Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5559 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5559 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 987/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende
-Ricorrente –
Contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Controricorrenti –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 771/2020 depositata il 21/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE:
Per quanto il Collegio desume dalla sentenza gravata, NOME COGNOME intimò ad NOME COGNOME licenza per finita locazione in relazione ad un contratto di locazione ad uso commerciale avente ad oggetto un immobile sito in Santarcangelo di Romagna.
Il COGNOME si oppose alla convalida, dichiarandosi disponibile a rilasciare i locali a condizione che la locatrice gli corrispondesse l’indennità per perdita dell’avviamento prevista dall’art. 34 l. 392/1978, quantificata nel canone di euro 1.077,60, moltiplicato per 18 mensilità.
Con lo stesso atto di opposizione spiegò intervento NOME COGNOME, figlia dell’intimato, sostenendo di essere l’effettiva conduttrice dell’immobile, in forza di un contratto di affitto di azienda, comprensivo del rapporto di locazione dei locali in cui l’attività veniva esercitata, stipulato dalla stessa con il padre nel DATA_NASCITA.
Dopo l’emissione di ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. la causa proseguì secondo il rito locatizio.
La COGNOME eccepì il difetto di legittimazione passiva di NOME COGNOME, in quanto estranea al rapporto contrattuale dedotto in giudizio, e chiese in via riconvenzionale la condanna del conduttore al pagamento in proprio favore della penale di euro 4.500,00 per ogni mese di ritardato sgombero dei locali, come previsto dall’art. 15 del contratto di locazione.
Con sentenza n. 172/2019 il Tribunale di Rimini dichiarò la risoluzione del contratto e accolse la domanda di pagamento dell’indennità di avviamento a favore del COGNOME.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propose gravame dinanzi alla Corte d’Appello di Bologna.
Con sentenza n. 771/2020, depositata in data 21/05/2020, oggetto di ricorso, la Corte d’Appello di Bologna ha rigettato l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui NOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 c.p.c.
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., nn. 3 e 5, c.p.c., ‘ Motivo ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 100 e 105 c.p.c. in relazione alla carenza di interesse ad agire dell’intervenuta volontariamente al processo NOME COGNOME. Omessa decisione in punto di richiesta estromissione della predetta NOME COGNOME quale parte del giudizio di primo e secondo grado’. Ad avviso della ricorrente, la sentenza della Corte d’Appello sarebbe viziata laddove ‘ senza prendere posizione sul punto della legittimazione, si limita a condividere la decisione impugnata, senza effettuare alcuna autonoma rilettura sul punto ‘ (così a p. n. 7 del ricorso). Inoltre, la ricorrente adduce la violazione degli art. 100 e 105 c.p.c., sostenendo che, nonostante la esplicita richiesta di estromissione di NOME COGNOME, la sentenza gravata (così come quella di primo grado) hanno omesso qualsiasi autonoma statuizione sulla richiesta.
Con il secondo motivo , la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Motivo ex art. 360 n. 3 per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 34 e 36 della legge n. 392/1978 in relazione alla carenza di attualità della locazione ad opera del conduttore intimato. Invalidità degli effetti della cessione d’azienda antecedente rispetto alla stipula del contratto di locazione oggetto della presente procedura ‘. La ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia omesso di spiegare come mai un soggetto che non esercitava più attività di impresa (senza che dopo la stipula del contratto in essere possono intervenute modifiche di qualsivoglia genere rapporto sinallagmatico tra le parti in causa) dovesse essere beneficiario della indennità per perdita di avviamento.
