Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15640 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15640 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4889-2024 proposto da:
COGNOME domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI MESSINA, in persona del commissario straordinario in carica, domiciliat a ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato COGNOME
-controricorrente –
Avverso l ‘ordinanza n. 21612/23 di questa Corte di Cassazione, depositata in data 20/07/2023;
Oggetto
SOMMINISTRAZIONE
Revocazione ex art. 391- bis c.p.c.
R.G.N. 4889/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale dello 04/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME -quale erede di NOME COGNOME titolare dell’omonima farmacia ricorre, sulla base di un unico motivo, per la revocazione, ex art. 391bis , comma 1, cod. proc. civ., dell’ordinanza di questa Corte n. 21612/23, del 20 luglio 2023, che ne ha dichiarato improcedibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 557/21, del 6 dicembre 2021, della Corte d’appello di Messina, pronuncia, a propria volta, di reiezione del gravame proposto dal COGNOME contro la sentenza n. 533/16, del 25 febbraio 2016, del Tribunale della stessa città, che aveva respinto la domanda di condanna dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Messina (d’ora in poi, ‘ASP Messina’) al pagamento degli interessi, a dire dell’allora attore dovuti, per il ritardato pagamento di prestazioni farmaceutiche.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver adito l’autorità giudiziaria per conseguire il pagamento delle somme maturate a titolo di interessi di mora, ex art. 4 del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, in relazione a prestazioni effettuate ai sensi dell’art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, per gli anni dal 2003 al 2012, oltre agli interessi e alla rivalutazione monetaria da quantificare in corso di causa anche attraverso consulenza tecnica d’ufficio o in via e quitativa.
Costituitasi in giudizio l’ASP Messina, il giudice di prime cure -in accoglimento dell’eccezione all’uopo sollevata dalla convenuta -dichiarava l’intervenuta prescrizione della pretesa quanto alle annualità dal 2003 al 2006 e, comunque, la non debenza si a degli interessi di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 231 del
2002 (disposizione ritenuta non applicabile alla presente fattispecie), sia degli interessi al tasso legale, non avendo parte attrice dato prova del maggior danno subito.
Esperito gravame dal COGNOME, il giudice d’appello lo rigettava, confermando la statuizione relativa all’intervenuta prescrizione per le prestazioni relative al periodo 2003-2006, nonché quella relativa all’impossibilità di applicare la disciplina sui ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni. Motivava, invece, la Corte peloritana la reiezione della domanda di liquidazione degli interessi al tasso legale sul rilievo che, a fronte dell’eccezione dell’ASP ‘di avvenuto adempimento, pur se meramente allegata, parte appellante non ha contestato i fatti eccepiti, né i pagamenti ricevuti, anzi implicitamente ammettendola’, così facendo applicazione , il secondo giudice, del principio di non contestazione di cui all’art. 115, comma 2, cod. proc. civ.
Proposto ricorso per cassazione dal COGNOME, sulla base di cinque motivi, questa Corte lo dichiarava improcedibile, sull’assunto che -avvenuta la notifica dello stesso telematicamente il 6 giugno 2023 (ed essendo rimasta l’ASP di Messina solo intimata) -facesse ‘difetto la sottoscrizione autograf a dell’attestazione di conformità relativa al ricorso’. Di qui, pertanto, l’affermata necessità di dare seguito al principio -enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte -secondo cui ‘il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1bis e 1ter , della L. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa’ comporta l’improcedibilità del ricorso, tra gli altri casi, ‘ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato’
(veniva richiamata Cass. Sez. Un., sent. 24 settembre 2018, n. 22438).
Avverso l’ordinanza di questa Corte ha proposto ricorso per revocazione il Laccoto, sulla base -come detto -di un unico motivo.
3.1. Esso denuncia ‘errore’ ex artt. 391 -bis e 395, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. per avere questa Corte ‘dichiarato la improcedibilità del ricorso, fondando tale giudizio sull’erroneo presupposto che nel caso di specie il ricorrente abbia provveduto al deposito della copia analogica del ricorso per cassazione notificato, priva della asseverazione di conformità’, richiesta dall’art. 9, commi 1 -bis e 1ter , della legge 21 gennaio 1994, n. 53.
In particolare, l’errore revocatorio addebitato a questa Corte è quello di non essersi avveduta che ‘il documento contenente il ricorso per cassazione (depositato) non necessitava di alcuna attestazione, trattandosi di atto nativo digitale’, e ciò ‘a differenza dei documenti su supporto cartaceo, in cui vi è un problema di conformità dell’at to depositato con l’originale’ (richiama, a sostegno, Cass. Sez. 6 -5, ord. 16 gennaio 2023, n. 981).
Notifica e deposito, dunque, sono avvenuti entrambi telematicamente sicché ‘la pronuncia di improcedibilità è stata fondata sulla percezione (erronea) del fatto (inesistente e ritenuto tuttavia dalla Corte esistente) che il difensore del ricorrente avesse depositato il ricorso per cassazione in copia analogica’.
Su tali basi, dunque, il COGNOME ha concluso per l’accoglimento della revocazione e dei già proposti motivi di ricorso.
In particolare, evidenzia che con il primo motivo era stata denunciata -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 5) , cod. proc. civ. -violazione o falsa applicazione degli artt. 1219, 2934 e 2943, comma 4, cod. civ., oltre a omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il motivo, in particolare, censurava la sentenza impugnata là dove il giudice d’appello ha ritenuto prescritta la pretesa attorea per le annualità 20032006, ‘in considerazione del fatto che, nel caso di specie, le due lettere raccomandate del 18 luglio e del 22 agosto del 2008, spedite alla ASP di Messina’ non avessero ‘prodotto l’effetto interruttivo della prescrizione (nella specie quinquennale)’.
Con il secondo motivo era stata denunciata -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello ritenuto che a fronte della ‘eccezione di avvenuto adempimento, pur se meramente allegata, parte appellante non ha contestato i fatti eccepiti, né i pagamenti ricevuti ‘ , anzi l’avrebbe implicitamente ammessa, ‘ osservando che gli eventuali interessi legali corrisposti potevano essere decurtati dalle maggiori somme dovute per gli interessi richiesti nel presente giudizio ivi compresi acconti per eventuali somme liquidate e corrisposte a titolo di maggior danno, rilevando comunque la nullità di tali accordi perché in deroga all’impianto normativo del d.lgs. 231/02’; sicché, secondo la Corte messinese, ‘la mancata contestazione dei pagamenti eseguiti dall’ASP anche per gli interessi come eccepito da parte dell ‘appellata comporta ai sensi dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ. l’ammissione di tali fatt i che non hanno bisogno di essere provati in giudizio’.
Con il terzo motivo era stata denunciata -ex art. 360, comma 1, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ. -‘errata e/o falsa
applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’.
Si addebita al giudice d’appello di aver ‘errato nel ritenere provata l’eccezione della ASP di Messina’, sul rilievo che esso COGNOMEnon avrebbe contestato l’eccezione di adempimento formulata’ dalla stessa, ‘la quale avrebbe eseguito diversi pagamenti’ e ciò ‘anche per gli interessi’, con ‘conseguente ammissione, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., di tali fatti’.
Con il quarto motivo era stata denunciata -ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1284 cod. civ. e dell’art. 8, commi 4 e 5, del d.P.R. 8 luglio 1998, n. 371 e dell’art. 8 del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502.
Si assume che la Corte territoriale ‘ha errato nella misura in cui essa, nel negare la remunerabilità degli interessi ex d.lgs. n. 231/02, non ha ritenuto di liquidare gli interessi al tasso legale’.
Infine, con il quinto motivo era stata denunciata -ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.
Ha resistito all’avversaria impugnazione , con controricorso, l’ASP di Messina, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Il ricorso è inammissibile.
8.1. Invero, quello denunciato con il presente ricorso ex art. 391bis cod. proc. civ. non integra un errore ‘percettivo’ di fatto.
Si legge, invero, nell’impugnata ordinanza di questa Corte che l’esito dell’improcedibilità del ricorso per cassazione deriva dalla circostanza che è risultata, nella specie, ‘mancante l’attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1bis e 1ter , della L. n. 53 del 1994’ . Segue, poi, un elenco di atti in relazione ai quali il difensore, diversamente che per il ricorso, ha provveduto ‘a produrre un’attestazione di conformità’, per poi concludersi che, ‘facendo difetto la sottoscrizione autografa dell ‘ attestazione di conformità relativa al ricorso, trova applicazione il principio secondo cui «il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1bis e 1ter , della L. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l ‘ improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all ‘ originale notificatogli »’, mentre, all’opposto, l’esito dell’improcedibilità s’impone ‘ ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga
solo intimato ‘, come accaduto nella specie, visto che l’ASP Messina rimase intimata nel giudizio di legittimità.
Orbene, l’impugnata ordinanza riconosce che la notifica ha avuto ad oggetto un atto ‘nativo digitale’, ma ricollega a tale fatto -correttamente percepito -una conseguenza giuridica errata, ovvero che fosse necessario pure per tale atto, in occasione del suo deposito, avvenuto telematicamente, atte starne la conformità all’originale notificato. Si tratta, tuttavia, in ipotesi, di errore in diritto, richiamandosi il ricorrente al principio secondo cui ‘l’attestazione di conformità dell’atto depositato è richiesta soltanto nel caso in cui l’atto notificato sia allegato al fascicolo dibattimentale previa estrazione di copia analogica, e l’evento si verifica nel solo caso in cui non sia stato possibile procedere al deposito con modalità telematica dell’atto notificato con modalità telematica’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-5, ord. 16 gennaio 2023, n. 981, Rv. 666523-01, richiamato in ricorso). Precisa, altresì, il citato arresto che ‘la ragione della scelta operata dal legislatore, che non richiede l’attestazione di conformità in relazione all’atto nativo digitale, il quale sia prodotto in giudizio in tale forma, mediante allegazione telematica al fascicolo dibattimentale, dipende dal fatto che, a differenza dei documenti su supporto cartaceo, in cui vi è un problema di conformità dell’atto depositato con l’originale, quando il deposito riguarda l’atto digitale, lo stesso non viene prodotto in «copia», bensì in originale, essendo l’originale dell’atto suscettibile di ripetute riproduzioni, senza perdere le sue caratteristiche di essere un atto originale’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 6 -3, ord. n. 981 del 2023, cit .).
L’ordinanza impugnata, dunque, nell’impostazione del ricorrente avrebbe disatteso tale principio, ma ciò integra, appunto, la prospettazione di un errore di diritto, non
denunciabile con lo strumento dell’impugnazione per revocazione, visto che il ‘ combinato disposto dell’art. 391bis e dell ‘ art. 395, n. 4), cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l ‘ errore di diritto, sostanziale o processuale ‘ ( Cass. Sez. Un., ord. 11 aprile 2018, n. 8984, Rv. 648127- 02).
In ogni caso, quand’anche fosse stato possibile ciò che è, invece, precluso dall’inammissibilità del mezzo procedere alla fase rescissoria del giudizio ex art. 391bis cod. proc. civ., il ricorso per cassazione ‘ illo tempore ‘ proposto si sarebbe palesato inammissibile.
9.1. Inammissibile si sarebbe dovuto ritenere, infatti, il primo motivo, atteso che la censura relativa alla dichiarata prescrizione del credito relativamente alle annualità 2003-2006 -come reso evidente dalla contestuale denuncia del vizio di violazione o falsa applicazione degli artt. 1219, 2934 e 2943 cod. civ. e di omesso esame circa un fatto decisivo -è prospettata attraverso una rivalutazione dei fatti di causa.
Al riguardo, per contro, va ribadito che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. ‘consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità’ ( cfr. ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio
2019, n. 3340, Rv. 652549-02). E ciò in quanto il vizio di sussunzione ‘postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso ‘ , sicché è estranea alla sua denuncia ‘ ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito’ (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01; in senso analogo, più di recente, Cass. Sez. 3, ord. 16 luglio 2024, n. 19651, Rv. 671812-01). Ne consegue, quindi, che il ‘discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell ‘ erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l ‘ ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest ‘ ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa’ (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442).
9.2. Inammissibili si sarebbero dovuti ritenere pure i motivi di ricorso secondo e terzo.
9.2.1. Essi, come visto, denunciano (secondo motivo) la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., sull’assunto che, in materia di responsabilità contrattuale, mentre il creditore deve solo provare il titolo della propria pretesa (nonché allegare il fatto dell’inadempimento), grava sul debitore la prova del pagamento. Sarebbe stato, dunque, sovvertito l’ordinario riparto dell’onere della prova, dando rilievo ad una ‘non contestazione’, che, oltretutto, non sarebbe tale (terzo motiv o), avendo esso COGNOME, ‘nella prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ.’, contestato i pagamenti.
Orbene, nello scrutinare tali motivi va premesso che costituisce ‘elemento valutativo riservato al giudice del merito’, apprezzare, ‘nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla cont roparte’ (così Cass. Sez. 6-1, ord. 7 febbraio 2019, n. 3680, Rv. 65313001), sicché tale ‘apprezzamento è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni poste a fondamento della decisione’ (Cass. Sez. 1, sent. 11 giugno 2014, n. 13217, Rv. 631806-01).
Ciò detto, il secondo motivo del ricorso ordinario sarebbe stato da dire inammissibile.
Se è vero, infatti, che in materia di responsabilità contrattuale gli oneri probatori si distribuiscono secondo il criterio indicato dall’odierno ricorrente (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 30 ottobre 2001, n. 13533, Rv. 549956-01; nello stesso senso, più di recente, Cass. Sez. 3, sent. 20 gennaio 2015, n. 826, Rv. 63436101), ciò non toglie che la prova dell’avvenuto pagamento possa trarsi anche dalla ‘non contestazione’ (si veda Cass. Sez. Lav., sent. 2 novembre 2009, n. 23142, Rv. 610317-01), giacché tale principio è destinato ad operare pure rispetto a fatti modificativi o estintivi del diritto azionato (tra le molte, Cass. Sez. 2, ord. 4 aprile 2024, n. 8967, Rv. 67095801; Cass. Sez. Lav., sent. 19 agosto 2019, n. 21460, Rv. 654812-01), con la duplice avvertenza, però, che la specificità della contestazione, per un verso, presuppone una ‘puntuale allegazione’ (da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 29 settembre 2020, n. 20525, Rv. 659198-02) e che, per altro verso, la
contestazione non può consistere nella ‘generica deduzione di assenza di prova senza negazione del fatto storico’, trattandosi di evenienza che ‘non è equiparabile alla specifica contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ.’ (cfr. Cass. Sez. 6-3, ord. 27 agosto 2020, n. 17889, Rv. 658756-01).
Escluso, dunque, che la ‘non contestazione’ di un pagamento alteri, di per sé, l’ordinaria distribuzione dei principi di riparto dell’onere della prova in materia di responsabilità contrattuale, la violazione dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ. potrebbe, astrattamente, configurarsi in due modi. Ovvero, dimostrando che l’allegazione dell’avvenuto pagamento non ebbe carattere ‘puntuale’ (tal è l’altra censura, sempre oggetto del secondo motivo di ricorso), oppure -come ipotizza, in particolare, il terzo motivo -mercé la dimostrazione che essa formò oggetto di specifica contestazione.
Senonché le due censure non risultavano svolte nel rispetto dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., non avendo il ricorrente provveduto alla riproduzione testuale di stralci dei precedenti scritti defensionali, propri e della controparte, che evidenzino o la carenza di puntualità dell’al legazione di controparte o, per converso, la specificità della propria contestazione (cfr. Cass. Sez. 6-3, ord. 22 maggio 2017, n. 12840, Rv. 644383-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2024, n. 15058, Rv. 671191-01).
9.3. Inammissibile sarebbe stato pure il quarto motivo di ricorso.
9.3.1. Esso lamenta la mancata liquidazione degli interessi -una volta esclusa la possibilità di applicazione dell’ art. 4 del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 -almeno al tasso legale.
Senonché, una volta negata, dalla Corte territoriale, l’es istenza di un credito in favore del ricorrente, viene meno, per ciò solo, la possibilità di liquidare qualsiasi tipo di interesse.
9.4. Infine, inammissibile si sarebbe dovuto dire pure il quinto motivo di ricorso.
9.4.1. Secondo il ricorrente, il giudice d’appello avrebbe dovuto -stante un preteso mutamento di giurisprudenza, intervenuto sulla questione devoluta al suo esame -disporre la compensazione delle spese di lite.
Senonché, in materia di spese di lite, esula dal sindacato di questa Corte, ‘rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi’ (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 ottobre 2017, n. 24502, Rv. 646335-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. 1, ord. 4 agosto 2017, n. 19613, Rv. 64518701), giusti motivi, peraltro, ‘la cui insussistenza il giudic e del merito non è tenuto a motivare’ (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 26 novembre 2020, n. 26912, Rv. 659925-01; nello stesso senso già Cass. Sez. Un., sent. 15 luglio 2005, n. 14989, Rv. 582306-01; Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2005, n. 28492, Rv. 585748-01; Cass. Sez. 3, sent. 31 marzo 2006, n. 7607, Rv. 590664-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 26 aprile 2019, n. 11329, Rv. 653610-01).
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A carico del ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al
competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione, condannando NOME COGNOME a rifondere, all’Azienda sanitaria provinciale di Messina, le spese del presente giudizio, liquidate in € 2.8 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente , al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della