Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33469 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33469 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13490/2023 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ; NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, NOME, NOME, COGNOME NOME , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrenti – contro
Oggetto: Contratti bancari – Conto corrente – Commissione massimo scoperto – Interessi – Capitalizzazione – Recesso
R.G.N. 13490/2023
Ud. 06/12/2024 CC
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
-intimate – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO CATANZARO 1403/2022 depositata il 13/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
n. giorno
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1403/2022, pubblicata in data 13 dicembre 2022 , la Corte d’appello di Catanzaro, nella regolare costituzione dell’appellata UBI BANCA S.P.A. (già Banca Carime S.p.A.), ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale Cosenza n. 55/2018, pubblicata in data 10 gennaio 2018.
Con tale statuizione il Tribunale di Cosenza -decidendo sulle domande degli odierni ricorrenti volte a conseguire: 1) l’accertamento del l’illegittimità delle clausole contenute in un contratto di conto corrente ed in un collegato conto anticipi per effetto de ll’applicazione di interessi ultra legali e usurari, di spese e commissioni non pattuite e della capitalizzazione trimestrale degli interessi; 2) la condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite ed al risarcimento dei danni patrimoniali e morali subiti dagli attori – aveva dichiarato l ‘ inammissibilità della domanda di ripetizione di indebito, essendo ancora pendente il rapporto di conto corrente, mentre aveva respinto le ulteriori domande, escludendo l’applicazione ai rapporti di clausole illegittime.
La Corte territoriale ha ritenuto di condividere le conclusioni cui era pervenuto il giudice di prime cure, affermando la inammissibilità della domanda di ripetizione di indebito in costanza di rapporto di conto corrente -‘ non essendo tecnicamente configurabile alcun pagamento ripetibile nel caso in cui il rapporto sia ancora in essere ‘ -e invece l’ammissibilità della domanda di accertamento del corretto rapporto di dare-avere in relazione al rapporto ancora aperto.
In relazione a tale ultima domanda, tuttavia, la Corte d’appello, rilevato che il conto corrente -aperto in data 17 febbraio 2004 -conteneva clausole di capitalizzazione periodica con eguale cadenza su saldi attivi e passivi; che tutte le condizioni contrattuali afferenti al rapporto erano state esplicitamente approvate; che quindi erano determinati specificamente la misura dei tassi creditori e debitori e delle commissioni di massimo scoperto; ha confermato la statuizione di rigetto nel merito della domanda già adottata dal giudice di prime cure.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro ricorrono RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Sono rimaste intimate RAGIONE_SOCIALE BPER BANCA S.P.ARAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, cui i ricorrenti hanno notificato il ricorso: quanto ad RAGIONE_SOCIALE quale società incorporante UBI RAGIONE_SOCIALEP.RAGIONE_SOCIALE; quanto a BPER BANCA RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del ramo d’azienda di Unione di Banche Italiane S.p.A., comprendente la filiale di Manduria ove è sorto e si è svolto il rapporto bancario controverso; quanto ad RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria dei crediti vantati dai primi due Istituti.
In data 12 dicembre 2023, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza del ricorrente per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1845, terzo comma; 1855; 2033 c.c.; 100; 112; 115 e 116 c.p.c.
Il ricorso censura la decisione impugnata nella parte in cui la medesima ha ritenuto inammissibile la domanda di ripetizione di indebito per essere il rapporto di conto corrente ancora aperto.
Deduce, per contro, che il conto corrente doveva ritenersi chiuso per effetto del recesso esercitato dai ricorrenti in virtù della notifica dell’atto di citazione che conteneva, appunto, la domanda di ripetizione di indebito, peraltro deducendo profili di nullità delle clausole contrattuali, tali da costituire a propria volta giusta causa di recesso.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. ‘in relazione agli artt. 1845, comma 3, c.c., 1855 c.c., 115 e 116 c.p.c.’ .
I ricorrenti censurano la decisione impugnata in quanto la stessa avrebbe radicalmente omesso di statuire sulla domanda di accertamento dell’intervenuta chiusura del conto per effetto dell’esercizio del diritto di recesso.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 118 D. Lgs. n. 385/93; 1418, secondo comma; 1325 n. 2; 1346; 1419, primo comma; 1322 c.c.; 2bis , D.L. n. 185/2008.
Il motivo censura la decisione impugnata in quanto quest’ultima avrebbe ritenuto valida una clausola di pattuizione della commissione di massimo scoperto da ritenersi invece nulla per indeterminatezza ed indeterminabilità dell’oggetto , e quindi nulla anche per difetto di causa.
I motivi di ricorso sono, nel complesso inammissibili.
2.1. Quanto ai primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, l’inammissibilità dei medesimi discende direttamente dal mancato rispetto del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., già rilevato nella proposta ex art. 380bis c.p.c.
Il ricorso, infatti, viene a sostenere la tesi, non condivisibile, per cui la notifica dell’originario atto di citazione avrebbe per ciò solo espresso formalmente la volontà di recedere dai rapporti: per contro sarebbe stato, semmai, onere dei ricorrenti dimostrare -riproducendo i relativi passaggi dell’originario atto introduttivo -che già al momento dell’instaurazione del giudizio essi avevano espress amente dichiarato la volontà di esercitare la facoltà di recesso tramite la notifica della citazione, laddove è lo stesso ricorso ad ammettere nella propria ricostruzione che tale volontà è stata esplicitata solo nel giudizio di appello.
Tesi, questa, che, a propria volta incontra il limite del mancato rispetto dell’art. 366 c.p.c., risultando ancora una volta non adeguatamente riprodotto o localizzato l’atto con il quale tale domanda -comunque tardiva -sarebbe stata formulata alla Corte territoriale, come peraltro già rilevato nella proposta ex art. 380bis c.p.c.
Quanto alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la stessa si colloca radicalmente al di fuori del perimetro già individuato da questa Corte in materia, dovendosi richiamare il principio (enunciato da Cass. Sez. U – Sentenza n. 20867 del 30/09/2020) per cui:
per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.;
la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
2.2. Quanto al terzo motivo, lo stesso si diffonde in una serie di considerazioni fattuali che mirano a svolgere una mera critica del merito della decisione, senza in alcun modo dedurre concretamente una violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
Si deve, allora, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese, essendo rimasti intimati i soggetti evocati.
4 . Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore dei ricorrenti soccombenti al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara il ricorso inammissibile;
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione