Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8639 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8639 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13851-2021 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 439/2020 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 05/11/2020 R.G.N. 29/2018;
Oggetto
Lavoro agricolo
R.G.N.13851/2021
COGNOME
Rep.
Ud.17/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2025 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La Corte d’appello di Salerno, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME volta ad accertare un rapporto di lavoro agricolo con l’azienda ‘RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2009 , con conseguente diritto alla reiscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli.
Avverso tale pronuncia, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, successivamente illustrati con memoria; l’INPS ha depositato controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 276 e 277 c.p.c. per non avere la Corte di merito pronunciato sulla tardività dell’appello dell’Istituto, siccome notificato oltre i dieci giorni dall’emissione del decreto di comparizione.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 325 e 327 c.p.c. poiché l’atto di appello sarebbe stato proposto oltre il termine breve decorrente dalla notifica della sentenza di primo grado presso la sede provinciale INPS di Salerno ove sono ubicati gli uffici dell’Avvocatura Distrettuale dell’Istituto .
I primi due motivi presentano analoghi profili di inammissibilità, per difetto di specificità.
È consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui la deduzione in questa sede di legittimità di un error in procedendo , che legittima l’esercizio da parte di questa Corte del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, presuppone pur sempre l’ammissibilità del motivo di
censura, da valutarsi in relazione ai principi di specificità e autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1°, nn. 4 e 6, c.p.c., che impongono non soltanto la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse ai fini della censura (tra le altre, Cass. n. 3612 del 2022), ma altresì l’indicazione del luogo del fascicolo processuale e/o di parte in cui essi sono attualmente reperibili (così Cass. n. 28184 del 2020 cui hanno dato continuità, tra le più recenti, Cass. nn. 42047 del 2021, 3760, 24434 e 30378 del 2022). È pur vero che, secondo il più recente orientamento nomofilattico, l’autosufficienza del ricorso, corollario del requisito di specificità dei motivi, deve essere interpretato in maniera elastica (tra le altre Cass. nr. 11325 del 2023), in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte – oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, comma 1, nr. 6 cod.proc.civ., come novellato dal d.lgs. nr. 149 del 2022 – e alla luce dei principi stabiliti nella sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (Succi e altri c. Italia), che lo ha ritenuto compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, a condizione che, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa (Cass. nr. 12481 del 2022).
Nella specie, però, il contenuto delle censure non consente in alcun modo al Collegio una chiara e completa cognizione dei fatti necessari ad apprezzare la decisività dei rilievi. La ricorrente, infatti , pur deducendo l’inammissibilità dell’appello, sotto due diversi profili, non ha trascritto, nemmeno limitatamente alle parti sufficienti a dare alle censure un non opinabile fondamento fattuale, né la relata di notifica della sentenza di primo grado né il decreto di fissazione
dell’udienza in sede di gravame con la relata della notifica di esso.
Può aggiungersi, con riguardo alla censura di tardività dell’appello per avere l’INPS notificato il gravame oltre i dieci giorni dall’emissione del decreto di comparizione delle parti, che il termine di dieci giorni assegnato dall’art. 435 c.p.c. all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione non è perentorio, di talché la sua inosservanza non comporta alcuna decadenza dall’impugnazione (così già Cass. n. 21358 del 2010, che si è fatta carico di distinguere la fattispecie della notificazione tardiva rispetto a quella dell’omessa notificazione, su cui Cass. Sez.Un. n. 20604 del 2008 aveva fondato il dictum richiamato nel ricorso per cassazione; nello stesso senso, da ult., v. Cass. nn. 15358 del 2017 e 24034 del 2020).
Anche la seconda censura di tardività dell’appello per mancato rispetto del termine breve di impugnazione, sulla base delle stesse argomentazioni della ricorrente, è infondata. La parte ricorrente non deduce, contrariamente a quanto osservato nella sentenza impugnata, che nella relata di notificazione vi era indicazione dei difensori domiciliatari dell’Istituto.
Vale al riguardo ricordare il principio espresso, a sezioni unite, dalla Corte con pronuncia nr. 20866 del 2020 secondo cui: «la notifica alla parte, senza espressa menzione – nella relata di notificazione – del suo procuratore quale destinatario anche solo presso il quale quella è eseguita, non è idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione, neppure se eseguita in luogo che sia al contempo sede di una pubblica amministrazione, sede della sua avvocatura interna e domicilio eletto per il giudizio, non potendo surrogarsi l’omessa indicazione della direzione della notifica al difensore con la
circostanza che il suo nominativo risulti dall’epigrafe della sentenza notificata, per il carattere neutro o non significativo di tale sola circostanza».
Con il terzo motivo, la ricorrente deduce omessa, illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 c.c. per non avere la Corte territoriale valutato le incongruenze tra le deposizioni rese agli ispettori dell’Istituto e quelle raccolte nel corso del giudizio di primo grado.
Il motivo è inammissibile. Tutte le censure, anche quelle sub specie di violazione di legge sostanziale, si propongono di veicolare una richiesta di riesame delle risultanze istruttorie, sia documentali che testimoniali, sulla scorta delle quali i giudici territoriali hanno escluso la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. Ciò che non è possibile in questa sede di legittimità.
Per quanto innanzi, il ricorso va, nel suo complesso, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il pagamento del doppio contributo ove il versamento risulti dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dell’Inps , che liquida in Euro 3.000,00, per compensi professionali, in Euro 200,00, per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025