Con il terzo motivo , la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Motivo ex art. 360 n. 3 per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1337, 1366 e 1375 cod. civ., perché il contratto di locazione è stato stipulato da una parte
(NOME COGNOME) che tacendo in mala fede di essersi cancellato dalla RAGIONE_SOCIALE e di non esercitare più attività di impresa, ha poi permesso alla figlia, all’insaputa della locatrice, di esercitare attività di impresa all’interno dei locali co mmerciali locati, e ora intende far valere parti antecedenti al contratto, al fine di ottenere utilità economiche non spettanti per legge’. Come risulta dall’intestazione del motivo, la censura attiene al fatto che la Corte territoriale avrebbe violato le norme in epigrafe in quanto il contratto di locazione è stato stipulato da una parte (NOME COGNOME) che, tacendo in mala fede di essersi cancellato dalla RAGIONE_SOCIALE e di non esercitare più attività di impresa, ha poi permesso alla figlia, all’insaputa della locatrice, di esercitare attività di impresa all’interno dei locali commerciali locati.
A detta della ricorrente, la Corte territoriale avrebbe violato la legge sostanziale in tema di diritto all’indennità di avviamento (artt. 34 e 36 l. 392/1978) e la lex contractus , sia sulla scrittura privata intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME il 14/3/1996, sia sul contratto di locazione stipulato fra NOME COGNOME e NOME COGNOME sempre il 14/3/1996.
La ricorrente adduce altresì la violazione dell’art. 1366 c.c. relativo all’interpretazione del contratto secondo buona fede, e conclude che ‘ NOME COGNOME è unica parte del contratto di locazione del 14 marzo 1996 nonché legittimato passivo del presente processo e NOME COGNOME, a seguito della transazione del 14 marzo 1996 risulta totalmente estranea alla presente vicenda contrattuale, non legittimata passiva resistere o intervenire e, pertanto, da estromettere ‘ (così a p. 19, 1° §, del ricorso).
Con il quarto motivo , la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Motivo ex art. 360 n. 3 per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per mancata condanna alle spese di NOME COGNOME, intervenuta temerariamente e senza titolo nel processo’, dolendosi del fatto che la Corte territoriale abbia
violato le norme in epigrafe per mancata condanna della COGNOME alle spese di lite.
Il ricorso, presenta -come eccepito anche dai controricorrenti – in primo luogo una inammissibilità per inosservanza dell’art. 366 , n. 3, c.p.c., in quanto l’esposizione sommaria del fatto: a) non riferisce le ragioni dell’opposizione alla convalida; b) riferisce in modo incomprensibile la ragione dell’intervento della COGNOME, in quanto non evidenzia che posizione avesse preso riguardo alla domanda originaria, ma si limita a dire solo che essa sostenne di essere l’effettiva conduttrice in forza di un contratto di affitto di azienda stipulato con il padre intimato sulla base del contratto del 1996; c) omette qualsiasi pur sommaria indicazione delle ragioni della decisione di primo grado, della quale indica solo le statuizioni; d) omette qualsiasi indicazione, pur sommari della ragioni dell’appello.
5.1 Il ricorso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, primo comma n. 3, c.p.c. (nella versione applicabile ratione temporis ), che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (si veda già Cass. sez. un. n. 11653 del 2006).
5.2 La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. n. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366 , 1° comma, n. 3, c.p.c. è necessario che il ricorso
per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.
5.3 L’esposizione risulta priva della chiarezza necessaria per consentire lo scrutinio dei motivi. Si ricorda che: ‘ Il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. ‘ (Cass., Sez. Un., n. 37552 del 2021).
Il Collegio rileva, peraltro, che, se si potesse passare all’esame dei motivi, si evidenzierebbe la loro inammissibilità intrinseca ed inoltre troverebbe conferma l’impossibilità di ricostruire il fatto in modo da poterne apprezzare la pertinenza rispetto all’ignoto svolgimento processuale.
6.1 Quanto al primo motivo, la mancanza di indicazioni delle ragioni dell’intervento rende incomprensibile sia l’assunto esplicativo
contenuto nell’intestazione del motivo circa la ‘ carenza di interesse ad agire dell’intervenuta’ e di quella che si dice ‘ omessa decisione in punto di richiesta di estromissione ‘ , sia il senso della riproduzione del contenuto della prospettazione della ricorrente, riprodotto a pag. 6 ed enunciato dalla sentenza. Le considerazioni in iure che il motivo svolge sono in conseguenza a loro volta incomprensibili. Il motivo viola l’art. 366 , n. 6, c.p.c. già per l’omessa indicazione delle ragioni dell’intervento, ma lo viola anche quando nelle pagg. 8-9 evoca circostanze fattuali senza rispettare tale norma e peraltro -in ragione della prima carenza segnalata comunque incomprensibili.
