Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15572 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15572 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26435-2021 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME RAGIONE_SOCIALE, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1542/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/04/2021 R.G.N. 2795/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio COGNOME
del 04/04/2024 dal AVV_NOTAIO. COGNOME.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/04/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello di NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato le sue domande dirette alla condanna della società RAGIONE_SOCIALE, di cui era stata dipendente dal 2003 come impiegata 1° livello CCNL Terziario sino alle dimissioni rassegnate nel 2016, al risarcimento del danno biologico per stress da super lavoro dall’inizio del rapporto, al risarcimento, previo accertamento di essere stata oggetto di condotta di mobbing dal 2015 o, in subordine, di demansionamento dai compiti di responsabile nel settore della contabilità e del personale, del danno professionale, del danno patrimoniale per mancata percezione di premi, del danno da perdita di chances , del danno biologico per stress lavorativo, demansionamento o mobbing , o, in subordine, differenziale in caso di accertamento di obbligo dell’INAIL di indennizzo, del danno morale, del danno patrimoniale per spese mediche, del danno all’immagine e alla reputazione, del danno esistenziale, e al pagamento dell’indennità di mancato preavviso per giusta causa di dimissioni, e che, in accoglimento della domanda riconvenzionale della società, l’aveva condannata al pagamento di somma a titolo di indennità di mancato preavviso e di € 30.000 a titolo di prestito non restituito;
la Corte distrettuale, previo riesame critico del materiale probatorio alla luce dei motivi di appello (in particolare delle 8 testimonianze raccolte in primo grado), ha confermato, con ampia motivazione, le valutazioni del Tribunale circa gli esiti dell’attività istruttoria svolta nel contraddittorio delle parti, giudicando non raggiunta la prova di quanto dedotto dalla lavoratrice a fondamento delle proprie rivendicazioni risarcitorie ed economiche e in ordine all’avvenuta restituzione a rate e in contanti al deceduto pregresso titolare
della società del prestito ricevuto oggetto della domanda riconvenzionale;
per la cassazione della sentenza d’appello ricorre NOME COGNOME con otto motivi espressi in ricorso di 135 pagine; resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 2697 e 2733 c.c. e agli artt. 116, 132, co. 2, n. 4, 230 e 420 c.p.c., ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonché omessa motivazione e/o motivazione apparente (art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.), per omessa pronuncia sulla mancata ammissione di interrogatorio formale del legale rappresentante della società;
con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 2697 e ss. c.c. e agli artt. 116, 210, 420 e 421 c.p.c., nonché in relazione all’art. 111, co. 6, Cost., ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonché omessa motivazione e/o motivazione inidonea e apparente, comportante nullità della pronuncia per difetto di uno dei presupposti indefettibili indicati e sanciti dall’art. 132 c.p.c. (art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.), lamentando il mancato ordine di esibizione dei fogli presenza dal 2002 al 2014;
con il terzo motivo deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 2697, 2709 e 2712 c.c., nonché in relazione agli artt. 115, 421 e 437 c.p.c., omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio e nullità della sentenza per omessa e/o apparente motivazione, e per difetto dunque di uno dei presupposti essenziali richiesti e sanciti dall’art.132 c.p.c. (art. 360, nn.
3, 4 e 5, c.p.c.), dolendosi della mancata ammissione di una serie di documenti in grado di appello;
con il quarto motivo deduce violazione e/o erronea applicazione di norme di diritto, in relazione agli artt. 2697 e 2721 c.c., nonché in relazione agli artt. 115, 116, 209, 245, 421 e 437 c.p.c., omessa e/o apparente motivazione e nullità della pronuncia per difetto di uno dei presupposti essenziali previsti dall’art.132 c.p.c. (art. 360, co. 2, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.), censurando la riduzione dei testimoni e dei capitoli di prova ammessi;
con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione di legge, in relazione agli artt. 2214, 2697 e 2709 c.c., nonché in relazione agli artt. 115, 116, 132, co. 2, n. 4, e 421 c.p.c., nullità della pronuncia per manifesta contraddittorietà della motivazione, tale da non consentire di individuarla e riconoscerla come ratio e giustificazione del decisum , e per violazione dell’art. 111, co. 6, Cost. (art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.); censura la valutazione delle prove sulla restituzione del prestito;
con il sesto motivo deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 2087, 2697, 2714, 2719, 2727 e 2729 c.c., nonché in relazione agli artt. 32, 35, co. 1, e 41, co. 1 e 2, Cost. ed agli artt. 115, 116, 191, 194, 420 e 437 c.p.c., motivazione apparente e nullità della pronuncia per difetto di uno dei presupposti sanciti dall’art. 132 c.p.c. (art. 360, nn.3, 4 e 5, c.p.c.); censura la valutazione delle prove sul superlavoro e sulla documentazione medica prodotta;
con il settimo motivo deduce violazione e falsa applicazione di legge, in relazione agli artt. 2103 e 2697 c.c., nonché in relazione agli artt. 2087 c.c. e 2, 4 e 35 Cost., e agli 115, 116, 420 e 437 c.p.c., oltreché vizio di contraddittoria apodittica motivazione in ordine al denunziato demansionamento e suo correlato danno (art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.); si duole della ritenuta insussistenza di dequalificazione nel caso concreto;
con l’ottavo motivo deduce violazione e falsa applicazione di legge, in relazione: a) agli artt. 1218, 2087 e 2697 c.c.; b) agli artt. 3, 32, co. 1, e 41, co. 1 e 2, Cost.; c) agli artt. 115, 116, 420 e 437 c.p.c.; d) all’art. 15 legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori); e) ai D. lgs. nn. 215 e 216/2003 (diritto antidiscriminatorio), e motivazione apparente, in ordine al denunziato mobbing e suo correlato danno, e nullità della pronuncia per difetto di uno dei presupposti sanciti dall’art. 132 c.p.c. (art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.), censurando la ritenuta insussistenza di mobbing nel caso concreto;
il ricorso è complessivamente inammissibile;
rileva in primo luogo il Collegio, con riferimento alle censure ricondotte al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., che la Corte d’Appello ha confermato integralmente le statuizioni di primo grado, così realizzandosi ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, primo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.; il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016; conf. Cass. n. 20994/2019, n. 8320/2021, n. 5947/2023), tenendo conto che ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma
anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (v. Cass. n. 29715/2018, n. 7724/2022, n. 5934/2023, n. 26934/2023);
inoltre, questa Corte ha avuto modo di evidenziare che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 26874/2018, n. 19443/2011); la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., è inammissibile anche perché, prospettandosi una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, appunto inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 3397/2024); 12. con riguardo alle doglianze relative alle prove, si osserva che
spettano al giudice di merito la selezione e valutazione delle
prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni; infatti, il giudizio di Cassazione non è strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021);
né è integrata la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli; è, invece, inammissibile la diversa doglianza che il giudice di merito, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; la valutazione probatoria rimane riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023);
invero, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, non è ammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia mirando, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti
storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte, Cass. S.U. n. 34476/2019 cit., e Cass. n. 8758/2017); a maggior ragione in ipotesi, come quella in esame, di cd. doppia conforme di merito;
è stato anche affermato da questa Corte (Cass. n. 8425/2020) che, ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366, comma 1, n. 3) e 4), c.p.c., il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU);
con riguardo alla strutturazione dei motivi di ricorso, è stato anche osservato che il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, mentre il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata
sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione; con la conseguenza che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. n. 640/2019, n. 7187/2022);
da ultimo, si rileva che non è apprezzabile nella (completa ed esauriente) motivazione della sentenza impugnata la prospettata nullità ai sensi dell’art. 132 c.p.c.; secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017; conf. Cass, n. 20921/2019), restando il sindacato di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. S.U. n. 8053/2014, n. 23940/2017, n. 16595/2019); nel caso di specie, la Corte ha esplicitato adeguatamente il percorso logico-argomentativo che l’ha portata (così come il Tribunale) a ritenere carente la prova dei fatti posti a fondamento delle rivendicazioni attoree (e provati i fatti a base del credito restitutorio di parte datoriale);
la regolazione delle spese del grado, liquidate come da dispositivo, segue il regime della soccombenza;
19. alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 8.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 4 aprile 2024.