Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26538 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26538 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2740/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME, domiciliati ex lege all’indirizzo Pec in atti.
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, che le rappresenta e difende, domiciliati ex lege all’indirizzo Pec in atti.
-controricorrenti-
nonché contro
NOME, RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 1589/2021 depositata il 21/10/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
Con ricorso ex art. 447bis cod. proc. civ. COGNOME NOME conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Pescara COGNOME NOME e COGNOME NOME per richiedere, previo accertamento della cessazione del contratto di comodato gratuito, il rilascio dell’immobile sito in Montesilvano, in INDIRIZZO, da loro indebitamente occupato. Produceva, a sostegno della propria domanda, il contratto di compravendita del predetto bene, sottoscritto con il precedente proprietario COGNOME NOME.
Si costituivano COGNOME NOME e COGNOME NOME, resistendo, ed in particolare asserendo che il contratto di compravendita fosse un contratto simulato e che in realtà l’immobile, già in loro possesso sin dall’anno 1990, era di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE in virtù di pregressi accordi, anche provati da produzioni documentali, con il COGNOME.
Chiedevano ed ottenevano, inoltre, l’autorizzata alla chiamata in causa di RAGIONE_SOCIALE, che si costituiva eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, e di COGNOME NOME, il quale ultimo si costituiva negando qualsivoglia simulazione.
Interveniva altresì volontariamente ad adiuvandum la società RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 340 del 2020 il Tribunale di Pescara
rigettava il ricorso, dichiarava il difetto di legittimazione attiva in relazione alle domande riconvenzionali dei resistenti ed altresì dichiarava l’inammissibilità delle domande proposte dalla società intervenuta.
Avverso tale sentenza proponevano appello COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME; resistevano al gravame i coniugi COGNOME, anche proponendo appello incidentale.
3.1. Con la qui impugnata sentenza la Corte d’Appello di L’Aquila accoglieva l’appello principale, ordinando a COGNOME NOME ed a COGNOME NOME, di cui rigettava l’appello incidentale, il rilascio dell’immobile.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME, COGNOME NOME e la società RAGIONE_SOCIALE propongono ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resistono con controricorso le eredi COGNOME.
Restano intimati COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato le proprie conclusioni, né le parti hanno ritenuto di depositare memorie.
Considerato che
Rileva il Collegio in via preliminare che le controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di valida procura, evidenziando in particolare che la procura è priva della asseverazione di conformità all’originale con sottoscrizione del procuratore con firma digitale.
1.1. L’eccezione è infondata e va respinta.
Dal diretto esame degli atti, consentito a questa Corte in quanto giudice del fatto processuale (v. Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077 e successive conformi), risulta che l’attestazione della conformità della procura all’originale è in calce
sottoscritta dal difensore con firma autografa, ma l’attestazione RAGIONE_SOCIALE è poi contenuta nella relata di notifica – del ricorso, della procura RAGIONE_SOCIALE e della attestazione di conformità all’originale cartaceo – che risulta sottoscritta digitalmente.