6.2 Inoltre, per quanto specificamente attiene alla censura contenuta nel primo motivo di ‘omessa decisione’, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., va rilevato che ‘ i difetti di omissione e di insufficienza della motivazione sono configurabili, nei limiti in cui peraltro ammissibili ai sensi del novellato art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ., solo quando, dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, e quale risulta dalla sentenza oggetto del giudizio, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando si evinca l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non quando come nella specie, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati. In quest’ultimo caso la censura si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito, finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 16/10/2018 n.25843) ‘ (così Cass., sez. lav., ord. 9/07/2020,
14633; conforme, nella sostanza, Cass., sez. lav., ord. 6/02/2020, n. 2858).
6.3 Va inoltre osservato che la sentenza gravata ha confermato integralmente la sentenza del Tribunale, motivando sulle medesime ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado. Essendo stato il gravame esperito dalla odierna ricorrente contro sentenza resa in prime cure in data 27/04/2019 (come risulta dalla sentenza gravata), l’atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11/9/2012. Siffatta circostanza determina l’applicazione ‘ ratione temporis ‘ dell’art. 348 -ter , ultimo comma, c.p.c. (cfr. Cass., Sez. V, sent. 18/9/2014, n. 26860; Cass., Sez. 6-Lav., ord. 9/12/2015, n. 24909; Cass., Sez. 6-5, ord. 11/5/2018, n. 11439), norma che preclude, in un caso -qual è quello presente -di cd. ‘doppia conforme di merito’, la proposizione di moti vi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c., salvo che la parte ricorrente non soddisfi l’onere ‘ di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ‘ (Cass., Sez. I, sent. 22/12/2016, n. 26774; Cass., Sez. Lav., sent. 6/8/2019, n. 20994). Nella specie la ricorrente non ha indicato le ragioni di diversità fra le due pronunce, il che integra un’ipotesi di inammissibilità, in parte qua , del ricorso, con riferimento alle censure sollevate ex art. 360, n. 5, c.p.c. contenute nel primo motivo.
Il secondo motivo è inammissibile, in quanto nuovamente viola l’art. 366 , n. 6, c.p.c., in quanto nello svolgere la critica, dopo avere riassunto la cronologia della vicenda fatta dalla sentenza impugnata con il riprodurre la sentenza di primo grado, discute di un’affermazione della sentenza impugnata di condivisione della ‘irrilevanza del fatto che l’attività commerciale fosse esercitata non
dal titolare del contratto di locazione, ma da soggetto diverso ‘ sostenuta dal primo giudice, ma lo fa: a) evocando, senza rispettare detta norma quanto alla localizzazione una transazione, della quale in precedenza non si è mai riferito e riguardo alla quale nessuna precisazione sul modo in cui la sua rilevanza fosse stata introdotta nel giudizio di merito e segnatamente in quello di appello; b) sostenendo che la Corte bolognese non avrebbe risposto all’appello, senza nulla dire sul contenuto cui non sareb be stata data risposta.
Il terzo motivo è inammissibile, in quanto evoca nuovamente la transazione e prima ancora altri documenti contrattuali (pag. 15) senza rispettare l’art. 366 n. 6 , e nuovamente senza che sia offerto a questa Corte di comprendere la pertinenza di quanto si assume in relazione alla prospettazione assunta con l’appello che resta ignota.
Il quarto motivo è un ‘non motivo’, in quanto postula che non sia condannata alle spese l’interveniente, ma lo fa nella prospettiva che sia fondato il primo motivo e dunque postulando un effetto che sarebbe determinato dall’art. 336, primo comma, c.p.c.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo in favore di parte controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 4.500,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15% e accessori di legge, in favore di parte controricorrente, NOME e NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’8 novembre 2023, nella camera di consiglio