Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 271 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 271 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1183 R.G. anno 2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME , dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME, domiciliat a presso quest’ultima ;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso quest’ultimo ;
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALESocietà cooperativa agricola , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso quest’ultimo ;
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato
NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME domiciliata presso l’avvocato NOME COGNOME;
avverso la sentenza n. 2542/2022 depositata il 29 novembre 2022 della Corte di appello di Venezia.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ E’ impugnata per cassazione la sentenza con cui la Corte di appello di Venezia ha respinto il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso una pronuncia del Tribunale lagunare: quest’ultimo, come si legge nella pronuncia impugnata, aveva a sua volta disatteso alcune domande -vertenti sulla contraffazione di un brevetto e di un marchio d’impresa , oltre che sull ‘attività di concorrenza sleale -che erano state proposte dalla società sopra indicata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
2 . ─ Il ricorso per cassazione consta di cinque motivi ed è resistito con controricorso da RAGIONE_SOCIALE, da RAGIONE_SOCIALE, e da RAGIONE_SOCIALE. La ricorrente e RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria; RAGIONE_SOCIALE ha semplicemente ribadito per iscritto, in prossimità dell’adunanza camerale, le conclusioni precedentemente rassegnate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo denuncia la falsa ed erronea interpretazione di fatti di causa determinanti per la decisione e la falsa ed erronea applicazione di norma di diritto.
Il secondo motivo ha la stessa titolazione del primo.
Il terzo oppone l’erronea e falsa applicazio ne di norme di legge e l’improponibilità della domanda riconvenzionale .
Il quarto motivo prospetta l’erronea e falsa applicazione di norma di legge , nonché l’erronea e falsa interpretazione di fatti determinanti per la decisione della causa.
Il quinto mezzo lamenta l’erronea e falsa applicazione di norma di legge in materia di soccombenza e liquidazione delle spese.
– Il ricorso è inammissibile.
– L’articolazione dei motivi di censura è preceduta dalla trascrizione del dispositivo della sentenza del Tribunale, dalla trascrizione del dispositivo della sentenza di appello e da una tabella riferita ai « capi della sentenza impugnata e dei relativi motivi di impugnazione » in cui è riassunto il contenuto delle censure proposte avverso la decisione di primo grado.
Tale esposizione non consente di comprendere l’oggetto della controversia introdotta avanti al Tribunale, il preciso contenuto della pronuncia resa da quest ‘ultimo e le ragioni poste dalla Corte di appello a fondamento del rigetto del gravame. La carenza dell’atto si traduce, dunque, in una esposizione dei fatti di causa tanto lacunosa da impedire la precisa comprensione dei motivi di ricorso, i quali devono potersi raccordare alle affermazioni contenute nella sentenza impugnata e alle questioni sostanziali e processuali oggetto del giudizio, e di cui la pronuncia stessa si è in concreto occupata. Il ricorso manca, dunque, della « chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso » prevista dall’art. 366, n. 3 c.p.c., novellato dall’art. 3, comma 27, lett. d), n. 1), d.lgs. n. 149/2022, n. 149.
La previsione introdotta dalla legge di riforma, nello stabilire un raccordo funzionale tra esposizione dei fatti e illustrazione dei motivi, positivizza un principio che si era formato e consolidato sotto il vigore della precedente versione dell’art . 366, n. 3, c.p.c. (quella per cui il ricorso per cassazione doveva contenere « l’esposizione sommaria dei fatti della causa »). Anche prima della modifica legislativa si era affermato, infatti, che nel ricorso per cassazione l’esposizione sommaria
dei fatti sostanziali e processuali della vicenda risultava essere funzionale alla comprensione dei motivi, nonché alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (Cass. 24 aprile 2018, n. 1007; Cass. 12 marzo 2020, n. 7025).
È da rimarcare come l’osservanza dell’ obbligo, in capo alla parte, di procedere, nel ricorso, all’esposizione dei fatti di causa non possa essere surrogata da quanto trovasi enunciato nei motivi di censura o dalla presenza, nel fascicolo portato all’esame della Corte, di atti, quali la sentenza impugnata o il controricorso, che contengano le informazioni di cui l’atto di impugnazione è mancante (cfr., sul punto, Cass. Sez. U. 22 maggio 2014, n. 11308 e Cass. 1 marzo 2022, n. 6611, secondo cui la mancanza dell ‘esposizione dei fatti non può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti alla motivazione del provvedimento censurato, né attraverso l’esame di altri atti processuali, ostandovi il principio di autonomia del ricorso per cassazione).
4. – Il ricorso è inammissibile anche perché, indipendentemente da quanto fin qui si è detto, sono inammissibili tutti i motivi di cui esso si compone.
I primi due e il quarto denunciano un vizio non rientrante tra quelli di cui all’art. 360 c.p.c. -« la falsa ed erronea interpretazione di fatti di causa determinanti per la decisione » -e prospettano un error iuris ex art. 360, n. 3, c.p.c. che non è esplicato. Va qui rammentato che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso; il singolo motivo, infatti, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore: la tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal
codice di rito (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; in senso sostanzialmente conforme: Cass. 14 maggio 2018, n. 11603; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 29 maggio 2012, n. 8585). Inoltre, la parte che denunci il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., ha l’onere, a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuar e – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass. 6 luglio 2021, n. 18998).
Il terzo motivo sembra porre una questione processuale sulla riunione di cause che, oltre ad essere declinata senza rispettare il principio di autosufficienza (operante anche per gli errores in procedendo : cfr. Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181), sfugge al sindacato di questa Corte: infatti, l’esercizio in senso affermativo o negativo del potere di disporre la riunione dei procedimenti non è censurabile in sede di legittimità, poiché i relativi provvedimenti hanno natura ordinatoria e si fondano su valutazioni di mera opportunità (Cass. 25 gennaio 2008, n. 1697).
L’ inammissibilità affligge anche il quinto motivo, visto che questo si fonda su di un dato – l’asserita soccombenza reciproca delle parti, tale da giustificare, secondo la società istante, la compensazione delle spese – che, oltre a rivelarsi non comprensibile per la mancata esposizione dei fatti di causa, è comunque privo di decisività, visto che la facoltà di disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna
alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. Sez. U. 15 luglio 2005, n. 14989; Cass. 26 aprile 2019, n. 11329).
5 . -Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore delle altre due controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione