Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31176 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 31176 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18567/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) per procura speciale in atti
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE per procura speciale in atti
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimato
–
avverso la sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 5215/2024 depositata il 22/7/2024;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12/11/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
uditi gli AVV_NOTAIO per la ricorrente, che hanno concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso, e l’AVV_NOTAIO per il controricorrente, che ha concluso chiedendo che la Corte dichiari inammissibile il ricorso proposto, ovvero, lo rigetti integralmente perché infondato.
FATTI DI CAUSA
Si evince dalla decisione impugnata che:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (di seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE), il 16 marzo 2022, presentava domanda di omologazione ex art. 182bis l. fall. innanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE;
ii) il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Brescia, non essendo ancora trascorso un anno dal trasferimento della sede legale della società da Brescia a RAGIONE_SOCIALE, proponeva richiesta di fallimento al Tribunale di Brescia in data 17 giugno 2022;
iii) il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in data 24 aprile 2023, rigettava la domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, fissando poi, con decreto del 3 maggio 2023, l’udienza del 12 settembre 2023 per l’esame dell’istanza di apertura della liquid azione giudiziale proposta da RAGIONE_SOCIALE;
iv) RAGIONE_SOCIALE, dopo aver presentato, in data 4 maggio 2023, reclamo avverso il provvedimento di rigetto dell’omologazione ex art. 182bis l. fall. innanzi alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, rinunciava al gravame (il 23 maggio 2023) e proponeva, nelle forme previste dall’art. 44, comma 1, CCII, domanda di concordato liquidatorio ai sensi dell’art. 84, comma 4, CCII;
il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, a seguito della domanda ex art. 44 CCII, nominava il Commissario giudiziale e assegnava termine di centoventi giorni per la presentazione del piano;
vi) RAGIONE_SOCIALE, nel termine assegnato, depositava un piano per la proposizione di un concordato preventivo liquidatorio, ex art. 84, comma 4, CCII, con relativa attestazione e contestuale proposta di transazione fiscale , ai sensi dell’ art. 63 CCII;
vii) il Tribunale di Brescia, in data 3 gennaio 2024, dichiarava il fallimento di RAGIONE_SOCIALE;
viii) il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, il 10 gennaio 2024 e per effetto della sopravvenuta dichiarazione di fallimento a Brescia, dichiarava, con separati decreti, il non luogo a provvedere sia sulla domanda di concordato che sull’istanza di liquidazione giudiziale proposta dall’RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, a seguito del reclamo presentato da RAGIONE_SOCIALE contro il decreto di inammissibilità della proposta di concordato preventivo liquidatorio, rilevava che il procedimento romano per concordato liquidatorio, innestato su altro procedimento per liquidazione giudiziale avviato da RAGIONE_SOCIALE, si era concluso con una declaratoria di non luogo a provvedere rispetto a entrambe le domande, in applicazione della disciplina prevista dagli artt. 27 e ss. CCII.
Sosteneva che il principio dell’unitarietà dei procedimenti di regolazione della crisi di cui all’art. 7 CCII non poteva operare se non dopo che fosse stata esclusa la competenza del Tribunale di Brescia, che invece sussisteva e non era stata messa in discussione neppure dalla reclamante.
Riteneva che l’unico criterio capace di rimuovere la concorrenza di procedimenti fosse quello del giudice che per primo aveva adottato una pronuncia tra quelle rilevanti sia per la legge fallimentare che per il codice della crisi, vale a dire la sentenza di fallimento, legittimamente emessa a Brescia, precisando che non era ammessa la pronuncia dell’incompetenza all’esito del reclamo presentat o ai sensi dell’art. 47 CCII.
Osservava, infine, che il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, consapevole di essere oramai privo non solo della competenza, ma anche dell’astratto potere di vagliare l’istanza di concordato liquidatorio e quella di liquidazione giudiziale, aveva sì adottato un provvedimento apparentemente difforme dallo schema legale (giacché, in applicazione dell’art. 29, comma 2, CCII avrebbe dovuto disporre la trasmissione degli atti al tribunale che si era pronunziato per primo, dato che entrambi i decreti erano stati adottati sul presupposto della già intervenuta sentenza di fallimento a Brescia), che tuttavia non costituiva un vero e proprio vaglio del piano, ma piuttosto la constatazione dell’intervenuto fallimento dell’istante come circostanza impeditiva dell’ulteri ore corso del procedimento.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, pubblicata in data 22 luglio 2024, con cui la c orte d’appello ha rigettato il reclamo, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE.
L’intimata RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato conclusioni scritte, ex art. 378 cod. proc. civ., sollecitando la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il collegio, innanzitutto, ritiene di non accogliere l’istanza di riunione (del presente ricorso con quello iscritto al n. NUMERO_DOCUMENTO) presentata dai difensori della ricorrente nella memoria conclusiva, in quanto i due giudizi, seppur parzialmente connessi sotto un profilo soggettivo, riguardano questioni diverse, di cui si rende opportuna una trattazione separata.
Il ricorso è inammissibile per la ragione che segue, e tanto consente di non dar conto dei motivi in esso spesi.
5.1 Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha emesso, in data 10 gennaio 2024, due separati decreti di non luogo a provvedere, l’uno rispetto alla domanda di concordato preventivo, l’altro con riguardo all’istanza di apertura della liquidazione giudiziale.
