Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9969 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9969 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31204/2018 R.G. proposto da:
INDIRIZZO, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore generale pro tempore , domiciliata ex lege in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa.
-costituita in giudizio- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 125/2018 depositata il 19/04/2018, RG n. 509 del 2017 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ha impugnato la sentenza con cui la Corte d’Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza emessa tra le parti del Tribunale di Genova, ha condannato l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della lavoratrice della somma di euro 27.465,63, in luogo della maggior somma riconosciuta dal Tribunale a titolo di differenze retributive derivanti dallo svolgimento di mansioni superiori, oltre alla maggior somma tra rivalutazione monetaria ed interessi.
La Corte d’ Appello ha affermato che il Tribunale correttamente aveva ritenuto fondata la domanda di riconoscimento del complessivo trattamento economico spettante al dirigente di IV Area seconda fascia, tenuto conto di tutti gli emolumenti previsti dal CCNL di riferimento, compresa la retribuzione di risultato, in quanto facente parte del trattamento economico complessivo che l’articolo 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, riconosce a favore del pubblico impiegato in caso di svolgimento di mansioni superiori.
Rilevava tuttavia che il Tribunale era incorso in un errore di quantificazione dei crediti spettante alla lavoratrice.
Dalla tabella redatta dall’RAGIONE_SOCIALE nell’atto di appello a pagina 26 risultava che le differenze retributive da corrispondere alla lavoratrice dal 26 marzo fino all’11 novembre 2015 fossero pari a euro 27.465,63 (somma comprensiva RAGIONE_SOCIALE competenze accessorie).
Tale importo era di gran lunga inferiore a quello indicato in sentenza (euro 41.062,66).
Afferma la Corte d’Appello che, dovendosi quantificare il trattamento complessivo dirigenziale spettante alla lavoratrice in euro 6.490,04 (comprensivo della 13 mensilità aggiuntiva), la stessa aveva percepito l’importo inferiore di euro 2 .844,16 (comprensivo anch’esso del rateo di 13 mensilità), con conseguente differenza retributiva pari a euro 3.645,88, che per l’intero periodo di 7 mesi di svolgimento di mansioni superiori portava alla cifra di euro 27.465,63 di poco superiore a quella calcolata dalla lavoratrice, che a pagina 34 della memoria di costituzione in appello aveva indicato la somma di euro 27.372,51.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando tre motivi di ricorso.
L’Amministrazione ha depositato atto di costituzione per la discussione in udienza.
La lavoratrice ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISONE
Con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., è dedotta la nullità della sentenza per avere la Corte d’Appello accolto, in violazione dell’art. 342, cod. proc. civ., un motivo di appello inammissibile in quanto totalmente privo di ogni contenuto critico rispetto alle argomentazioni poste dal Tribunale a fondamento della statuizione impugnata e meramente ripetitivo RAGIONE_SOCIALE difese svolte nel giudizio di primo grado.
L’RAGIONE_SOCIALE aveva appellato la statuizione sulle differenze stipendiali senza però censurare e senza prendere in alcuna considerazione le argomentazioni poste dal giudice di primo grado a fondamento della decisione. L’RAGIONE_SOCIALE si era limitata a scrivere le
stesse deduzioni già svolte in primo grado e a riprodurre gli stessi conteggi, con conseguente inammissibilità del motivo di appello.
2. Il motivo è inammissibile.
Trova applicazione il principio già affermato da questa Corte secondo cui ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ” ex actis ” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., n. 15430 del 2018; 20694 del 2018).
Né rileva che la censura sia proposta ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.
Ed infatti parte ricorrente denuncia un vizio che attiene alla corretta applicazione di norme da cui è disciplinato il processo che ha condotto alla decisione dei giudici di merito.
Si tratta, di errore di attività che, essendosi verificato nel corso del processo, si assume possa averne inficiato l’esito.
Poiché in tali casi il vizio della sentenza impugnata discende direttamente dal modo in cui processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver procurato, si spiega il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale, in caso di denuncia di errores in procedendo del giudice di merito, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, inteso, ovviamente, come fatto processuale.
Tuttavia, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato che, in ogni caso, la proposizione del motivo di censura
resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di specificità del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso, ‘sicché l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato’.
La parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il ‘fatto processuale’ di cui richiede il riesame, affinché il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass. n. 6225 del 2005; Cass. n. 9734 del 2004).
Tanto non è accaduto nella specie laddove, dalla lettura della sentenza di appello, non risulta eccepita in sede di appello l’inammissibilità del motivo di impugnazione dell’RAGIONE_SOCIALE, e la ricorrente non riproduce la difesa svolta in merito in sede di costituzione in appello.
Con il secondo motivo, in via subordinata, è proposto il vizio di omesso esame di fatto decisivo, costituito dalla circostanza che tra le parti era pacifico, e risultava inoltre dagli atti di causa, che la somma di euro 6.490,04 presa dalla Corte d’Appello come base per il conteggio RAGIONE_SOCIALE differenze stipendiali e di risultato, complessivamente spettanti alla ricorrente come dirigente, costituiva l’importo della solo retribuzione mensile e non era comprensivo della retribuzione di risultato di cui all’articolo 34 del contratto collettivo (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.).
4. Il motivo è inammissibile.
Occorre rilevare che l”omesso esame’ va riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’ ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun
modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità RAGIONE_SOCIALE censure irritualmente formulate (si v., ex multis , Cass., n. 2268 del 2022).
Rimangono, pertanto, estranee al vizio previsto dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., le censure, che come quelle articolate dalla ricorrente, che nella sostanza sono volte a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si è formato, in esito all’esame del materiale probatorio e all’interpretazione RAGIONE_SOCIALE fonti negoziali.
Con il terzo motivo, in via subordinata rispetto al precedente motivo, è dedotta la nullità della sentenza per avere la Corte d’Appello in violazione dell’articolo 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118, disp. att. cod. proc. civ., e dell’art. 111, comma 6, Cost., accolto il motivo di appello dell’RAGIONE_SOCIALE relativo alla liquidazione degli importi dovuti per differenze di ‘ retribuzione di risultato ‘ , senza indicare in alcun modo le ragioni della decisione (articolo 360 n. 4, cod. proc. civ.)
Il motivo è inammissibile.
Il vizio di motivazione rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, ‘in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie
e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.
Nella specie tale vizio non è rinvenibile atteso che la Corte d’Appello dopo avere affermato che il Tribunale era incorso in errore di quantificazione dei crediti spettanti alla lavoratrice, ha motivato tale affermazione facendo riferimento alla tabella redatta dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE inserita nell’atto di appello e riportando nella sentenza i dati ritenuti rilevanti. La lavoratrice nella sostanza censura tale statuizione deducendo una insufficienza della motivazione e richiamando (peraltro senza esplicitarle nel motivo) le argomentazioni del Tribunale, senza tener conto dell’effetto devolutivo dell’appello, che attribuisce alla Corte d’Appello il riesame completo della ” res iudicanda “.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla spese in mancanza di attività difensiva dell’RAGIONE_SOCIALE.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 febbraio