Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8172 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8172 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23555 -2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura a margine del ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO di INDIRIZZO, in persona dell’amministratore , elettivamente domiciliato in Palermo, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
– resistente –
e contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME;
– intimati –
avverso la sentenza n. 623/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, pubblicata il 27/4/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/10/2023 dal consigliere COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 24/7/2015, il Condominio di INDIRIZZO convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo la RAGIONE_SOCIALE, proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 2263/2015 ottenuto dalla società nei suoi confronti per Euro 48.310,12, a titolo di saldo del corrispettivo di un appalto avente ad oggetto l’esecuzione di lavori edili effettuati nello stabile condominiale.
Con sentenza n. 3854/2017, il Tribunale rigettò l’opposizione e la domanda riconvenzionale del Condominio avente ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento delle obbligazioni assunte dalla società opposta con il contratto di appalto e alle spese da sostenere per il rifacimento delle opere viziate, dichiarando assorbita la domanda di manleva proposta nei confronti dell’amministratore pro tempore NOME COGNOME e del direttore dei lavori NOME COGNOME.
Con sentenza n. 623/2020, la Corte d’appello di Palermo, rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art.342 cod. proc. civ., accolse parzialmente l’impugnazione del Condominio, ritenendo erronea la sentenza in punto di ripartizione dell’onere probatorio; ritenne quindi coperto da giudicato il rigetto della pretesa di risarcimento del danno nei confronti dell’appaltatore perché la domanda non era stata ritualmente devoluta alla sua cognizione ex
articolo 346 cod. proc. civ. e, in accoglimento dell’opposizione, revocò il decreto ingiuntivo opposto.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi. Il Condominio ha depositato un atto di costituzione al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione orale. NOME COGNOME e NOME COGNOME non hanno svolto difese.
In data 15/2/2023, il Consigliere delegato di questa sezione ha formulato proposta di definizione anticipata, ex art. 380 bis cod. proc. civ., rilevando la manifesta infondatezza di entrambi i motivi.
Con istanza del 15/3/2023 la parte ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso.
Il Condominio ha presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve rilevarsi che il Condominio ha depositato soltanto un atto di «costituzione» circa sette mesi dopo la notifica del ricorso, ma non ha ritenuto di resistere mediante controricorso ritualmente e tempestivamente notificato al ricorrente ex art. 370 cod. proc. civ., nella versione applicabile alla fattispecie ratione temporis (per essere stato notificato il ricorso introduttivo prima del 1 gennaio 2023, secondo la disciplina transitoria ex art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall’art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197); pertanto, il Condominio non è legittimato neppure a depositare memoria. Ed infatti, in tema di rito camerale di legittimità ex art. 380bis.1 cod. proc. civ., questa Corte ha già, infatti, statuito che, relativamente ai ricorsi depositati dopo il 30 ottobre 2016 e per i quali venga successivamente fissata adunanza camerale, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 cod. proc. civ., pure in presenza di regolare procura speciale ad litem , non è legittimata neppure a
depositare memorie illustrative; il principio, affermato con riferimento alla trattazione della causa in pubblica udienza, è stato esteso anche al procedimento in camera di consiglio di cui all’art. 380 bis.1 cod. proc. civ., introdotto dal DL 31 agosto 2016 n. 168 conv. in legge 25 ottobre 2016 n. 197) (così Sez. 3, n. 26974 del 2017, in motivazione; Sez. 5, n. 17030 del 16/06/2021; Sez. 3, n. 34791 del 17/11/2021; v. anche Cass. n. 268/2022).
Ciò precisato e passando all’esame delle censure , con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma primo dell’articolo 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha sostenuto la nullità della sentenza per motivazione apparente nella parte in cui è stata rigettata l’eccezione di inammissibilità ex art. 342 cod. proc. civ.: la Corte d’appello, infatti, si sarebbe limitata a richiamare il principio stabilito dalle Sezioni unite nella pronuncia 27199 del 2017, pur avendo riconosciuto il discostamento formale dallo schema legale dell’impugnazione, senza indicare in quali parti l’atto di appello conterrebbe la censura della sentenza impugnata.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. Sez. U, n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione, con numerosi richiami; Sez. U, n. 22232 del 03/11/2016; Sez. 6 – 1, n. 6758 del 01/03/2022).
Nella specie, il denunziato vizio non ricorre perché, dopo aver esposto il principio di diritto in materia di inammissibilità ex art. 342
cod. proc. civ., la Corte territoriale ha, invece, proprio rimarcato che la parte si era lamentata dell’inversione dell’onere probatorio e dell’ omesso esame della domanda risarcitoria (pag. 2, ultimo cpv, fino al secondo cpv di pag. 3); addirittura ha riportato in corsivo il testo delle censure formulate. Il motivo, a ben vedere, sollecita un esito abortivo del giudizio che -come è noto – è visto sempre con sfavore sia dalla giurisprudenza di legittimità che dalla CEDU (v. tra le varie, SSUU n. 27199/2017)
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 5 del comma primo dell’articolo 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha lamentato « l’omessa pronuncia su un fatto decisivo » (così in ricorso) costituito asseritamente dal non aver considerato la mancata individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e con essi delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa.
2.1. Il motivo è inammissibile per sua formulazione. In disparte ogni considerazione sulla sovrapposizione dell’omissione di pronuncia con l’omissione dell’esame di un fatto decisivo e con il richiamo a principi elaborati da questa Corte per la formulazione del ricorso per cassazione e non dell’atto di appello (evidentemente non applicabili alla fattispecie per la differenza strutturale e funzionale tra l’appello e il ricorso in sede di legittimità), non è proprio individuato un fatto storico non valutato, ma sono riproposti i pretesi vizi di formulazione dell’appello, già esclusi dalla Corte territoriale.
Questa Corte ha già chiarito che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); in conseguenza, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività» (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014; ex plurimis , Sez. 2, n. 27415 del 29/10/2018).
3. Il ricorso è, perciò, respinto.
La mancanza di controricorrenti esonera la Corte dal provvedere sulle spese.
Avendo la Corte definito il giudizio in conformità alla proposta ex art. 380-bis cod. proc. civ., trova applicazione la sola previsione di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., sulla condanna della parte al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000.
L’art. 380 -bis cod. proc. civ. configura, infatti, uno strumento di agevolazione della definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione, e quindi idonee a concretare, secondo una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato (d.lgs. n. 149 del 2022), un’ipotesi di abuso del diritto di difesa. Richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l’art. 380 -bis cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia
presumere una responsabilità aggravata (v. Cass., Sez. Un., 22 settembre 2023, n. 27195, anche per quanto riguarda la disciplina intertemporale) (così Sez. U, n. 28540 del 13/10/2023).
La condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle ammende deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa questa funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori (Sez. U, n. 27195 del 22/09/2023).
Per l’effetto, ritiene la Corte di dover disporre la condanna del ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle ammende.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente RAGIONE_SOCIALE al pagamento di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 25 ottobre 2023.
Il Presidente
NOME COGNOME