Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5041 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5041 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4480/2021 R.G. proposto da :
COMUNE di CATANIA, in persona del Sindaco pro-tempore , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME NOME
-ricorrente-
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE CATANIA, in persona del Direttore Generale pro-tempore , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di CATANIA n. 1167/2020 depositata il 06/07/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La controversia trae origine dal decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Catania, con il quale veniva intimato all ‘ Azienda Sanitaria Provinciale di Catania di provvedere al pagamento dell ‘importo di € 13.374.867,27 richiesto dal Comune di Catania a titolo di rimborso per l ‘ integrazione della retta assistenziale di cui all ‘ art. 59 della Legge Regione Sicilia n. 33/1966. Tale somma, riferita agli anni 1998-2010, concerneva il ricovero di anziani ed adulti inabili con un grado di invalidità superiore al 74%, presso enti assistenziali convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale.
L ‘ opponente, chiedendo la revoca del decreto opposto, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, la mancanza dei presupposti legittimanti il credito ed il diritto al rimborso delle spese sostenute per l ‘ erogazione del servizio di assistenza agli anziani non autosufficienti, nonché la mancata osservanza degli oneri formali richiesti dall ‘ articolo 59 L.R. Sicilia n. 33/1996. Deduceva, inoltre, l ‘ insussistenza del presunto riconoscimento del debito nell ‘ ambito della conferenza di servizi tenutasi il 9 dicembre 2010, nonché la prescrizione del credito e l ‘ infondatezza della richiesta degli interessi di cui al D.Lgs. n. 231/2002.
Con la sentenza n. 750/2017 il Tribunale di Catania, in parziale accoglimento dell ‘ opposizione, revocava il decreto ingiuntivo, condannando al contempo l ‘ Azienda Sanitaria Provinciale al pagamento, in favore del Comune, dell ‘importo di € 12.105.285,24, oltre interessi ex D.Lgs. n. 231/2002.
In accoglimento della domanda riconvenzionale dell ‘ ASP, condannava il Comune al pagamento in favore dell ‘ Azienda Sanitaria della somma di € 478.063,26 con gli interessi di cui al
D.Lgs. n. 231/2002 e poneva in parziale compensazione i reciproci crediti.
La Corte d ‘ appello di Catania, con la sentenza n. 1167/2020 del 7 luglio 2020, ritenendo, invece, fondato l ‘ appello dell ‘ Azienda Sanitaria Provinciale di Catania, annullava sia la statuizione di condanna dell ‘ ASP Catania al pagamento in favore del Comune della somma di € 12.105.285,24, oltre interessi ex D.Lgs. n. 231/2002, sia la statuizione relativa alla parziale compensazione dei reciproci crediti. Condannava, conseguentemente, il Comune alla restituzione in favore dell ‘ Azienda Sanitaria Provinciale dell ‘importo di € 7.500.000,00, corrisposto in esecuzione del decreto ingiuntivo revocato, con gli interessi a far data dal pagamento e fino all ‘ effettivo soddisfo.
Avverso tale pronuncia il Comune di Catania propone ricorso per Cassazione con cinque motivi, illustrati da memoria.
3.1. L ‘ ASP si è costituita con controricorso, con cui ha chiesto il rigetto dell ‘ impugnativa del Comune, sostenendone la palese inammissibilità e chiedendone, per tale ragione, la condanna al risarcimento del danno ex art. 96, comma 1, c.p.c. o, in subordine, del comma 3, dello stesso articolo. Ha depositato memoria.
3.1. La Sostituta Procuratrice Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l ‘ accoglimento dei primi tre motivi di ricorso. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, articolato in più censure, parte ricorrente lamenta, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c: (i) la violazione ed errata applicazione dell ‘ art. 17, commi 1 e 2, L.R. n. 22/1986; (ii) l ‘ errata applicazione degli artt. 345 e 169, commi 1 e 2, c.p.c. Inoltre, deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per ‘contrasto con le prove fornite e documentate’, per mancanza di ‘legittima e esaustiva
motivazione’, oltre perché distonica con l’ ordinanza del Tribunale del 17.10.2010.
