Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16673 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 16673 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25625-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO;
– intimato – avverso la sentenza n. 397/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 13/05/2022 R.G.N. 687/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza n. 397 del 2022 la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia del Tribunale di Forlì che aveva respinto l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza n. 2019/146 dell’RAGIONE_SOCIALE con la quale era stato ingiunto il pagamento di euro
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/03/2024
CC
27.000,00 per l’impiego di due lavoratori senza la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di RAGIONE_SOCIALE.
I giudici di seconde cure hanno rilevato che l’istruttoria dibattimentale aveva dimostrato in maniera inequivoca che i lavoratori COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano prestato attività lavorativa in nero, dal 15.3.2016 al 22.7.2016 per n. 6 giorni a settimana ciascuno; hanno poi ritenuto corretta la sentenza di primo grado lì dove non era stata applicata la sanzione nella misura del minimo edittale, richiamando le argomentazioni di precedenti in termini della Corte di appello di Genova e di Miano.
Avverso la decisione di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo il ricorrente eccepisce la nullità della sentenza e del procedimento di appello per violazione dell’art. 81 cpc a causa del difetto di legittimazione passiva dell’RAGIONE_SOCIALE, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per essere stata emessa la pronuncia di secondo grado nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE che, pur non essendo legittimato passivo, si era costituito in luogo dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che aveva adottato l’ordinanza ingiunzione e che era stato parte del giudizio di primo grado.
Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 co. 2 n. 4 cpc e 118 disp att. cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, perché, nel confutare il primo motivo di appello, la Corte distrettuale si era limitata a richiamare i precedenti giurisprudenziali senza esprimere le specifiche ragioni giuridiche e fattuali poste a base della decisione, con una motivazione, pertanto, puramente apparente.
Il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità.
E’ pacifico che il procedimento di primo grado si è svolto correttamente nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE di
Ravenna- Forlì- RAGIONE_SOCIALE, che era l’Autorità amministrativa che aveva emesso il provvedimento sanzionatorio ex art. 22 legge 689/1981 e che era risultato vittorioso in prime cure avendo il Tribunale di Forlì respinto l’opposizione.
Nella gravata sentenza si legge, poi, che a seguito del proposto appello, NOME COGNOME ha chiesto, previa riforma della pronuncia di prime cure, la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di ambedue i gradi di giudizio e che l’RAGIONE_SOCIALE, costituitosi in giudizio, ha contestato il gravame ex adverso presentato concludendo per il rigetto dell’appello.
Nel motivo del ricorso per cassazione il COGNOME afferma, invece, che l’RAGIONE_SOCIALE si è costituito ‘sua sponte’.
Il ricorrente non chiarisce, però, nei confronti di chi abbia effettivamente effettuato la vocatio in ius e soprattutto non precisa se abbia, a fronte della costituzione dell’INL nel giudizio di appello, eccepito il difetto di legittimazione passiva e la irritualità della costituzione dell’INL medesimo o se vi abbia -in qualche mododato causa, così restando la nullità sanata ex art. 157 co. 3 cpc e 331 cpc, non trattandosi di violazione del principio del litisconsorzio necessario iniziale (art. 102 cpc) o di quello necessario processuale determinato da ordine del giudice (art. 107 cpc) (cfr. Cass. n. 21381/2018): unici casi, questi ultimi, a non potere essere sanati.
Deve, infine, darsi atto che la fattispecie in esame è diversa da quelle regolate dai precedenti di legittimità richiamati dal COGNOME in quanto non si verte in una asserita ipotesi di difetto di legittimazione attiva (e non passiva del rapporto) del soggetto (organo centrale e non periferico) che aveva impugnato la pronuncia del giudizio di primo grado in cui non era stato parte.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Viene, infatti, dedotta una motivazione apparente della Corte territoriale, in relazione al primo motivo del giudizio di appello senza, però, riportare, negli esatti termini in cui era stata proposta, la doglianza di cui al gravame di secondo grado e senza specificare se vi sia stato un errore di interpretazione della stessa
ovvero su quali specifiche censure e punti, attraverso la motivazione adottata, la ratio decidendi del gravato provvedimento non era intellegibile o pertinente.
L’obbligo di cui all’art. 132 co. 2 n. 4 cpc è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass. n. 22598/2018).
Ma per effettuare tale scrutinio occorre che il ricorrente, nel denunciare il vizio di omessa motivazione e decisione in merito a quanto esposto nei motivi d’appello, per un verso riporti compiutamente, illustrando la censura, il contenuto del suddetto motivo, incorrendo in caso contrario nella violazione del principio di autosufficienza (Cass. 17049/2015), e per altro verso si confronti con la motivazione della sentenza impugnata.
L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo” , presuppone, quindi, l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso (Cass. 24048/2021).
Nella fattispecie, invece, il ricorrente ha censurato la motivazione apparente su di un motivo di appello senza, però, precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d’appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all’atto di appello.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 12 marzo 2024