Come questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare, ‘E’ ammissibile il ricorso per cassazione confezionato in formato .pdf e sottoscritto con firma digitale e non con sottoscrizione autografa allorché l’originario ricorso, in formato analogico, e la procura che ad esso accede (quest’ultima sottoscritta in forma autografa), entrambi scansionati e firmati digitalmente, siano stati notificati a mezzo posta elettronica certificata, e copia cartacea degli stessi, della relata di notifica, del messaggio di posta elettronica certificata e delle ricevute di accettazione e consegna risultino depositati in cancelleria, unitamente all’attestazione di conformità sottoscritta con firma autografa. Le dette formalità conferiscono difatti al ricorso depositato in cancelleria prova della sua autenticità e provenienza, essendo irrilevante l’assenza di sottoscrizione autografa dell’originario cartaceo e risultando la provenienza dal difensore munito di procura comunque attestata sia dalla procura che ad esso accede sia dalla firma digitale apposta al documento notificato per via telematica’ (v. Cass., 18/07/2019, n. 19434; v. inoltre Cass., n. 19970/2020, che ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza della sottoscrizione in forma digitale della procura da parte del procuratore del ricorrente, nell’ipotesi in cui sia il ricorso che la relativa procura sono stati redatti in forma cartacea, firmati -rispettivamente, dall’avvocato, il ricorso, e dalla parte e dall’avvocato per autentica, la procura- ed acquisiti in formato elettronico ed in tal forma notificati al controricorrente con unico messaggio di posta elettronica certificata, a sua volta corredato da idonea relazione di notificazione contenente, inter alia , la certificazione della
conformità dell’atto notificato – espressione che evidentemente si riferisce non soltanto al ricorso, ma al complesso costituito dal ricorso e dall’allegata procura speciale – all’originale cartaceo dal quale esso è estratto, ai sensi del combinato disposto della L. n. 53 del 1994, art. 3-bis, comma 2 (che richiama il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-undecies, il cui comma 3, ultima proposizione recita: “Se la copia informatica è destinata alla notifica, l’attestazione di conformità è inserita nella relazione di notificazione”, e del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 22, comma 2 e successive modificazioni ed integrazioni).
1.2. Ancora in via preliminare va rilevata l’inammissibilità del ricorso in quanto proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, dato che:
la sentenza di prime cure, quanto alla sua posizione, aveva rilevato: ‘Passando alle domande dell’intervenuta, RAGIONE_SOCIALE, esse sono inammissibili. Infatti, per giurisprudenza consolidata (tra le altre Cass. Civile 4805/2006, 22233/2014, 13917/2017, SS.UU. 10274/09) il diritto che, ai sensi dell’art. 105 primo comma c.p.c., il terzo può far valere in giudizio pendente tra altre parti, deve essere relativo all’oggetto sostanziale dell’originaria controversia, da individuarsi con riferimento al “petitum” ed alla “causa petendi”, ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale. Nel presente giudizio non ricorre un’ipotesi del genere in quanto il (dedotto) contratto di comodato su cui si fonda la domanda del ricorrente rappresenta un fatto totalmente diverso da quello su cui si fonda l’azione dell’intervenuta, consistente nella (ipotizzata) stipula di una vendita soggettivamente simulata tra il RAGIONE_SOCIALE, il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE o di un contratto preliminare di compravendita tra il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, né è ravvisabile una dipendenza del diritto fatto valere dall’intervenuta dal titolo posto
dal ricorrente a fondamento della sua azione’;
tale statuizione non risulta essere stata censurata in appello, come risulta dalla lettura dell’impugnata sentenza, che non indica come parte appellante la RAGIONE_SOCIALE e nella concisa esposizione del fatto riferisce che le sue domande erano state dette inammissibili: non essendo stata emessa la sentenza impugnata nei confronti della società, essa non è legittimata ad impugnarla, atteso che la sua situazione processuale risulta definita dalla sentenza di prime cure.
2.2. In via ulteriormente preliminare il Collegio rileva che il ricorso è inammissibile per assoluta insufficienza del requisito dell’esposizione del fatto, dell’ iter processuale e del percorso logico-giuridico svolto dalla impugnata sentenza, avverso il quale si appunterebbero le censure svolte nei motivi.
In primo luogo, infatti, va rilevata l’assoluta mancanza di indicazioni sul riferimento all’essere l’immobile in possesso dei COGNOMED’COGNOME già dal 1990, stante il generico ed assertivo riferimento al fatto per cui l’immobile in questione ‘era della società RAGIONE_SOCIALE in virtù di pregressi accordi’.
In secondo luogo, manca totalmente l’individuazione delle domande riconvenzionali che si dicono rigettate.
In terzo luogo, non vengono affatto indicate le ragioni della sentenza di primo grado, di quelle dell’appello principale e di quelle dell’appello incidentale.
Come questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare, il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per
poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod. proc. civ.; e l’inosservanza di tali doveri conduce ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai n. 3 e n. 4 dell’art. 366 cod. proc. civ. (v. Cass., Sez. Un., 30/11/2021, n. 37552).
Nel caso di specie, l’esposizione del fatto risulta essere sommamente generica ed assertiva, come risulta dalle ultime quattro righe della p. 3 sino alle prime due della p. 5 del ricorso (‘Incardinata la controversia RG 4242/2015, gli odierni istanti si costituivano tempestivamente, contestando le avverse deduzioni asserendo, in particolare, che il contratto di compravendita prodotto da controparte fosse un contratto simulato e che in realtà l’immobile, già in possesso dei sig.ri COGNOME e COGNOME dal 1990, era della società RAGIONE_SOCIALE in virtù di pregressi accordi, anche documentalmente provati e prodotti, con il sig. COGNOME. Il Giudicante, non accogliendo le reiterate richieste della presente difesa nel mutamento del rito, procedeva con la fase istruttoria, all’esito della quale emetteva la sentenza n. 340/2020 con la quale disponeva sia il rigetto del ricorso sia delle domande riconvenzionali di parte resistente (…) In entrambi i gradi di giudizio risulta omesso l’esame del rapporto antecedente i fatti per cui è causa dalla quale discende la carenza di legittimazione attiva di parte avversa’); e le riscontrate carenze sono esiziali ai fini di comprendere la vicenda processuale, che non è dato comprendere nemmeno mediante la lettura dell’illustrazione dei motivi di ricorso.
Tanto premesso, reputa il Collegio di esaminare, ad abundantiam , i singoli motivi di ricorso, i quali, tuttavia, non si sottraggono al giudizio di inammissibilità che lo affligge nella sua
integralità.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. conseguente al rilievo della carenza di legittimazione attiva di parte ricorrente -omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in riferimento all’art. 360 c.p.c., 1 comma n. 5 sulla simulazione dei contratti’.
Lamentano che in entrambi i gradi di giudizio sarebbe stato omesso l’esame del rapporto tra le parti, antecedente ai fatti di causa, dal quale discenderebbe, a loro dire, la carenza di legittimazione attiva degli odierni resistenti e del loro originario dante causa COGNOME NOME.
Deducono che l’immobile oggetto di causa sarebbe stato oggetto di diversi atti fittizi e simulati; dapprima, in quanto di proprietà di loro figlio, legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, che ne avrebbe consentito loro l’utilizzo; successivamente, nell’ambito di una esecuzione immobiliare, sarebbe stato fittiziamente acquistato da COGNOME NOME, il quale, tuttavia, lo avrebbe poi fittiziamente alienato al COGNOME.
Lamentano che la prova delle suindicate circostanze, ricostruite dettagliatamente in atti, sarebbe stata documentalmente fornita, e che la corte territoriale, tuttavia, non l’avrebbe in alcun modo valutata.
2.1. Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti svolgono una ricostruzione dei fatti di causa aprendo virgolette alla p. 6, rigo terzo, del ricorso e chiudendole alla p. 14, riproducendo in corsivo quello che parrebbe il contenuto di un atto del quale non forniscono indicazione alcuna.
In ciò che riproducono violano, pertanto, l’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. e, comunque, omettono di dire dove ed in che termini il non meglio identificato atto era stato introdotto nel giudizio.
Va rammentato che il requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., consiste in un’esposizione che deve
garantire a questa Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia, ma anche del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. Un., 28 novembre 2018, n. 30754, che richiama Cass. n. 21396 del 2018); la valutazione in termini d’inammissibilità del ricorso non esprime, naturalmente, un formalismo fine a sé stesso, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. RAGIONE_SOCIALE del 28 ottobre 2021 e ribaditi da Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950, bensì il richiamo al rispetto di una precisa previsione legislativa volta ad assicurare uno “standard” di redazione degli atti che, declinando la qualificata prestazione professionale svolta dalla difesa e presupposta dall’ordinamento, si traduce nel sottoporre al giudice nel modo più chiaro la vicenda processuale permettendo, in quel perimetro, l’apprezzamento delle ragioni della parte (Cass., Sez. U., n. 30754 del 2018, cit.); si tratta, come evidente, di una ricaduta del principio di specificità del gravame, calato nel giudizio a critica vincolata qual è quello della presente sede di legittimità.
Ciò che segue dalla p. 15 alla successiva p. 17, in cui si chiude l’illustrazione, prospetta al di là della dipendenza da quanto prima inammissibilmente articolato – considerazioni non in diritto, bensì puramente fattuali, e finisce per restare incomprensibile e comunque estraneo al sindacato di legittimità.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione degli artt. 1803 -1810 -2697 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3 (contratto di comodato verbale, al suo perfezionamento e all’onere probatorio)’.
Lamentano che la corte territoriale, pur avendo correttamente richiamato il principio di diritto, secondo cui il comodante che
agisce per la restituzione della cosa nei confronti del comodatario non deve provare il diritto di proprietà, avendo solo l’onere di dimostrare la consegna e il rifiuto di restituzione, mentre spetta al convenuto dimostrare un titolo diverso per il suo godimento, non si è avveduta che tale prova era nel caso di specie mancata e che la circostanza risultava, anzi, smentita dalla contraria prova per cui essi già dall’anno 1990 occupavano l’immobile oggetto di causa in quanto di loro proprietà.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Oltre a violare l’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. evocando circostanze riguardo alle quali tale norma è inosservata, si limita ad invocare -tra l’altro in modo del tutto assertorio – il vizio di violazione di legge senza illustrare in cosa sia consistito, ovvero in che modo sia ravvisabile un errore di sussunzione, da parte della corte di merito, della fattispecie concreta nella astratta previsione normativa.
Sotto la formale invocazione di tale vizio, i ricorrenti nuovamente sollecitano un riesame del fatto e della prova, oltretutto solo genericamente evocati, teso ad escludere che il comodante avesse provato la consegna del bene, e dunque un giudizio estraneo al sindacato di legittimità.
Va dato atto, infine, che la corte di merito ha correttamente richiamato -e tale statuizione non risulta essere stata specificatamente censurata -l’orientamento di legittimità, secondo cui qualora il bene sia già nella disponibilità del comodatario, alla consegna deve essere equiparato il mutamento del titolo della detenzione, in forza del quale ha rilevato che, una volta dimostrata la proprietà del bene da parte del COGNOME allo scopo di evidenziare l’inesistenza di un valido titolo in capo agli odierni ricorrenti per continuare ad abitare l’immobile, i medesimi avrebbero dovuto dimostrare il titolo della loro detenzione (v. Cass., n. 25222/2015; Cass., n. 6881/2003).
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 24 della costituzione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -omissione di un fatto rilevante e decisivo’.
Deducono di aver ‘reiterato in più occasioni specifiche richieste istruttorie, quali la conversione del rito e il giuramento decisorio del sig. COGNOME‘, istanze queste che non sarebbero state esaminate dalla corte di merito e che invece, se accolte, avrebbero ‘comportato un adeguato diritto di difesa ed un corretto contraddittorio tra le parti’ (v. p. 19 del ricorso).
3.1 Il motivo è inammissibile, per la sua assoluta genericità.
A fronte della motivazione dell’impugnata sentenza, che per nulla menziona le questioni dedotte nel motivo, esso non precisa in alcun modo quali siano ‘le occasioni specifiche’, e dunque il se, il dove ed il quanto, le istanze, che si lamenta essere state trascurate dalla corte di merito, fossero state proposte nel precedente contesto processuale.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile .
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento in solido, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di
merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione l’11 giugno 2025.
Il Presidente COGNOME NOME COGNOME