La Corte d ‘ appello avrebbe erroneamente ritenuto non sussistere un diritto del Comune, nei confronti dell ‘ ASP di Catania, ad ottenere il rimborso delle quote sanitarie integrative delle spese di degenza per anziani non autosufficienti, per non aver dimostrato di aver adempiuto agli obblighi formali prescritti dall ‘ art. 17, commi 1 e 2, L.R. n. 22/1986. Quando, invece, avrebbe offerto ampia prova del rispetto dell ‘ iter procedurale imposto da tale L.R., producendo, insieme al ricorso per decreto ingiuntivo, n. 15 faldoni, contenenti -come rilevato dal CTU nella sua Relazione -numerosi atti amministrativi e contabili, tra cui determine dirigenziali di liquidazione. La corte d ‘ appello ha erroneamente sostenuto che il Comune non avrebbe rispettato il termine perentorio imposto dall ‘ articolo 17, co. 2, della citata legge regionale non avendo curato di trasmettere entro i prescritti 5 giorni dal ricovero i provvedimenti di autorizzazione dell ‘ ASP, affinché quest ‘ ultima potesse nei successivi 20 giorni espletare il suo potere di controllo ed eventualmente opporsi alle prestazioni sanitarie integrative prescritte.
Sostiene la ricorrente al contrario che il Comune di Catania ha, invece, adempiuto a tutti gli obblighi imposti dalla normativa regionale. Nello specifico ha osservato l ‘ obbligo di trasmettere entro cinque giorni, imposti dalla legge, le determine di autorizzazione al ricovero corredate dalle schede di valutazione della non autosufficienza non inferiore al 74% e delle singole necessità integrative.
Infine, sostiene che la corte d ‘ appello ha ammesso di considerare la documentazione contenuta in 15 faldoni che contenevano la prova del rispetto della procedura imposta dalla legge, fermandosi alla sola documentazione contenuta nel fascicolo d ‘ appello (soltanto 14 documenti) senza tener conto dei 15 faldoni depositati in uno al
ricorso per decreto ingiuntivo e quindi facente parte del giudizio di primo grado, che doveva essere acquisito dalla corte d ‘ appello.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, il Comune di Catania deduce l ‘ errata applicazione dell ‘ art. 345 c.p.c. e la violazione dell ‘ art. 169, commi 1 e 2, c.p.c., in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Ancora con riferimento alla produzione documentale allegata al ricorso per decreto ingiuntivo, sostiene che il giudice poteva acquisirla d ‘ ufficio, per cui non rientrerebbe nel divieto dei nova in appello. Sulla scorta di tale ragionamento, continua ad affermare che la Corte avrebbe dovuto fondare la sua decisione sulle risultanze probatorie acquisite in primo grado, mentre avrebbe deciso in contrasto con esse.
4.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente lamenta la violazione dell ‘ art. 17 L.R. n. 22/86, comma 1 e 2 con riferimento all ‘ art. 360, punto 3, c.p.c. La Corte d ‘ appello ha statuito, pur in mancanza di prova, l ‘ omissione da parte del Comune degli obblighi imposti dalla legge regionale e del mancato rispetto dei termini perentori.
4.4. Con il quarto motivo, parte ricorrente lamenta la violazione dell ‘ art. 192, d.lgs. n. 267/2000, del d.lgs. n. 155/2012, nonché degli artt. 81 e 119 Cost. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
La decisione impugnata violerebbe le norme che impongono il pareggio di bilancio ed inoltre avrebbe contribuito, in modo significativo, al dissesto del Comune di Catania.
4.5. Con il quinto motivo, parte ricorrente prospetta la violazione o falsa applicazione dell ‘ art. 15, legge n. 241/1990, nonché la violazione dell ‘ art. 1988 c.c., entrambi in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Il verbale della conferenza dei servizi avrebbe valore vincolante per le parti, stante la sua sottoscrizione da parte del Direttore Generale dell ‘ ASP, a cui spetterebbe la rappresentanza legale dell ‘ ente, ai sensi dell ‘ art. 3, d.lgs. n. 229/1999. Aggiungasi che, comunque, l ‘ inserimento di tale somma nel bilancio chiuso al 31.12.2010
avrebbe valore di riconoscimento di debito ex art. 1988 c.c. Di tal che, l ‘ ASP avrebbe dovuto provare il mancato assolvimento degli obblighi di legge da parte del Comune. Anche sotto tale profilo, la sentenza impugnata meriterebbe di essere annullata.
Preliminarmente, va evidenziata la generale inammissibilità del ricorso complessivamente considerato, avendo il Comune formulato i propri motivi, a partire dalla rubrica, in modo tanto confuso da renderne difficile la corretta individuazione, non riuscendo a cogliersi, anche dalla loro complessiva lettura, quali siano le effettive censure, univocamente e chiaramente riconducibili ad uno dei vizi disciplinati dall ‘ art. 360 c.p.c., rivolte alla sentenza impugnata.
Quando, invece, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, seppur è vero che per la formulazione dei motivi non sia necessaria l ‘ adozione di formule sacramentali o l ‘ esatta indicazione numerica di una delle ipotesi previste dall ‘ art. 360, comma 1, c.p.c., è altrettanto vero che il ricorso per cassazione deve essere articolato in singoli specifici motivi, riconducibili in maniera immediata ed inequivoca a una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite da tale norma. Diversamente, il ricorso incorre nella declaratoria di inammissibilità.
Nel caso in esame, il Comune, non solo, come detto, non si è curato di indicare singolarmente i motivi di impugnazione rubricandoli specificamente, ma, nell ‘ articolarli, non ha reso immediatamente comprensibili le ragioni giuridiche su cui si fondano, con quanto ne consegue in termini, per l ‘ appunto, di sua complessiva inammissibilità.
5.1. E comunque, prima di passare all ‘ analisi dei singoli motivi di ricorso, tenuto conto di quanto riferito dal controricorrente in ordine alla contemporanea presenza di un giudizio di revocazione della medesima sentenza (riferita, ma non dimostrata, atteso che
manca nel controricorso qualsivoglia relativo riferimento: pp. 1516), deve osservarsi quanto segue.
La revocazione sarebbe stata proposta dal Comune ex art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c., per un errore di fatto.
Ebbene, nel sistema processuale, la revocazione è un rimedio meramente sussidiario, dovendo la parte, attraverso tale mezzo, far valere l ‘ errore di percezione del fatto in cui sarebbe incorso il giudice di merito.
La sua proposizione, nell ‘ ambito della verifica di ammissibilità del ricorso per cassazione, è irrilevante, dal momento che l ‘ art. 398, comma 4, c.p.c. ha sancito il principio di tendenziale non interferenza del giudizio di merito (in revocazione) e del giudizio di legittimità.
Ai fini che rilevano, va pure detto che tale norma, proprio allo scopo di realizzare l ‘ economia dei mezzi processuali, prevede la facoltà riservata al giudice di merito (avanti il quale è proposto il ricorso per revocazione) di sospendere, su istanza di parte e qualora non ritenga il ricorso per revocazione manifestamente infondato, i termini per la proposizione del ricorso per cassazione, ovvero -se già proposto -di sospendere la prosecuzione del giudizio di legittimità fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione.
Sulla scorta di tali principi, rileva il collegio come, a maggior ragione in assenza di prova o di elementi che comprovino che sia stato richiesto o emesso un siffatto provvedimento sospensivo, rimane ferma l ‘ autonomia dei due giudizi di revocazione e per cassazione, che consente la contemporanea trattazione degli stessi (cfr. Cass. civ., Sez. V, 18 marzo 2016, n. 5398).
5.2. Il primo e secondo motivo di ricorso, congiuntamente scrutinabili per sovrapponibilità delle relative censure, sono inammissibili per autonome e plurime ragioni.
