Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5785 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 5785  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9813/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del legale rappresentante p.t., elettivamente  domiciliato    in  INDIRIZZO,  presso  lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentat i e difesi dagli avvocati COGNOME NOMENOME COGNOME NOME;
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE,  in persona  del  legale  rappresentante  p.t.,  domiciliato  ex  lege  in ROMA,  INDIRIZZO  presso  la  CANCELLERIA  della  CORTE  di
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME;
-controricorrente-
Avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  CAGLIARI  SEZ.DIST. DI SASSARI n. 336/2021 depositata il 04/10/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Nuoro, con sentenza n. 37/2017, rigettava l’opposizione proposta dal RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto ingiuntivo n. 206/2007 emesso dal medesimo tribunale per la somma di euro 28.000 sul ricorso della RAGIONE_SOCIALE, nonché l’opposizione proposta verso il decreto ingiuntivo n. 279/2007 emesso dal Tribunale di Nuoro per la somma di euro 49.440,75 di cui alla promessa di pagamento sottoscritta dal legale rappresentante del RAGIONE_SOCIALE in data 30 giugno 2006 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
La decisione è stata riformata dalla Corte d’appello di Cagliari, con la sentenza n. 336/2020, depositata il 5 ottobre 2021 che in accoglimento delle richieste dell’appellante RAGIONE_SOCIALE revocava i due Decreti Ingiuntivi.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, RAGIONE_SOCIALE
3.1. Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con  il  primo  motivo  RAGIONE_SOCIALE  lamenta  l’erronea  e  falsa applicazione degli artt. 2735 e 1988 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Sostiene che la Corte di appello avrebbe erroneamente qualificato l’assegno bancario del 23.12.2004 e la dichiarazione di riconoscimento di debito del 30.06.2006, rilasciati dal legale rappresentante del RAGIONE_SOCIALE, come promesse di pagamento atipiche, aventi natura di confessioni stragiudiziali ex art. 2735 c.c., mentre si tratterebbe di una quietanza di comodo, data su richiesta dello stesso RAGIONE_SOCIALEche versava in difficoltà finanziarie al fine di favorire la cessione del contratto ad RAGIONE_SOCIALE‘ (cfr. p. 10, ricorso). Inoltre: (i) la loro corretta qualificazione come quietanze di comodo, consentirebbe di ammettere la prova contraria, ricavabile dal tenore delle stesse promesse, oltre che ‘dagli ulteriori elementi indiziari devoluti alla cognizione del giudice di merito’ (cfr. p. 9, ricorso); (ii) dette promesse si interporrebbero ‘quale prova del credito e della simulazione della quietanza medesima nella misura in cui trovano giustificazione proprio nel rapporto sottostante’, ossia un appalto per la realizzazione di una motonave (cfr. p. 12, ricorso).
Conclude  affermando  che  la  motivazione  sarebbe  ‘frutto  di  una erronea e falsa applicazione delle norme regolatrici nonché di una parimenti erronea valutazione delle prove documentali’ (cfr. p. 10, ricorso).
4.1. Con  il secondo motivo, parte ricorrente si duole della violazione  e  falsa  applicazione  degli  artt.  1414,  comma  3,  c.c.  e 2724 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Osserva che la decisione impugnata si porrebbe in contrasto pure con tali norme: (a) da un lato, ancora, per non aver correttamente
qualificato la quietanza apposta all’integrazione del contratto del 29.11.2004, nonché all’atto di cessione ad RAGIONE_SOCIALE, quale quietanza di comodo; (b) dall’altro lato, per aver erroneamente valutato il materiale probatorio in atti, dal momento che dimostrerebbe la simulazione della dichiarazione di avvenuto pagamento delle somme. Il riferimento è all’assegno bancario, alla dichiarazione di riconoscimento di debito, con data successiva al contratto di cessione, alla mancata contestazione, da parte del RAGIONE_SOCIALE, di tali documenti come promesse di pagamento atipiche, nonché alla denuncia presentata contro i legali rappresentanti dello stesso RAGIONE_SOCIALE, da RAGIONE_SOCIALE, alla Procura della Repubblica di Nuoro, per truffa, definita, in primo grado, con sentenza di prescrizione. Secondo il ricorrente, in tal modo, sarebbe stato offerto un principio di prova scritto della simulazione della quietanza e, quindi, del mancato pagamento delle somme ingiunte.
4.2. Con il terzo motivo, parte ricorrente, relativamente all’assegno bancario del 23.12.2004, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Osserva che tale titolo sarebbe la riprova dell’esistenza di un rapporto sottostante inter partes , non avendo il RAGIONE_SOCIALE offerto la prova contraria, ossia l’inesistenza, invalidità o estinzione di detto rapporto. Anzi, a suo avviso, le prove documentali e testimoniali raccolte avrebbero ‘evidenziato come la quietanza rilasciata con la integrazione contrattuale del 29.11.2004 è espressione di una volontà simulatoria delle parti, costituendo la stessa una quietanza di comodo al fine di consentire al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cedere il contratto ad RAGIONE_SOCIALE‘ (cfr. p. … ricorso).
4.3. Con il quarto motivo, RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’art. 360, comma  1,  n.  5,  c.p.c.,  prospetta  l’illegittimità  della  sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio,
oggetto  di  discussione  tra  le  parti,  costituito  da  una  circostanza temporale:  l’assegno  bancario  (23.12.2004)  e  la  dichiarazione  di riconoscimento  di  debito  (30.06.2006)  sono  entrambi  successivi alla  quietanza  del  29.11.2004.  Ciò  dimostrerebbe  il  carattere simulatorio  di  tali  quietanze,  che,  quindi,  non  sarebbero  state correttamente esaminate, valutate ed apprezzate dalla Corte d’appello .
5. Giova premettere che, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. (nella sua precedente formulazione, ratione temporis applicabile, avendo la RAGIONE_SOCIALE iscritto a ruolo il 23 aprile 2022), il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, ‘l’esposizione sommaria dei fatti della causa’. Tale norma -già prima del recente intervento normativo avvenuto con d.lgs. 10.10.2022, n. 149, che ha ancor più evidenziato la rilevanza del criterio della chiarezza espositiva -assolveva alla specifica funzione di dettare i requisiti di ‘forma -contenuto’ del ricorso per cassazione, configurando un vero e proprio modello legale, la cui inosservanza ne determinava (e determina) l’inammissibilità.
Secondo, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, detto articolo ‘non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, bensì a consentire alla S.C. di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde , gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti’, per cui ‘il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della
tipologia dei vizi elencata dall’art. 360  c.p.c.’ (cfr. principio affermato  da  Cass.  civ.,  SS.UU.,  30  novembre  2021,  n.  37552; nelle pronunce successive, da ultimo, Cass. civ., Sez. V, 24 gennaio 2025, n. 1770; Cass. civ., Sez. II, Ord., 16 gennaio 2025, n. 1106; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 8 dicembre 2024, n. 31509; Cass. civ., Sez. V, Ord., 18 ottobre 2024, n. 27086).
Nel caso in esame, il ricorso della RAGIONE_SOCIALE non si conforma ai citati dettami giurisprudenziali, caratterizzandosi, al contrario, per una parziale, confusa e poco intellegibile esposizione dei fatti all’origine della vicenda de qua, anche dal punto di vista processuale, al punto da renderne difficoltosa la sua stessa comprensione, così ponendosi in evidente contrasto con l’obiettivo del processo, che è quello di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (art. 111, comma 2, Cost., e art. 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (cfr. Cass. civ., Sez. V, 30 aprile 2020, n. 8425; nelle successive, da ultimo, Cass. civ., Sez. III, 5 febbraio 2025, n. 2827; Cass. civ., Sez. III, Ord., 20 dicembre 2024, n. 33694; Cass. civ., Sez. III, Ord., 20 novembre 2024, n. 30006).
Ragioni  queste  che  rendono  l’impugnazione  de  qua, nel  suo complesso, inammissibile, perché affatto rispondente ai richiamati criteri di chiarezza espositiva, sia nella descrizione dei fatti essenziali  e  funzionali  alla  ricostruzione  della  vicenda,  sia  nella articolazione e illustrazione dei singoli motivi.
5.1. La considerazione avrebbe carattere dirimente, ma a diverse conclusioni non si giunge analizzando i singoli motivi di ricorso, che si appalesano infatti inammissibili per altri, specifici e diversi profili.
In particolare, i primi tre motivi, che possono essere congiuntamente  esaminati,  stante  la  loro  intrinseca  connessione logica e di contenuto, perché incentrati sul valore giuridico di alcuni atti  e  documenti  (assegno  bancario,  dichiarazione  riconoscimento
debito e quietanza), non conducono alla cassazione della decisione impugnata, perché in contrasto con il consolidato principio di legittimità, secondo cui i vizi di violazione o falsa applicazione di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., richiedono, a pena di inammissibilità, la descrizione dei due distinti momenti in cui si articola il giudizio di diritto, ossia quello di ricerca e individuazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto e poi quello della sua interpretazione e applicazione. Segnatamente: (i) il primo vizio consiste nella inesatta ricognizione, all’interno del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta; (ii) mentre, quello di falsa applicazione nell’assumere la fattispecie concreta in una norma errata, non idonea a regolarla.
Non rientra, invece, in tale ambito applicativo, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, essendo questa esterna all’esatta (o errata) interpretazione della norma, inerente piuttosto alla valutazione riservata al giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ord., 29 gennaio 2025, n. 2123; Cass. civ., Sez. II, Ord., 26 dicembre 2024, n. 34454; Cass. civ., Sez. I, Ord., 21 agosto 2024, n. 22994; Cass. civ., Sez. II, Ord., 15/05/2024, n. 13394).
Inoltre,  deve  evidenziarsi  come,  nel  caso  in  esame,  le  doglianze formulate  sulla  violazione  e  falsa  applicazione  di  una  pluralità  di norme  sostanziali non si confrontano adeguatamente con la sentenza impugnata.
Sul  punto,  va  richiamato  e  condiviso  il  principio  enunciato  dalle Sezioni Unite, secondo cui ‘l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art.  366,  comma  1,  n.  4),  c.p.c.,  impone  al  ricorrente  che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute
nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’ (cfr. da ultimo, ex plurimis , Cass. civ., Sez. I, Ord., 11 febbraio 2025, n. 3535; Cass. civ., Sez. II, Ord., 6 febbraio 2025, n. 3003; Cass. civ., Sez. I, 28 gennaio 2025, n. 1923; Cass. civ., Sez. I, Ord., 17 gennaio 2025, n. 1160). Nella fattispecie, RAGIONE_SOCIALE ha censurato la sentenza cagliaritana solo richiamando le norme che ritiene asseritamente violate, atteso che ogni sua doglianza, invece di consistere in specifiche argomentazioni sul perché le affermazioni contenute nella sentenza gravata sarebbero in contrasto con dette norme, riguardano piuttosto una ‘presa di posizione’ delle proprie tesi e ragioni, già prospettate però nel ricorso e nei precedenti atti di causa.
Così articolate, quindi, disvelano una richiesta di rivalutazione dei fatti storici da cui ha avuto origine la vicenda sub iudice , al fine di sollecitare, nemmeno tanto velatamente, una diversa ricostruzione della quaestio facti rispetto a quella operata dalla Corte territoriale, attraverso una diversa, e a essa più favorevole, ricostruzione degli atti e documenti connessi al negozio in contestazione (assegno bancario del 23.12.2004, dichiarazione di riconoscimento del debito del 30.06.2006 e quietanza, qualificate dal ricorrente come quietanze di comodo) e delle norme di diritto rispetto a quella accolta dai giudici di seconde cure. Il tutto, per ottenere una decisione più conforme alle proprie aspettative, senza però confrontarsi con la ratio decidendi resa in motivazione (cfr. Cass. civ., Sez. V, Ord., 8 marzo 2024, n. 6356; Cass. civ., Sez. III, Ord., 8 febbraio 2024, n. 3572; Cass. civ., Sez. I, Ord., 24 gennaio 2024, n. 2335; Cass. civ., Sez. lav., 21 agosto 2020, n. 17570).
Aggiungasi che, proprio in relazione al merito delle censure articolate in ordine ai ridetti atti e titoli legati al negozio giuridico, la declaratoria di inammissibilità attiene anche al mancato rispetto dell’onere di specificità sancito dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., non avendo parte ricorrente riprodotto detti documenti, impedendo a questo collegio di svolgerne un controllo diretto.
Costituisce, infatti, ius receptum di questa Corte quello secondo cui devono considerarsi inammissibili ‘le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità’ (così, da ultimo, Cass. civ., Sez. III, Ord., 5 febbraio 2025, n. 2817; Cass. civ., Sez. I, Ord., 21 gennaio 2025, n. 1482; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 21 dicembre 2024, n. 33721; Cass. civ., Sez. III, Ord., 6 novembre 2024, n. 28586; Cass. civ., Sez. V, Ord., 18 ottobre 2024, n. 27086).
Sulla scorta di quanto illustrato, può concludersi che, i motivi in esame, aldilà delle formali censure articolate sull’esistenza di vizi di legge, in realtà impingono il merito della decisione impugnata, essendo volte, di fatto, a contestare la valutazione della vicenda fattuale e dell’esame del materiale probatorio compiuti dalla Corte territoriale, sollecitando in tal modo la richiesta di rivalutazione della controversia, inibita però in questa sede, anche in ragione del fatto che la tesi sull’esistenza di un accordo simulato, alla base del rilascio delle promesse di pagamento non titolate, è stata già ritenuta infondata dai giudici di seconde cure, che hanno, sul punto, reso una motivazione coerente, logica e non contraddittoria,
pienamente rispettosa pure del principio del c.d. minimo costituzionale, basata sulla qualificazione delle altre due dichiarazioni rese dal legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, in data 20.02.2004 e 20.12.2004, nemmeno menzionate da parte ricorrente (cfr. pp. 10-12, sentenza impugnata n. 336/2021; v. Cass. civ., SS.UU., 7 aprile 2014, n. 8053; nelle successive pronunce, più di recente, Cass. civ. Sez. V, Ord., 9 ottobre 2024, n. 26349; Cass. civ., Sez. V, Ord., 20 settembre 2024, n. 25319; Cass. civ. Sez. III, Ord., 16 settembre 2024, n. 24760).
6.1. Parimenti inammissibile è il quarto motivo di ricorso, avendo parte ricorrente prospettato il vizio in esame secondo il paradigma dell’omesso esame di un fatto decisivo, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Al riguardo, va però rilevato che le critiche avanzate appaiono, nel loro complesso, orientate non alla denuncia di un preteso, per l’appunto, omesso esame di specifici fatti, accadimenti o circostanze intese in senso storico-naturalistico (sul punto v. Cass. civ., Sez. VI-1, Ord., 6 settembre 2019, n. 22397; nella successiva giurisprudenza, cfr. Cass. civ., Sez. I, Ord., 4 febbraio 2025, n. 2722; Cass. civ., Sez. I, Ord., 21 gennaio 2025, n. 1468; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 10 gennaio 2025, n. 609), quanto più a sollecitare, ancora una volta, una rivalutazione delle prove assunte nei gradi di merito.
Trattasi, all’evidenza, di una impostazione critica che, però, com’ è noto, inerendo al merito dei fatti di causa e del materiale probatorio, non è consentita in questa sede. Si consideri pure che lo stesso ricorrente trascura completamente il fatto che il giudice del merito ha già puntualmente esaminato l’insieme delle circostanze dedotte attraverso la denuncia del vizio in esame, avendo specificamente motivato che la RAGIONE_SOCIALE non ha allegato la preesistenza di un accordo simulatorio e il relativo effetto non poteva essere attribuito all’assegno bancario del
23.12.2004  e  la  dichiarazione  di  riconoscimento  di  debito  del 30.06.2006,  quando  invece  avrebbe  dovuto  almeno  indicare  un diverso rapporto esistenza a giustificazione del credito portato.
Del resto, anche sul punto, la Corte territoriale ha reso una motivazione chiara, coerente e logica, pienamente rispettosa del citato minimo costituzionale, avendo, come detto, posto a fondamento della propria decisione le altre due dichiarazioni del 20.02.2004 e del 20.12.2004 rese dal legale rappresentante dei RAGIONE_SOCIALE sull’esistenza della ricezione del pagamento da parte del RAGIONE_SOCIALE (cfr. pp. 10-12 sentenza impugnata n. 336/2021; v. Cass. civ., SS.UU., n. 8053/2014 cit.; nelle successive pronunce, Cass. civ. n. 26349/2024 cit.; Cass. civ. n. 25319/2024 cit.; Cass. civ. n. 24760/2024 cit.).
7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle  spese  del  presente  giudizio  di  legittimità  in  favore  della controricorrente,  che  liquida  in  complessivi  Euro  4.500,00  oltre 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da  parte  della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione in data 19 febbraio 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME