Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6734 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6734 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 5866/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale EMAIL
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE, BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA RAGIONE_SOCIALE
– intimati – avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 21694/2019, depositata il 12.11.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17.1.2024 dal AVV_NOTAIO relatore AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Roma Capitale propose opposizione all’esecuzione mobiliare N. 4841/2015 R.G.E. promossa nei suoi confronti da NOME COGNOME per il pagamento delle spese liquidate con la sentenza n. 16697/2013 del Tribunale di Roma; l’ente affermava di aver soddisfatto il credito, emettendo mandato di pagamento di € 696,98 e dandone comunicazione al COGNOME, il quale aveva invece intrapreso la procedura per la somma precettata di € 1.071,24. Sospesa la procedura e riassunta la causa, il Giudice di Pace di Roma accolse l’oppo sizione con la sentenza n. 14579/2017. Detta decisione venne impugnata da NOME COGNOME e il Tribunale di Roma, con sentenza n. 21694 del 12.11.2019 rigettò l’appello; il giudice di merito rilevò che l’obbligazione pecuniaria della pubblica amministrazione era stata adempiuta con formale offerta (eseguita con comunicazione) delle somme dovute, né tale offerta poteva reputarsi parziale, perché comprensiva degli importi liquidati e delle prestazioni successive al deposito della sentenza azionata come titolo; aggiungeva altresì che il minimo scostamento tra quanto offerto da Roma Capitale e la pretesa creditoria era sostanzialmente irrilevante, conformemente a quanto statuito da Cass., Sez. 3, sentenza n. 4228 del 03.03.2015.
Avverso la predetta decisione NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. Roma Capitale e la Banca Monte dei Paschi RAGIONE_SOCIALE, terza pignorata, sono rimaste intimate. Ai sensi dell’art. 380 -bis .1, comma 2, c.p.c., il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi all’odierna adunanza camerale .
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., si deduce ‘ violazione o falsa applicazione degli artt. 1181, 1206 e ss. cod. civ., 91, 96, 132 c. 2° n. 4 c.p.c., 118 c. 2° disp. att., art. 14 D.L. n. 669/96, art. 147 L. n. 388 del 23.12.00, L. n. 576/80, art. 11, DPR 633/72, Direttiva 2000/35/CE del 29/6/2000, 3 24, 28, 97 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. Violazione Tariffe Forensi D.M. nn. 127/04, 140/12, 55/14 -Adempimento parziale -Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione ‘.
2.1 Già la rubrica della censura, sopra riportata, è sufficiente ad indicare che in un unico motivo (sviluppato dalla pagina 11 alla pagina 30 del ricorso) il ricorrente ha mescolato e sovrapposto ragioni di impugnazione eterogenee, ricondotte alle diverse ip otesi contemplate dall’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., con una formulazione inidonea a prospettare con chiarezza le doglianze svolte e a consentirne un separato esame (Cass. n. 19443/2011; Cass. n. 26874/2018; Cass. n. 39169/2021).
2.2 Inoltre, a dispetto dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., l’elencazione di un coacervo di norme asseritamente violate (incluse disposizioni di natura tributaria e sovranazionale) manca del successivo puntuale sviluppo della critica con riferimento ad ognuna (reso necessario dal volontario indifferenziato richiamo a tutte), posto che le ripetitive doglianze non si concretizzano nell’esame del contenuto precettivo delle disposizioni e nel suo
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specifico raffronto con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata (Cass., Sez. Un., n. 23745/2020).
In realtà, è l’intero ricorso che contiene un’esposizione confusa, frammentaria e lacunosa della vicenda processuale, per la cui (quantomeno superficiale) comprensione sarebbe -inammissibilmente -necessario attingere alla sentenza impugnata: basti osserv are che dall’atto introduttivo non si evince il contenuto del titolo esecutivo azionato (elemento indefettibile per valutare la correttezza delle statuizioni dei giudici di merito che hanno ritenuto satisfattiva l’offerta dell’Amministrazione), né il testo e le voci dell’atto di intimazione che l’odierno ricorrente ritiene insoluto.
2.3 Il ricorso, dunque, non soddisfa neanche lo specifico requisito di contenutoforma prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., il quale deve consistere in una esposizione sufficiente a garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata ( ex multis , Cass. n. 17830/2020).
2.4 Peraltro, nonostante la lunghezza delle argomentazioni (non di rado neppure strettamente attinenti alla fattispecie), il ricorrente omette di confrontarsi specificamente con la ratio decidendi che sorregge la pronuncia: la quale si identifica nell’affermazione per la quale la comunicazione dell’ente con cui viene portata a conoscenza del creditore l’avvenuta emissione del mandato di pagamento, ancorché senza trasmettere copia del mandato, esclude che il creditore possa fare ricorso all’azione esecutiv a e intimare il
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precetto, atteso che i pagamenti dell’ente locale vengono eseguiti attraverso il tesoriere e nella sede di questo (Cass. n. 23084/2005 e, più recentemente, Cass. n. 77/2022).
Si aggiunga che un residuo credito di entità economica oggettivamente minima esclude l’interesse a promuovere l’espropriazione forzata (Cass. n. 4228/2015). Infatti, nell’atto introduttivo NOME COGNOME fa reiterato riferimento alla discrasia rispetto alla somma precettata (€ 1.071,24), ma non spiega affatto né perché tale importo debba ritenersi corretto (in contrasto con le statuizioni dei giudici di merito), né per quale ragione abbia mancato di considerare il pagamento di € 696,98 eseguito dall’ente locale e come e perché dal credito originario, detratto tale pagamento, possa essere giunto ad una simile somma complessiva: tanto, per di più, dinanzi all’analitica ricostruzione operata nella qui gravata sentenza.
3.1 In conclusione, il ricorso è inammissibile; nulla va disposto sulle spese di lite, le intimate non avendo svolto difese. Tanto non consente, neppure, l’emissione di condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. (come invece accaduto in altri precedenti tra le stesse parti e per controversie in tutto analoghe -v. Cass. n. 23335/2022).
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile.
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Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il