Con riguardo alla denuncia di vizi ai sensi del n. 3 dell ‘ art. 360, comma 1, c.p.c., se ne rileva l ‘ inammissibilità, atteso che parte ricorrente si è limitata a dedurre la violazione delle norme denunciate, senza compiere alcuna critica alle statuizioni della sentenza, in tal modo non soddisfacendo il requisito prescritto dall ‘ art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (cfr. Cass. civ., Sez. V, 2 marzo 2023, nn. 6285 e 6284; Cass. civ., Sez. I, Ord., 28 ottobre 2022, n. 32033; Cass. civ., Sez. I, Ord., 26 ottobre 2022, n. 31673; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 16 novembre 2021, n. 34724; principio enunciato da Cass. civ., SS.UU., 12 febbraio 1988, n. 1497). È noto, infatti, che tale vizio deve essere dedotto, non solo puntualmente indicando le disposizioni che si assumono violate, ma con specifiche deduzioni volte a dimostrare come le ‘affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l ‘ interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità’ (cfr., tra le molte, più di recente, Cass. civ., Sez. III, Ord., 9 ottobre 2024, n. 26306; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 20 agosto 2024, n. 22968; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 12 febbraio 2024, n. 3851; Cass. civ., Sez. III, Ord., 24 maggio 2024, n. 14536).
Nella fattispecie, le doglianze del Comune non consentono, neppure da una loro lettura globale, né di individuare il collegamento delle enunciazioni in diritto della sentenza impugnata e le argomentazioni che la sostengono, né di cogliere le ragioni per le quali ne viene chiesto l ‘ annullamento.
Deve poi osservarsi come le doglianze in esame siano altresì inammissibili poiché, pur deducendo, apparentemente, una violazione di norme di legge, in realtà, ‘mirano ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito’ (fra tutte, da
ultimo, Cass. civ., Sez. V, 13 dicembre 2024, n. 32303; Cass. civ., Sez. V, Ord., 11 dicembre 2024, n. 31908; Cass. civ., Sez. lav., 7 agosto 2024, n. 22358; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 11 giugno 2024, n. 16139).
Il Comune, infatti, censura l ‘ accertamento di merito svolto dal giudice di secondo grado, anche in relazione all ‘ asserita mancata valutazione dei n. 15 faldoni che invece sarebbero stati analizzati dal CTU, depositati nella fase monitoria e che sarebbero dovuti confluire ‘ automaticamente ‘ nel fascicolo di primo grado, senza alcun onere per la parte di ridepositarlo.
In proposito, anche sotto tale aspetto, va detto che le argomentazioni di parte ricorrente si pongono in contrasto con il principio, ormai consolidato, per cui i documenti a corredo al ricorso per decreto ingiuntivo ‘restano documenti di parte, destinati ad entrare nel fascicolo del ricorrente, ove, per effetto dell ‘ opposizione al decreto ingiuntivo, il procedimento si trasformi in giudizio di cognizione ordinaria (ex art. 638 c.p.c., comma 3), per cui le parti hanno l ‘ onere di costituirsi in giudizio (art. 645 c.p.c., comma 2, e artt. 165 e 166 cod. proc. civ.), depositando il fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione (Cass., n. 19992/2004; Cass., n. 171/2003; Cass., n. 2078/98)’ (cfr. Cass. civ., Sez. I, Ord., 9 dicembre 2019, n. 32020; Cass. civ., Sez. III, 18 aprile 2006, n. 8955).
Aggiungasi che, in ogni caso, la valutazione delle risultanze probatorie -così come la scelta, tra le varie prove, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione -involgono apprezzamenti di fatto, che, come tali, sono riservati al sindacato esclusivo del giudice di merito, per cui ne è preclusa la relativa analisi in sede di legittimità (v. da ultimo, Cass. civ., Sez. V, Ord., 20 dicembre 2024, n. 33537; Cass. civ., Sez. I, Ord., 11 dicembre 2024, n. 31984; Cass. civ., Sez. III, Ord., 8 novembre 2024, n. 28878; Cass. civ., Sez. III, Ord., 25 ottobre 2024, n. 27722).
Le due censure non attingono idoneamente, pertanto, neppure la dirimente ratio decidendi della corte territoriale sulla carenza in atti delle determine di autorizzazione ai ricoveri e della notifica dei dispositivi di questi ultimi, come pure sulla carenza già nella relazione del consulente tecnico di ufficio (che aveva declinato rientrassero nel mandato conferitogli) di accertamenti su prova dell ‘ assolvimento degli obblighi di effettuazione dei trattamenti aggiuntivi e di invio alla ASP delle determine.
