Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25608 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25608 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5952/2023 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’av v. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente
–
contro
FALLIMENTO B.T.R. ITALIAN COGNOME,
Opposizione esecuzione PA -Ingiunzione fiscale R.D. 639/1910
-intimato –
per la cassazione della sentenza n. 1329/2023 della CORTE d’APPELLO di Roma pubblicata il 22.2.2023;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 4.4.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 6246/2020, pubblicata il 17.4.2020, il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso l’ ingiunzione di pagamento emessa dal Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi dell’art. 2 R.D. 639/1910 di euro 604.800,00, oltre interessi legali.
La vicenda traeva origine da un ingente finanziamento pubblico concesso a RAGIONE_SOCIALE (d’ora in a vanti indicata come RAGIONE_SOCIALE), debitrice verso RAGIONE_SOCIALE per il pagamento di canoni di locazione, che induceva il Procuratore Regionale presso la Sezione della Campania della Corte dei conti ad avviare un giudizio di responsabilità erariale nei confronti della società e dei suoi legali rappresentanti per la gestione del contributo statale. Il procedimento si concludeva con sentenza di condanna al pagamento della somma di euro 5.298.22,25 in solido tra i convenuti, successivamente confermata anche in grado di appello (Corte dei conti -Sezione Giurisdizionale per la Campania, sent. n. 1145/2012 e Corte dei conti -Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’ Appello, sent. n. 334/2015).
In seguito, il Ministero dello Sviluppo Economico revocava i contributi concessi, e in ragione del conseguente debito, era dichiarato il fallimento di B.T.R. Nelle more, a tutela del credito erariale per il risarcimento del danno accertato, era esercitata dinanzi alla Corte dei Conti dal Procuratore regionale della Corte dei Conti l’ azione revocatoria per far dichiarare l’inefficacia del pagamento dei canoni di locazione per la somma di euro 604.800,00 da parte di B.T.R. nei confronti di RAGIONE_SOCIALE Successivamente, anche il curatore del RAGIONE_SOCIALE promuoveva autonoma azione di revocatoria ex art. 66 L.F. Il giudizio dinanzi alla Corte dei conti si concludeva con la sentenza n. 265/2012, confermata in appello
con la sentenza n. 32/2016, quanto alla revocazione del pagamento di euro 604.800,00 effettuato da B.T.R. in favore di RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione sul rilievo che il credito azionato dal Ministero poggiava sulle indicate pronunce della Corte dei conti passate in giudicato.
La Corte d’Appello di Roma con sentenza pubblicata il 22.2.2023 rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE con l’aggravio delle spese del grado.
Per quanto ancora rileva ai fini del presente giudizio, in relazione alla censura secondo cui in pendenza del fallimento non sarebbe stato possibile emettere l’ ingiunzione di pagamento da parte del Ministero, notava la Corte d’appello che l’azione revocatoria determina l’inefficacia dell’atto revocato nei confronti del solo creditore agente senza alcun effetto restitutorio verso il patrimonio del debitore , sì che l’importo di euro 604.800,00 non rientrava nella massa del Fallimento B.T.R. N é l’azione promossa sarebbe divenuta improcedibile per effetto della dichiarazione di fallimento del debitore, quando il curatore non manifesti la volontà di subentrare in detta azione, né altrimenti risulti aver intrapreso analoga azione ex art. 66 L.F. (nella sentenza si segnalava che non vi erano notizie sul prosieguo dell’azione promossa nel 2013 dalla procedura).
Nella vicenda trattata, proseguiva la Corte d’appello, il curatore non era subentrato al creditore nell’azione revocatoria, e il relativo giudizio , di cui era parte anche RAGIONE_SOCIALE, si era concluso con un giudicato che copriva quindi le questioni della legittimazione del creditore singolo all’esercizio dell’azione revocatoria (la circostanza della formazione del giudicato, già rilevata nella motivazione dal primo giudice, non era contestata), della sussistenza e dell ‘ammontare de l credito, nonché del concorso del creditore ex art. 1227 cod. civ.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ.
Il Ministero delle Imprese e del RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, la violazione degli artt. 51, 52, 66 e 70 L.F.
La ricorrente rileva che n ell’atto di citazione era stato dedotto che il curatore di RAGIONE_SOCIALE aveva svolto in via aut onoma l’azione per la revocatoria del pagamento di euro 604.800,00 corrisposti mediante bonifici e di euro 87.000 versati a mezzo assegni. La Corte d’appello , erroneamente, dando rilievo al passaggio in giudicato della sentenza della Corte dei Conti n. 32/2016, non aveva considerato che la questione posta consistesse nello stabilire se fosse consentito al creditore singolo, che abbia ottenuto un mezzo di garanzia patrimoniale, porlo in esecuzione mediante l’ingiunzione di pagamento in ipotesi di concomitante azione del creditore collettivo, tesa a ottenere identico strumento di ripristino della garanzia patrimoniale dell’originario debitore. L’azione del curatore comportava che il bene oggetto dell’atto revocato sarebbe stato acquisito al fallimento , con il conseguente divieto di azioni esecutive individuali.
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 R.D. 639/1910, 2901, commi primo e terzo, 2909 cod. civ.
La ricorrente sostiene che il Ministero non sia titolare di alcun credito nei suoi confronti non essendo mai stata coinvolta nei ‘procedimenti amministrativi e giudiziari’ , che avevano visto B.T.R., unico soggetto obbligato, soccombente. La Corte d’appello in violazione dell’art. 2. R.D. 639/1910 aveva rigettato il secondo motivo d’appello , legittimando una ingiunzione di pagamento in assenza di alcun debito in capo all’ingiunta. Qualora avesse inteso attribuire un effetto traslativo del credito al vittorioso esperimento dell’azione revocatoria , la Corte d’appello avrebbe
erroneamente interpretato il giudicato della sentenza n. 32/2016 della Corte dei conti.
Con il terzo motivo (condizionato al mancato accoglimento del secondo) si denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 R.D. 639/1910, 2901, commi primo e terzo, 2909 cod. civ.
Osserva la ricorrente che, quand’anche esistente un credito del Ministero nei suoi confronti, questo non sarebbe determinato nel suo ammontare. Infatti, la Corte dei conti con la sentenza n. 32/2016, non aveva revocato il contratto di locazione, ma l’accordo novativo per il pagamento anticipato dei canoni, sì che il contratto era valido ed efficace e, conseguentemente, B.T.R. sarebbe stata tenuta in ogni caso al pagamento dei canoni . Erroneamente la Corte d’appello aveva disatteso tale doglianza sulla base del giudicato derivante dalla sentenza n. 32/2016. Qualora avesse ritenuto inefficace anche il contratto di locazione, la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2909 cod. civ. nell’interp retare la portata del giudicato formatosi dinanzi alla Corte dei conti.
Con il quarto motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ.
La ricorrente deduce che nel corso del giudizio era stato chiesto, ‘anche a prescindere da quanto ritenuto sul punto dalla Corte dei conti nelle sentenze n. 1145/2012 e n. 334/2015’, di dichiarare la prescrizione del credito ingiunto dal Ministero nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e che lo stesso Ministero in base al principio di autoresponsabilità non avrebbe potuto far valere il credito verso un terzo (RAGIONE_SOCIALE).
La Corte dei conti nella sentenza n. 32/2016 non aveva esaminato le sue specifiche censure sull’esistenza del credito , ma tale pronuncia non aveva efficacia di giudicato verso la ricorrente in quanto inclusivo anche della condanna verso il debitore (B.T.R.). Da cio derivava la violazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ. per avere la Corte di
appello erroneamente ritenuto che ‘ dal coacervo delle sentenze richiamate emergesse l’esistenza di un giudicato idoneo a coprire le censure dedotte e, dunque, una errata interpretazione dell’effetto precettivo-conformativo delle sentenza Corte dei conti n. 334/15 (da un lato) e n. 32/2016 (dall’altro) ‘ .
I motivi illustrati possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili.
5.1. Il ricorso si espone a un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità, perché carente del requisito di contenuto-forma prescritto dall’art. 366, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Nella parte introduttiva dell’atto la ricorrente, infatti, ha omesso di specificare, sia pur in modo sintetico, le domande svolte, per essersi limitata a riportare , dopo aver narrato l’antefatto e l’esito dei giudizi avviati presso la Corte dei Conti, che ‘ sulla base delle già menzionate considerazioni, con atto di citazione ex art. 3 R.D. 14.4.1910, n. 639 del 16 novembre 2016 la ricorrente contestò l’ingiunzione fiscale instaurando il primo grado del presente giudizio che venne deciso con la sentenza del Tribunale di Roma n. 6246/2020, depositata il 17.4.2020 di poi impugnata in Corte di Appello dalla RAGIONE_SOCIALE per i seguenti motivi: I) Violazione degli artt. 51, 66 e 70 della legge fallimentare; II) Falsa applicazione dell’art. 2 del R.D. 14.4.1910, n. 639; III) Violazione dell’art. 2934 C.C. e dell’art 2939 C.C. IV) Violazione dell’art. dell’art. 1227 C.C.; tuttavia, con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Roma ha rigettato l’appello ‘.
Anche i singoli motivi non illustrano in modo adeguato il tenore delle domande svolte nelle diverse sedi giudiziarie, sì che per la relativa comprensione la Corte dovrebbe procedere alla lettura degli atti del processo.
5.2. La prescrizione normativa contenuta nell’art. 366, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e
la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2003, n. 2602).
Per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata (v. Cass. 12 gennaio 2024, n. 1352).
La legittimità di tale requisito di accesso al giudizio di legittimità non può essere messa in dubbio in relazione al diritto di difesa delle parti, o a quello al giusto processo, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost., ovvero dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata -in uno al protocollo aggiuntivo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 -con legge 4 agosto 1955, n. 848, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955 ed entrata in vigore il 10 ottobre 1955).
Il primo motivo è, altresì, inammissibile per effetto del giudicato interno.
La Corte d’appello, richiamata la funzione dell’azione revocatoria di ricostruzione della generica garanzia patrimoniale del debitore compromessa dall’atto dispositivo , ma pur sempre limitata alla dichiarazione di inefficacia di questo rispetto al singolo creditore, al fine di consentirgli di aggredire il bene in sede esecutiva, se rimasto insoddisfatto il proprio credito, ha evidenziato che l’importo di euro 604.800,00 non faceva parte della massa del Fallimento B.T.R., n é l’azione promossa sarebbe divenuta improcedibile per effetto della dichiarazione di fallimento del debitore, quando il curatore del fallimento non manifesti la volontà di subentrare in detta azione, né altrimenti risulti aver intrapreso analoga
azione ex art. 66 L.F. (nella sentenza si è segnalato che non vi erano notizie sul prosieguo dell’analoga azione svolta nel 2013 da parte della procedura).
Nella vicenda trattata, ha proseguito la Corte d’appello, il curatore non era subentrato al creditore nell’azione revocatoria, e il relativo giudizio, di cui era parte anche RAGIONE_SOCIALE, si era concluso con un giudicato che copriva la questione della legittimazione del creditore singolo all’esercizio dell’azione revocatoria , aggiungendo ‘ la circostanza della formazione del giudicato, già rilevata nella motivazione dal primo giudice, non era contestata, la quale pertanto in questa sede non può essere rimessa in discussione’ (pagina 6 della sentenza).
La ricorrente in questa sede sostiene che al creditore singolo, che abbia ottenuto un mezzo di garanzia patrimoniale, deve ritenersi precluso avviare e/o proseguire la susseguente esecuzione, qualora il creditore collettivo abbia avviato identica azione.
Anche a voler prescindere dal fatto che la ricorrente ha omesso di specificare, tanto nella sezione dedicata all ‘esposizione del fatt o, quanto nel corpo del motivo, se e quando la questione sia stata dedotta nel corso del giudizio di primo e secondo grado, il problema sollevato è stato affrontato da Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2008, n. 22941, la quale ha sostenuto che dall’art. 51 L.F. non deriva un ostacolo al giudizio promosso dal singolo creditore : ‘ Se è vero che l’azione revocatoria è naturalmente preordinata al soddisfacimento esecutivo del creditore, nondimeno, di per sé stessa, essa non può considerarsi un’azione esecutiva, essendo volta ad ottenere null’altro che una pronuncia dichiarativa dell’inopponibilità al creditore dell’atto dispositivo compiuto dal debitore. La successiva fase esecutiva cui il vittorioso esperimento di detta azione potrebbe metter capo, d’altronde, avrebbe ad oggetto un bene quello del quale il debitore ha disposto compromettendo la garanzia generica del creditore -che non è più compreso nel patrimonio del debitore medesimo (né dunque nel fallimento) e che neppure per effetto dell’accoglimento della domanda revocatoria tornerebbe ad esserne compreso, perché non viene intaccata la
validità e neppure, in assoluto, l’efficacia dell’atto con cui detto bene è stato trasferito ad altri, ma lo si rende soltanto inopponibile al creditore che ha esperito l’azione’.
Né i principî enunciati dall’art. 52 L.F., che regolano il concorso dei creditori in presenza del fallimento del comune debitore, ‘ sono logicamente incompatibili con la prosecuzione dell’azione revocatoria da parte del singolo creditore, una volta che tale azione non entri in concorrenza con un’analoga iniziativa del curatore. La circostanza che quest’ultimo, almeno per il momento, no n abbia inteso impugnare nell’interesse della massa l’atto di disposizione compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, con la conseguenza che il bene oggetto di quel l’atto non appare destinato ad essere acquisito al fallimento, né perciò è prevedibile che sia assoggettato ad alcuna attività esecutiva nell’ambito della procedura concorsuale, fa sì che l’iniziativa del singolo creditore non interferisca in alcun modo co n lo svolgimento della procedura concorsuale stessa. Lungi dal pregiudicare gli interessi della massa degli altri creditori, anzi, essa potrebbe loro indirettamente giovare, nella misura in cui, consentendo in tutto o in parte il soddisfacimento delle ragi oni creditorie dell’attore in revocatoria, ne escludesse o ne riducesse la partecipazione al concorso sui beni acquisiti all’attivo del fallimento’ .
Il secondo ed il terzo motivo di impugnazione, in quanto strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono del pari inammissibili.
La ricorrente deduce la violazione dell’art. 2 R.D. 639/1910 , perché l’opposta ingiunzione di pagamento pogg erebbe su un credito inesistente e, comunque, non determinato ne ll’importo.
La Corte d’appello, nell’esame del secondo motivo d’impugnazione, con cui RAGIONE_SOCIALE aveva prospettato di non essere stata in alcun modo coinvolta nei procedimenti amministrativi e giudiziari che hanno visto la B.T.R. soccombente nei confronti del Ministero , ha osservato ‘ le citate sentenze che hanno disposto sulla revocatoria sono state emesse anche nei
confronti di RAGIONE_SOCIALE e quindi sono ad esse opponibili in quanto parte del relativo giudizio. Il Ministero creditore di BTR è quindi legittimato, a seguito della sentenza che ha disposto sulla revocatoria e passata in giudicato sulla entità del debito e anche sulla sua legittimazione ad agire del creditore singolo, ad emettere l’ingiunzione di pagamento oggetto del giudizio, in quanto fondata su credito certo liquido ed esigibile, stante la sentenza della Corte dei conti ‘.
La tesi della ricorrente secondo cui non le sarebbe opponibile il giudicato formatosi dinanzi alla Corte dei conti per non aver partecipato all’azione risarcitoria per danno erariale , non tiene conto del fatto che il giudizio sull’azione revocatoria , definito con la sentenza n. 312/2016, al quale la prima ha partecipato, presuppone la riconosciuta esistenza del credito a cautela del quale il Ministero ha agito. Diversamente opinando, verrebbe vanificato l’accoglimento dell’azione revocatoria con conseguente rimessione in discussione del giudicato derivante dalla pronuncia del giudice contabile.
Non diversa valutazione si impone per il quarto motivo, con il quale la ricorrente ha chiesto ‘anche a prescindere da quanto ritenuto sul punto dalla Corte dei conti nelle sentenze n. 1145/2012 e n. 334/2015’, di dichiarare la prescrizione del credito ingiunto dal Ministero nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e che lo stesso Ministero in base al principio di autoresponsabilità non avrebbe potuto far valere il credito verso un terzo (RAGIONE_SOCIALE).
La Corte d’appello ha affermato che ‘ ‘esistenza del giudicato che ha statuito sulla esistenza ed entità del credito rende infondati anche i restanti motivi di appello sul quantum , sulla prescrizione del diritto e sul concorso del creditore ai sensi dell’art. 1227 c.c., peraltro già dedotti dall’odierna appellante nel giudizio di revocatoria dinanzi alla Corte dei conti definiti con giudicato, in sui essa stessa è stata parte ‘.
Considerato che la Corte d’appello ha fatto applicazione del giudicato formato all’esito della sentenza 312/2016 della Corte dei Conti – Terza Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello, sarebbe stato onere della
ricorrente , in base al principio dell’autosufficienza ed a pena di inammissibilità del ricorso, se ritenuta l’inesistenza del giudicato esterno invece affermato dalla Corte di appello nella sentenza oggi in esame, riprodurre il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il limitato richiamo effettuato a pagina 19 del ricorso (v. Cass., sez. III, 25 settembre 2024, n. 25700; sez. II, 19 agosto 2020, n. 25700).
Osserva, comunque, la Corte che il credito oggetto dell’ingiunzione da parte dal Ministero deriva dal giudicato costituito dalla sentenza della Corte dei Conti -Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di Appello n. 334/2015 (come affermato dal Tribunale, v. pagina 18 del ricorso) e, quindi, rispetto alla data del giudicato non si era verificata alcuna estinzione, tanto più che il termine di prescrizione del diritto del Ministero alla restituzione dei contributi non può farsi decorrere dalla data del versamento dei contributi medesimi, ma da quella in cui si siano verificate le circostanze di diritto e di fatto da cui deriva il diritto richiederne la restituzione, ossia dalla date della revoca del contributo (v. Cass., sez. III, 4 maggio 2005, n. 10205, in motivazione espressamente). Né tantomeno sarebbe stato possibile, come chiesto dalla ricorrente, dichiarare la prescrizione del credito ‘anche a prescindere da quanto ritenuto sul punto dalla Corte dei conti nelle sentenze n. 1145/2012 e n. 334/2015’ , se non infrangendo l’efficacia del predetto giudicato.
8.1. Il motivo, inoltre, si presta ad un secondo rilievo di inammissibilità ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ. per difetto di specificità
La ricorrente a pagina 21 del ricorso scrive: ‘Né sul punto è poi invocabile come dimostrato in giudizio ed in particolare nell’atto di citazione cui integralmente si rinvia l’occultamento doloso del danno, istituto di carattere giurisprudenziale elaborato dalla Corte dei conti e che, nelle sentenze n. 1145/12 e n. 334/2015 (nei cui relativi giudizi la ricorrente non è stata evocata), viene ventilato quale elemento idoneo ad
interrompere la prescrizione. È stato provato, infatti, che il Ministero – in base alla documentazione in suo possesso ed a quella della Banca Convenzionata sua ausiliaria – ben prima anche del solo svolgimento delle relative indagini penali era a conoscenza di tutta una serie di circostanze che avrebbero dovuto condurlo a revocare i finanziamenti’.
Infatti, nel giudizio di legittimità sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34469 e ribadito più di recente da Cass., sez. III, 1° luglio 2021, n. 18695).
Appare evidente che le deduzioni odierne, effettuate mediante il generico richiamo dell’atto di citazione (‘cui integralmente si rinvia’ ) e asserendo essere stato provato che il Ministero, in base alla documentazione in suo possesso e a quella della banca convenzionata sua ausiliaria, fosse a conoscenza prima ancora dell’avvio delle indagini penale di circostanze che avrebbero dovuto indurlo alla revoca dei contributi, non siano adeguate al fine di consentire il rispetto del principio di specificità.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del Ministero controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 11.000,00 per onorari, oltre a spese eventualmente prenotate a debito, in favore del Ministero controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 4 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME