Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19152 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19152 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20541-2021 proposto da:
COGNOME, titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1907/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/05/2021 R.G.N. 45/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Inquadramento superiore
R.G.N.20541/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 27/05/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 10800/2019, che, in parziale accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME pr evio accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’appellante, nel periodo dal 31/12/2006 al 31/12/2013, e dall’1/10/2014 al 13/11/2016, con gli orari e le mansioni indicati in sentenza, aveva condannato il convenuto Chiù al pagamento delle differenze retributive maturate, quantificate in complessivi € 114.718,45, oltre accessori di legge.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale rigettava il primo motivo d’appello, nell’ambito del quale l’attuale ricorrente per cassazione si era doluto, tra l’altro, che il Tribunale avesse respinto la sua eccezione di prescrizione presuntiva.
La Corte giudicava infondato anche il profilo di censura (svolto nel secondo motivo di appello), con il quale l’allora appellante aveva dedotto la violazione del principio del contraddittorio, perché il Tribunale aveva ordinato la riformulazione dei conteggi, e perché non era stato dato modo ad esso appellante di contestarli adeguatamente, non essendo stato concesso il termine richiesto per esame e controdeduzioni.
La Corte di merito disattendeva il secondo motivo anche nella parte in cui l’appellante lamentava l’erroneità dell’inquadramento contrattuale effettuato dal giudice di prime cure.
Avverso tale decisione NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste l’intimata con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione o falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro nazionali, in relazione all’art. 360 c.p.c ., comma 1, n. 3; violazione degli artt. 13621332 c.c., e dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3’.
Con il secondo motivo deduce ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c.’.
Con il terzo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2948 nn. 4 e 5 c.c., in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la 2955 n. 2 c.c. e 2956 n. 1 c.c.’.
Con il quarto motivo denuncia ‘Violazione art. 101 c.p.c. in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.; motivazione apparente, manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria, perplessa in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.’.
Il primo motivo è inammissibile.
Infatti, secondo questa Corte, nell’ambito della contrattazione collettiva di lavoro privato, la conoscenza del giudiceinterprete è consentita mediante l’iniziativa della parte interessata, da esercitare attraverso le modalità proprie del
processo, non essendo previsti i meccanismi di pubblicità che assistono la contrattazione di lavoro pubblico (così, ad es., Cass. civ., sez. lav., 20.5.2020, n. 9300; in termini id., sez. I, 29.12.2020, n. 29772). Inoltre, detto onere può essere adempiuto, in base al principio di strumentalità delle forme processuali -nel rispetto del principio di cui all’articolo 111 della Costituzione, letto in coerenza con l’articolo 6 della Cedu, in funzione dello scopo di conseguire una decisione di merito in tempi ragionevoli -anche mediante la riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola clausola contrattuale collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze, purché il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio e, nell’elenco degli atti depositati, posto in calce al ricorso, vi sia la richiesta, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, di trasmissione del fascicolo d’ufficio che lo contiene, risultando forniti in tal modo alla Suprema corte tutti gli elementi per verificare l’esattezza dell’interpretazione offerta dal giudice di merito (così Cass. civ., sez. I, 6.6.2019, n. 15415). La produzione del testo integrale del contratto collettivo, infatti, di regola, costituisce adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti (in tal senso id., sez. lav. 4.3.2019, n. 6255; e in termini analoghi id., sez. lav. 3.1.2019, n. 15, la quale aveva ritenuto che la produzione parziale di un documento sia incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento
legislativo e contrasta con i canoni di ermeneutica dettati dagli artt. 1362 e segg. c.c. e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 c.c., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa).
Infine, secondo questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere redatto nel rispetto dei requisiti imposti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c. che, al comma 1, n. 6, richiede ‘la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda’; è, quindi, necessario che il ricorrente, oltre a riportare nel ricorso il contenuto del documento, quanto meno nelle parti essenziali, precisi in qualche fase processuale è avvenuta la produzione ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, precisando al riguardo che il requisito di cui al richiamato art. 366 c.p.c., n. 6, è imprescindibile ed autonomo e non può essere confuso con quello di procedibilità (egualmente r ichiesto) previsto dall’art. 369 c.p.c. n. 4, in quanto il primo risponde all’esigenza di fornire al giudice di legittimità tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione (laddove effettuata) è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (così Cass. civ., sez. lav., 19.6.2020, n. 12025).
7. Ebbene, il ricorrente, nel denunciare in questa sede che, circa il superiore inquadramento richiesto dalla lavoratrice, la ‘lettura della norma contrattuale resa dalla Corte d’Appello è errata e contrasta con i canoni di ermeneutica contrattuale’, si
riferisce e trascrive in ricorso (alle pagg. 1523) l’art. 100′ di un ‘CCNL di settore’ non meglio specificato, di cui neppure ha indicato l’anno, e trascrive, altresì, l’art. 102 dello stesso CCNL (a pag. 25 del ricorso).
Il ricorrente, tuttavia, non ha prodotto copia del testo integrale di detto CCNL (cfr. pag. 35 del ricorso), né ha specificato in alcun punto del ricorso se e chi delle parti avesse depositato copia del testo integrale di tale ‘ fonte ‘ collettiva nazionale, e, in tale ipotesi, dove essa sia collocata in uno dei fascicoli di parte o anche in quelli d’ufficio; nemmeno, ha specificato se il CCNL in questione fosse stato, in ipotesi, acquisito d’ufficio da uno dei giudici del doppio grado d i giudizio nel merito.
Parimenti inammissibile è il secondo motivo, che pure afferisce al superiore inquadramento chiesto ed ottenuto dalla lavoratrice.
Per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado sia interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso, ex multis , Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dal quinto comma dell’articolo 348 -ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indic are le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).
Invero, in presenza di decisioni di primo e di secondo grado tra loro conformi, il ricorrente neanche deduce in quali punti e come le motivazioni delle stesse fossero differenti.
Converge, infine, nel senso dell’inammissibilità della censura in esame, il rilievo che il ricorrente, in realtà, si limita a porre una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dai giudici di merito (cfr. pagg. 26-27 del ricorso).
Il terzo motivo è privo di fondamento.
La Corte di merito -nel disattendere il punto di censura del primo motivo d’appello con il quale il COGNOME si doleva del fatto che il Tribunale avesse respinto a sua eccezione di prescrizione presuntiva ex art. 2955 c.c. -ha considerato:
‘Quanto alla prescrizione presuntiva occorre prendere atto che nel costituirsi in giudizio l’odierno appellante ha contestato la prova del rapporto, eccependo la intervenuta interruzione e la sussistenza di una novazione soggettiva, con ciò ammettendo, di fatto, di non aver corrisposto tutto il dovuto. Inoltre, alla pagina 3 della memoria, è contenuta una generica censura dei conteggi, definivi ‘non meglio precisati’.
L’eccezione di prescrizione presuntiva, tempestivamente formulata, deve essere respinta se chi la oppone ha comunque ammesso in giudizio che l’obbligazione non è stata estinta (art. 2959 c.c.). La S.C. ha affermato che <> (Cass. 27.11.1999, n. 13291). Conseguentemente la decisione del Tribunale è assolutamente condivisibile’.
Ebbene, il ricorrente, richiamando stralci della propria memoria di costituzione in primo grado, assume ora che egli ‘dunque non ha ammesso nulla’ (cfr. pagg. 30 -31).
La critica non è, però, aderente alla ratio decidendi della Corte di merito a riguardo che, nel confermare la sentenza di primo grado pure su questo aspetto, dalla posizione difensiva in complesso assunta dal convenuto nel costituirsi in primo grado, comprensiva di una sia pur generica contestazione dei conteggi della controparte, ha tratto la conclusione che lo stesso avesse ammesso di non aver corrisposto tutto il dovuto, ai fini di quanto previsto dall’art. 2959 c.c.