Per tutte tali ragioni, il primo e secondo motivo sono inammissibili; e non possono esaminarsi le ragioni analiticamente illustrate nella requisitoria del Pubblico Ministero.
5.3. Il terzo motivo di ricorso è anch ‘ esso inammissibile, perché le censure sollevate mirano esclusivamente ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito.
Invero, dietro il vizio di cui all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il Comune in realtà cela la richiesta di una diversa, e ad esso più favorevole, lettura delle risultanze probatorie
5.3. Parimenti inammissibile è il quarto motivo di ricorso.
Al di là della brevità nella sua argomentazione, che di per sé rende difficile, al collegio, nell ‘ esercizio della verifica del fondamento delle denunce, comprendere compiutamente le ragioni di doglianza del ricorrente, va comunque detto che il motivo de quo si traduce in una sostanziale elencazione delle norme asseritamente violate.
Quando invece costituisce ius receptum della giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui ‘il vizio ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l ‘ elencazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e
con l ‘ interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni’ (cfr. Cass. civ., Sez. lav., Ord., 19 luglio 2024, n. 19959; Cass. civ., Sez. I, Ord., 10 giugno 2024, n. 16118; Cass. civ., Sez. V, Ord., 4 giugno 2024, n. 15544; Cass. civ., Sez. I, Ord., 27 maggio 2024, n. 14696; Cass., Sez. lav., Ord., 20 marzo 2024, n. 7485).
Nella specie, come detto, il Comune si limita a una mera indicazione della normativa e delle norme costituzionali che denuncia siano state violate, non svolgendo però alcuna compiuta analisi delle stesse, confrontandole con i ‘ passaggi ‘ della sentenza in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa nella denunciata violazione di legge. Inoltre, anche laddove parte ricorrente indica alcune norme nel corpo del motivo di ricorso (precisamente gli artt. 81 e 119 Cost.: v. p. 33 ricorso), le argomentazioni svolte non sono sufficienti a superare il ‘ varco ‘ d ‘ inammissibilità, in quanto non arrivano a dimostrare le ragioni di contrasto delle affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, col precetto normativo. E ciò, ancor più alla luce del fatto che il Comune non solo non si confronta con la sentenza impugnata, ma neppure spiega e/o dimostra -neanche rispettando il principio di cui all’ art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. -quanto asserisce sul fatto che la decisione abbia comportato o, comunque, fortemente contribuito al dissesto finanziario dichiarato da tale Ente nel 2018.
5.4. Il quinto motivo di ricorso è anch ‘ esso inammissibile.
Invero, dietro il vizio di cui all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il Comune in realtà cela la richiesta di una diversa e più favorevole lettura delle risultanze probatorie, questa volta in merito ai verbali della Conferenza dei servizi del 25 maggio-9 dicembre 2010.
Tuttavia una simile doglianza non supera il varco di inammissibilità, poiché sebbene sia denunciata una violazione di norme di legge, in realtà, investe, di fatto, l ‘ apprezzamento di merito e degli elementi
probatori compiuto dalla Corte territoriale, senza evidenziare i termini in cui le norme indicate sarebbero state violate o falsamente applicate dal giudice di seconde cure, limitandosi quindi a proporre una lettura alternativa e, come detto, a lui più favorevole, delle risultanze istruttorie, che però, come noto, non può essere demandata in sede di legittimità.
In questo quadro, va considerato, altresì, che -al di là dell ‘ impossibilità di accedere all ‘ analisi di qualsiasi questione che attenga il merito dei fatti di causa -la valutazione della rilevanza di tali elementi probatori sarebbe comunque qui impedita, atteso che parte ricorrente non si è curata neanche di allegare o riportare stralci di detti Verbali nel corpo del ricorso sui quali si fondano le sue censure, in spregio al principio di autosufficienza sancito dall ‘ art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (cfr. da ultimo, Cass. civ. Sez. III, Ord., 6 novembre 2024, n. 28586). E tanto senza considerare la tendenziale ardua equivalenza ad una formale ricognizione di debito delle dichiarazioni rese in sede di conferenza servizi.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, escluso il riconoscimento di esborsi, non esposti nella nota spese.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in complessivi Euro 26.000.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza