Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9683 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9683 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14755 R.G. anno 2021 proposto da:
COGNOME ASSICURAZIONI 2 DI COGNOME NOME &
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende;
contro
ricorrente
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME ;
intimati
avverso la SENTENZA n. 5801/2020 emessa da CORTE D’APPELLO ROMA.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. il Tribunale di Cassino, con sentenza del 25 giugno 2019, ha accolto parzialmente le domande, proposte da RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, quanto all’ accertamento negativo e alla ripetizione di indebito nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ─ domande riferite al contratto di conto corrente stipulato tra le parti ─ e ha rigettato la domanda riconvenzionale spiegata dalla banca, tesa alla condanna della società attrice a pagare, in solido con i fideiussori NOME COGNOME e NOME COGNOME, la somma di € 56.894,24 di cui € 32.320,58 quale saldo negativo del conto ed € 23.110,00 per assegni insoluti.
2. L a Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 23 novembre 2020, n. 5801, in parziale accoglimento dell’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria della RAGIONE_SOCIALE (quest’ultima cessionaria del credito e avente causa ex art. 111 c.p.c. di RAGIONE_SOCIALE), ha condannato la correntista al pagamento, in favore della banca stessa , della somma di € 31.638,30, oltre interessi; in particolare, la Corte ha ritenuto anzitutto legittima la capitalizzazione trimestrale prevista dal co ntratto in quanto quest’ultimo era stato stipulato nel 2004 -dunque dopo l’entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000 -e conteneva una specifica clausola di capitalizzazione che prevedeva la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori, conformemente a quel che era stabilito nella richiamata delibera. Quanto alla commissione di massimo scoperto, ha rilevato che il rapporto era anteriore all’ entrata in vigore
dell’ art. 2bis l. n. 2/2009, che la commissione era stata pattuita secondo criteri determinati e che essa non risultava priva di causa. Facendo proprie le conclusioni raggiunte dal c.t.u., ha poi reputato illegittimo l’ addebito di interessi in violazione della l. n. 108 del 1996 per le sole somme di € 245,17 ed € 437,11, rispettivamente per il quarto trimestre del 2004 e per il primo trimestre del 2005.
– A vverso questa sentenza ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
E’ stata formulata , da parte del Consigliere a ciò delegato, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380bis c.p.c.. A fronte di essa, il difensore della parte ricorrente ha domandato la decisione della causa.
Parte ricorrente ha depositato memoria
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La proposta ha il tenore che segue:
« l primo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1815, c. 2, c.c. e l. 108/1996, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in quanto la sentenza impugnata si è limitata a dichiarare l’illegittimità dei soli interessi usurari maturat i nel IV trimestre del 2004 e nel I trimestre del 2005, mentre invece avrebbe dovuto dichiarare non dovuti gli interessi corrispettivi anatocistici per € 15.316,93, le spese di chiusura del conto trimestrale per € 1.184,60, nonché la c.m.s. per € 7.218,22; infatti, doveva ritenersi nulla la clausola sugli interessi corrispettivi e non doveva applicarsi nessun interesse;
« il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2bis d.l. 185/2008, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in quanto la sentenza impugnata ha ritenuto valide e correttamente applicate le c.m.s. nel caso di specie;
«ritenuto che:
«i due motivi sono inammissibili, in quanto il giudice del merito
ha compiuto un accertamento di fatto, giungendo alle conclusioni sopra esposte, che non sono validamente confutati dai motivi, i quali palesano come, pur sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretendono invece dalla Corte di legittimità una rivisitazione della vicenda concreta, già scrutinata dai giudici del merito, tramite la lettura degli atti istruttori: ma il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della concreta vicenda a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazio ne della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità ( e multis , Cass. 15 aprile 2021, n. 10029; Cass. 17 febbraio 2021, n. 4172; Cass. 22 gennaio 2021, n. 1341; Cass. 4 maggio 2020, n. 8444; Cass. 10 marzo 2020, n. 6692; Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 14 gennaio 2019, n. 640); rimane, pertanto, estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il ‘ convincimento ‘ che il giudice si è formato, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, posto che la valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. 8 maggio 2017, n. 11176; Cass. 10 ottobre 2011, n. 20802; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42);
« a fronte di ciò, neppure l’affermazione della Corte territoriale circa l’irrilevanza dell’art. 2 -bis d.l. 185/2008 nel caso di specie coglie nel segno, essendo incontestato che la commissione fu applicata entro i limiti del periodo transitorio dalla legge previsto».
Il Collegio reputa condivisibili tali rilievi, che resistono alle considerazioni critiche svolte da parte ricorrente in memoria.
Mette conto di aggiungere, quanto al primo motivo, che l’eccedenza dell’interesse pattuito rispetto al tasso soglia giustifica l’elisione dell’interesse, a norma dell’art. 1815, comma 1, c.c., con riferimento ai soli periodi (trimestri) in cui si riscontri la detta esorbitanza. Tale conclusione si ricava agevolmente dal testo stesso del cit. art. 1815, comma 2: l’effetto della non debenza degli interessi discende dal fatto che questi siano usurari; per conseguenza, gli interessi che, con riferimento a uno o più segmenti temporali del rapporto, si collochino al di sotto della soglia di legge, e non siano conseguentemente usurari, devono ritenersi dovuti. In altri termini, poiché l’art. 1815, comma 2, colpisce i soli interessi usurari, è escluso che l’effetto previsto da detta norma operi su interessi che usurari non sono.
Il secondo motivo prospetta poi questione -riferita, in sostanza, all’asserito addebito di commissioni di utilizzo extra fido che sarebbero invalide in forza della disciplina sopravvenuta di cui al cit. d.l. n. 185 del 2008 (alla quale i contratti in corso dovevano adeguarsi, ma entro il termine di centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione: comma 3 dell’art. 2) -di cui la sentenza impugnata non si occupa e che la ricorrente non spiega come sia stata dedotta in sede di merito: ebbene ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).
3. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
4. ─ Le spese processuali seguono la soccombenza.
Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta condanna della parte istante a norma dell’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c.. Le dette disposizioni, cui fa rinvio l’art. 380bis c.p.c., sono difatti immediatamente applicabili giusta il comma 1 dell’art. 35 del d,lgs. n. 149/2022 ai giudizi ─ come quello in esame ─ introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 e per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio (Cass. Sez. U. 27 settembre 2023, n. 27433, in motivazione).
Vale, poi, rammentare quanto segue: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) ─ che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. ─ codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. U. 13 ottobre 2023, n. 28540).
In tal senso, la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 4.000,00 , oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al
pagamento della somma di € 4.000,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio della 1ª Sezione