Pure è infondato il quarto motivo in entrambe le sue articolazioni.
In ordine al primo profilo della censura, giova premettere che la Corte d’appello, circa l’analogo punto del secondo motivo d’impugnazione, aveva considerato che: ‘Quanto alla lamentata (ed inesistente) violazione del diritto di difesa deve essere evidenziato che nel corso del giudizio di
primo grado è stato concesso alla parte ricorrente termine per riformulare i conteggi, secondo specifici parametri indicati dal Tribunale. E’ stato quindi fissato un termine fino a 10 giorni prima dell’udienza per il deposito di detti conteggi. I conteggi sono stati depositati entro il termine fissato, cosicché la controparte (odierno appellante) ha avuto 10 giorni di tempo per esaminare i suddetti conteggi e formulare i propri rilievi. Il procuratore della parte, senza alcuna giustificazione, ha omesso detto controllo, pur avendo tutto il tempo di farlo. Pertanto la violazione del diritto di difesa è dipesa dal comportamento del procuratore, il quale, omettendo il controllo che la normale diligenza gli imponeva, si è limitato a partecipare alla successiva udienza lamentando la violazione del diritto di difesa, chiedendo durante la discussione orale termine per replica; come risulta dal verbale di causa, la discussione è stata ritualmente effettuata ed in quella sede la parte avrebbe dovuto replicare ai NOME, formulando le proprie osservazioni’.
I giudici di secondo grado hanno quindi ritenuto che, essendo stato rispettato dalla difesa dell’attrice il termine assegnato dal Tribunale di 10 giorni prima dell’udienza successiva per il deposito dei nuovi conteggi, peraltro da riformulare ‘secondo specifici parametri’ già indicati dal Tribun ale, l’intervallo di tempo tra tale deposito tempestivo e la successiva udienza avesse assicurato alla difesa del convenuto la possibilità di esaminare tali nuovi conteggi ed eventualmente controdedurre a riguardo anche in udienza.
Ebbene, rispetto a questa ratio decidendi , il ricorrente si limita a richiamare alcuni passi che assume essere presenti a pag. 12 del proprio ricorso in appello (cfr. tra la pag. 32 e la pag. 33 del ricorso per cassazione), senza spiegare se e perché
la risposta già ottenuta dalla Corte territoriale sulla medesima questione sarebbe errata in diritto.
Del resto, la censura difetta anche di autosufficienza, non avendo il ricorrente qui prodotto, né trascritto, il verbale di udienza del 3.10.2019 e quello dell’udienza del 20.11.2019, che vengono menzionati in quei passi del ricorso in appello, onde poter verificare se e in che senso il convenuto, attuale ricorrente per cassazione, avesse chiesto al primo giudice un termine per note e su cosa.
La censura, infine, si appalesa infondata per la parte in cui sullo stesso tema si denuncia un’anomalia motivazionale che il ricorrente rappresenta cumulativamente come ‘apparente, manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria, perplessa’, ma anch e ‘incomprensibile’ (cfr. pag. 33 del ricorso).
Già s’è detto che sulla questione di asserita violazione dell’art. 101 c.p.c. in merito ai conteggi ‘riformulati’ la motivazione resa dalla Corte di merito risulti senz’altro chiara.
Quanto, poi, alla contraddizione che intravvede il ricorrente tra tale parte di motivazione e quella che riguarda la prescrizione presuntiva, essa non sussiste perché, come si è visto nell’esaminare il terzo motivo di ricorso, la Corte di merito aveva giud icato generica la censura, ‘contenuta alla pagina 3 della memoria’ di costituzione del convenuto, dei conteggi inizialmente prodotti dall’attrice; mentre, all’inizio di pag. 4, ha ‘altresì evidenziato che nell’atto di appello l’appellante non ha formulato alcuna specifica contestazione in ordine ai suddetti conteggi’, vale a dire, quelli riformulati dall’attrice a seguito dell’analogo provvedimento del Tribunale.
Il ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dello Stato delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 27.5.2025.
Il Presidente NOME COGNOME