L’indicazione dell’oggetto del reclamo contenuta nella decisione impugnata (« Oggetto: reclamo contro il decreto di inammissibilità della proposta di concordato preventivo liquidatorio afferente il Procedimento unitario numero R.G 398- 2/2023 del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, comunicato con biglietto di cancelleria del 15.01.2024 ») non lascia dubbi sul fatto che in questa sede di legittimità si controverta rispetto a un provvedimento della c orte d’appello, emesso ai sensi dell’art. 47, comma 5, CCII (seppur nella forma della sentenza anziché del decreto), che ha provveduto su una statuizione di inammissibilità della proposta concordataria resa dal tribunale a mente del precedente capoverso.
Si tratta allora di stabilire se sia possibile proporre ricorso per cassazione avverso un provvedimento della c orte d’appello che confermi la declaratoria di inammissibilità di una proposta di concordato preventivo (nella specie in presenza di una « circostanza impeditiva dell’ulteriore corso del procedimento »; pag. 6).
5.2 Nel vigore della legge fallimentare questa possibilità non era data.
Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, hanno ritenuto che il decreto con cui il tribunale dichiara l’inammissibilità della proposta di concordato, ai sensi dell’art. 162, comma 2, l. fall. (eventualmente, anche a seguito della mancata approvazione della proposta, ai sensi dell’art. 179, comma 1) ovvero revoca l’ammissione alla procedura di concordato, ai sensi dell’art. 173, senza emettere una consequenziale sentenza dichiarativa del fallimento del debitore, non è soggetto a ricorso per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., non avendo carattere decisorio; questo decreto, non decidendo nel
contraddittorio tra le parti su diritti soggettivi, non è idoneo al giudicato (cfr. Cass., Sez. U., 27073/2016).
5.3 La disciplina introdotta dal codice della crisi non prevede novità tali da indurre a differenti conclusioni.
Il procedimento all’esito del quale si perviene alla declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato è regolato dall’art. 47 CCII, a mente del quale: i) il tribunale, quando accerta la mancanza delle condizioni di cui al comma 1, sentiti il debitore, i creditori che hanno proposto domanda di apertura della liquidazione giudiziale e il pubblico ministero, con decreto motivato dichiara inammissibile la proposta, eventualmente dichiarando con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale quando è stato presentato ricorso da parte di uno dei soggetti legittimati (comma 4); ii) questo decreto è reclamabile nel termine di trenta giorni dalla comunicazione dinanzi alla corte d’appello, la quale, sentite le parti, provvede in camera di consiglio ai sensi degli artt. 737 e 738 cod. proc. civ., con decreto motivato (comma 5); iii) la domanda può essere riproposta, decorso il termine per proporre reclamo, quando si verifichino mutamenti delle circostanze (comma 6).
5 .4 Il decreto emesso dalla corte d’appello ai sensi dell’art. 47, comma 5, CCII ha natura definitiva, perché non è soggetto a un diverso mezzo di impugnazione e concerne lo stato degli atti, con possibilità di riproporre la domanda soltanto se si verifichi un mutamento delle circostanze.
Il decreto in discorso, tuttavia, non ha natura decisoria.
La decisorietà, infatti, consiste « nell’attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, ma ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato (nel che risiede appunto la differenza tra il semplice “incidere” e il “decidere”: cfr., per tutte, Cass. Sez. Prima 10254/1994), il quale, a sua volta, è effetto tipico della giurisdizione contenziosa, di quella, cioè, che si esprime su una controversia, anche solo potenziale, fra parti
contrapposte, chiamate perciò a confrontarsi in contraddittorio nel processo » (così Cass., Sez. U., 27073/2016, pag. 7).
Il contesto normativo del nuovo art. 47 CCII, al pari del previgente art. 162, comma 2, l. fall., non prevede una controversia, anche solo potenziale, tra parti contrapposte.
Anche in questo caso, infatti, la norma prevede una semplice audizione (non più solo del debitore, ma anche dei creditori che hanno proposto domanda di liquidazione giudiziale e del pubblico ministero), che consiste nella rappresentazione al giudice delle proprie tesi e non nell’esposizione delle stesse nel contraddittorio fra le parti.
In altri termini, la norma attualmente in vigore continua a prevedere un’interlocuzione (seppur allargata a creditori istanti e P.M.) che avviene fra il giudicante e la singola parte e non una contrapposizione fra parti nell’ambito di un processo e in funz ione della decisione di una controversia.
Di conseguenza, la statuizione assunta a mente dell’art. 47, commi 4 e 5, CCII ‘incide’ su diritti soggettivi, ma, non essendo effetto di una giurisdizione contenziosa, non ‘decide’ rispetto agli stessi con effetti analoghi al giudicato e dunque, a prescindere dal fatto che nel caso di specie sia stata adottata con la forma della sentenza piuttosto che del decreto, non è suscettibile di ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost..
Va quindi fissato il seguente principio: la decisione della Corte d’appello che conferma , ex art. 47, comma 5, CCII, la declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato già resa dal tribunale ai sensi del precedente comma 4 senza dichiarare l’apertura della liquidazione giudiziale del debitore, ancorché adottata con la forma della sentenza anziché, come devesi, del decreto, non è soggetta a ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., non avendo carattere decisorio.
Per tutto quanto sopra esposto il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in RAGIONE_SOCIALE in data 12 novembre 2025.
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente