’art. 703 c.p.c., così come modificato dal D.L. n. 35 del 2005 convertito in L. n. 80 del 2005 ‘ . La struttura necessariamente bifasica del procedimento possessorio (affermata, com’è noto, dopo la novella di cui alla L. n. 353 del 1990 da Cass. S.U. n. 1984/98), è divenuta solo eventuale. L’art. 703 c.p.c., comma 4 infatti, rimette all’iniziativa di una delle parti, entro il termine perentorio di 60 gg. decorrente dalla comunicazione del provvedimento che conclude la fase sommaria diretta all’emissione del provvedimento interinale, la prosecuzione del giudizio per il c.d. merito possessorio con le forme della cognizione piena. Nel nuovo sistema, pertanto, la tutela possessoria può arrestarsi alla fase sommaria e all’ordinanza che la conclude, ovvero inoltrarsi fino alla sentenza di merito, a sua volta soggetta agli ordinari mezzi d’impugnazione.
Ciò posto, l’ordinanza emessa in sede di reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c., e art. 703 c.p.c., comma 3 in nessun caso può coniugare insieme i requisiti di definitività e decisorietà indispensabili affinché possa essere oggetto di ricorso per
cassazione. Infatti, delle due l’una: o tale ordinanza rimane assorbita nella sentenza emessa all’esito dell’eventuale fase di cognizione piena instaurata con la richiesta di prosecuzione del giudizio, ai sensi dell’art. 703, comma 4, c.p.c., fase definita con sentenza che costituisce, a sua volta, l’unico provvedimento decisorio sulla domanda; ovvero, in caso di mancata richiesta di prosecuzione del giudizio nel termine perentorio stabilito da quest’ultima norma, si pone un’ulteriore alternativa, che ugualmente esclude ogni ipotesi di ricorribilità per cassazione dell’ordinanza che provvede sul reclamo.
La prima soluzione ipotizzabile è che a tale ordinanza si riconosca una stabilità puramente endoprocessuale ed un’efficacia soltanto esecutiva, come avviene per le (pur ontologicamente diverse) misure cautelari, giacché applicandosi l’art. 669-octies c.p.c., u.c. (in base al rinvio all’art. 669-bis c.p.c. e segg.. in quanto compatibili: art. 703 c.p.c., comma 2), questa al pari di quelle è inidonea al giudicato è dunque, per definizione, non decisoria. La seconda ipotesi (non meno valida e come la precedente prospettata in dottrina) è che l’estinzione del giudizio possessorio per la mancata prosecuzione di esso ai sensi dell’art. 703, comma 4, c.p.c., determini una preclusione pro iudicato (al pari di altre situazioni simili, come quella della seconda ipotesi dell’art. 653, comma 1, c.p.c., operante non solo per il decreto ingiuntivo, ma anche per l’ordinanza ingiuntiva incidentale ex art. 186-ter c.p.c.). In tal caso, esclusa per incompatibilità l’applicazione dell’art. 669octies, u.c., c.p.c., la parte che non abbia raccolto la provocatio ad prosequendum contenuta nell’art. 703, comma 4, c.p.c., e, con essa, la possibilità di ottenere una sentenza sul merito possessorio,
pone in essere una condotta acquiescente che rende irretrattabile l’ordinanza possessoria, munendola di una stabilità (non meramente endoprocessuale, ma) esterna, parificabile a quella della sentenza passata in giudicato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno confermato l’orientamento indicato nella proposta affermando che: Nel sistema processuale delineatosi, in tema di procedimenti cautelari, a seguito delle modifiche di cui all’art. 2, comma 3, lett. e bis, del d.l. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, nella l. n. 80 del 2005, (così come nel precedente) contro i provvedimenti urgenti anticipatori degli effetti della sentenza di merito, emessi “ante causam” ai sensi dell’art. 700 c.p.c., non è proponibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto tali provvedimenti sono privi di stabilità e inidonei al giudicato, ancorché nessuna delle parti del procedimento cautelare abbia interesse ad iniziare l’azione di merito (Sez. U, Ordinanza n. 6039 del 28/02/2019, Rv. 652978 – 01).
D’altra parte, nell’ambito del procedimento cautelare uniforme, così come modificato dal d.l. n. 35 del 2005, conv. con modif. in l. n. 80 del 2005, il procedimento di nuova opera o di danno temuto introdotto ” ante causam “, al pari d’ogni altro diretto all’emissione di una misura cautelare di carattere anticipatorio, è esclusivamente monofasico e termina con il provvedimento, d’accoglimento o di rigetto, emesso dal giudice monocratico o dal collegio adito in sede di reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.; pertanto, il successivo giudizio di merito instaurato dalla parte che, nelle more, sia stata convenuta in un procedimento possessorio avente ad oggetto la medesima situazione giuridica,
non differendo in nulla da un comune processo dichiarativo instaurato a prescindere da una pregressa cautela, né potendo essere considerato quale seconda fase di un unico procedimento iniziato con la proposizione della domanda cautelare, soggiace all’improponibilità prevista dall’art. 705 c.p.c.. (Sez. 2, Ordinanza n. 18535 del 08/06/2022, Rv. 664990 – 01).
Il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, della ulteriore somma pari ad euro 3.500,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda