Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15824 Anno 2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al N. 3618/2024 R.G., proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata, domicilio digitale come in atti
– resistente –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Bologna n. 1486/2023 pubblicata il
6.7.2023;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 1.4.2025 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Si evince dalla sentenza impugnata che il Tribunale di Bologna, con sentenza del 12.6.2017, respinse la domanda proposta da NOME COGNOME per l’accertamento della responsabilità civile dei magistrati del Tribunale e della Corte d’appello di Trieste ai sensi della legge n. 117/1988 e succ. modd., per aver dichiarato nell’anno 2001 il fallimento della RAGIONE_SOCIALE e del socio accomandatario NOME COGNOME con sentenza non revocata, nonostante opposizione. Il Tribunale non ritenne la responsabilità per colpa grave dei giudici di primo grado, che avevano dichiarato l’improcedibilità dell’opposizione per manca ta produzione della sentenza dichiarativa del fallimento, benché sul punto la decisione fosse stata riformata nel grado successivo, in quanto la decisione era basata su un orientamento giurisprudenziale, benché minoritario. Il Tribunale felsineo ritenne invece sussistente la responsabilità per colpa grave dei giudici di secondo grado, per non aver rilevato il vizio di notifica della sentenza dichiarativa del fallimento, con conseguente pronuncia di inammissibilità dell’opposizione per tardività ex art. 18 l.fall. (decisione poi cassata dalla S.C., sicché, nel giudizio di rinvio, il fallimento venne infine revocato). Tuttavia, il Tribunale rigettò la domanda del COGNOME, non ritenendo sussistente il nesso di causalità tra l’errore giudiziario e i danni denunciati, stante il conclamato stato di decozione della società, che avrebbe verosimilmente condotto ad una nuova declaratoria di fallimento, ove il vizio fosse stato rilevato.
Il COGNOME gravò la decisione e la Corte d’appello di Bologna, nella resistenza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rigettò l’appello con sentenza del 6.7.2023. In particolare, si rilevò l’inammissibilità del primo motivo d’appello,
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con cui si perorava la responsabilità per la fase prefallimentare, in quanto questione nuova, nonché per non essere stata specificamente censurata la ratio decidendi sulla improcedibilità del l’opposizione; si ritenne poi corretto il ragionamento del primo giudice, sia con riguardo al giudizio prognostico sull ‘esito del procedimento di reclamo ex art. 18 l.fall., ove si fosse delibato il merito (previa rimessione al giudice di primo grado), sia sulla probabilità che, comunque, il fallimento sarebbe stato nuovamente dichiarato, in ogni ipotesi. Avverso detta sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di tre motivi, illustrati da memoria. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha depositato ‘atto di costituzione’.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si lamenta la ‘ Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 2 L. 117/1988 siccome modificata dalla L. 18/15) con riferimento al mancato riconoscimento della responsabilità grave del Tribunale di Trieste relativamente alla pronunciata sentenza n. 362/03, dd. 06.03.2023, depositata il 20.03.2003, e/o omessa valutazione emergenze di causa e/o illogicità e/o erroneità della motivazione (art. 115 c.p.c. -art. 360, I° comma, n. 3 e 5, c.p.c.) ‘, per non aver la Corte felsinea considerato che il collegio giudicante del Tribunale di Trieste era composto in modo identico, sia con riguardo alla fase prefallimentare, sia a quella di opposizione alla dichiarazione di fallimento.
1.2 -Con il secondo motivo si denuncia la ‘ Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 353354 cpc) con riferimento al terzo motivo d’appello ed al mancato riconoscimento del nesso di causalità tra danno lamentato e responsabilità dei giudici e/o omessa valutazione emergenze di causa e/o
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illogicità e/o erroneità della motivazione (art. 115 c.p.c. -art. 360, I° comma, n. 3 e 5, c.p.c.) ‘, per non aver la Corte d’appello considerato che , ove anche la causa fosse stata rimessa al primo giudice, il giudizio avrebbe dovuto comunque essere riassunto e, dunque, la declaratoria di fallimento non poteva dirsi indefettibile. Il ricorrente si duole, poi, della mancata considerazione, da parte del giudice d’appello, delle circostanze per cui erano stati raggiunti accordi per la dismissione del parco automezzi e per la fruizione di prestiti, il che avrebbe nella sostanza escluso ogni preteso automatismo ancora ai suddetti fini.
1.3 -Con il terzo motivo, infine, si denuncia la ‘ Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in punto riconoscimento del danno e/o omessa valutazione emergenze di causa e/o illogicità e/o erroneità della motivazione (art. 115 c.p.c. -art. 360, I° comma, n. 3 e 5, c.p.c.) ‘ , per non aver la Corte d’appello ritenuto idonea la documentazione versata in atti a comprova dei danni rivendicati.
2.1 -Il ricorso è palesemente inammissibile, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., difettando della sia pur minima esposizione dei fatti processuali (oltre che, a ben vedere, anche sostanziali), tanto ciò vero che per la ricostruzione narrativa della vicenda , sopra riportata, s’è dovuto necessariamente attingere alla sentenza impugnata. Basti solo considerare che non viene neppure indicato in ricorso -come invece risulta da quest’ultima che l’azione risarcitoria è stata promossa sia contro i giudici del Tribunale di Trieste, sia contro quelli della Corte giuliana.
Tanto rende praticamente incomprensibili le censure avanzate contro la decisione d’appello. Né le informazioni necessarie possono recuperarsi dagli isolati e caotici spunti cui si fa cenno, passim , nel corpo dei singoli motivi.
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In proposito, la giurisprudenza di legittimità è assolutamente consolidata nell’affermare con riguardo al previgente art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., ma con considerazioni valevoli anche per la disposizione come novellata dal d.lgs. n. 149/2022, nella specie applicabile -che ‘ Il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. – secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa – non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, bensì a consentire alla S.C. di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti; per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata ‘ (così, ex multis , Cass. n. 1352/2023).
Il mancato rispetto dei superiori canoni rende dunque il ricorso inammissibile.
2.2 -Davvero ad abundantiam , può aggiungersi che, se fosse possibile scrutinare i motivi, per quanto dalla loro lettura può evincersi, si evidenzierebbe: a) che il primo motivo non individua la motivazione criticanda; se essa dovesse individuarsi in quella sul primo motivo di appello, palese ne sarebbe l’inammissibilità, in quanto quel motivo è stato a sua volta dichiarato
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inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e d essa sarebbe stata l’unica motivazione impugnabile (v. Cass., Sez. Un., n. 3840/2007), mentre non lo è stata; inoltre, la violazione dell’art. 115 c.p.c. è stata dedotta senza rispettare i criteri dettati da Cass., Sez. Un., n. 20867/2020, e successiva giurisprudenza conforme;
che il secondo motivo, là dove sostiene che la riassunzione dopo la rimessione al primo giudice sarebbe stata solo eventuale e non certa, si sostanzia in un assunto che non solo non evidenzia alcuna violazione o falsa applicazione dell’art. 354 c.p.c., ma, soprattutto sollecita, ai fini della pretesa maggiore probabilità della non riassunzione, una valutazione della quaestio facti preclusa dal vigente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ; quanto all’art. 115 c.p.c., valga quanto già detto;
che il terzo motivo è meramente sollecitatorio di una rivalutazione della quaestio facti , indebitamente proposta -tenuto conto dei limiti al controllo della Corte su di essa, emergenti dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c. -sotto l’usbergo dell’art. 115 c.p.c., sempre dedotto senza rispettare i criteri indicati dalla citata giurisprudenza.
3.1 In definitiva, il ricorso è inammissibile. Nulla va disposto sulle spese di lite, non avendo la Presidenza del Consiglio dei Ministri svolto difese, al di là del mero deposito di un ‘atto di costituzione’, non integrante un con troricorso.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 1.4.2025.